lunedì 17 ottobre 2011

Roma, 15 ottobre 2011

Le contraddizioni del potere e l'effetto valanga

Una premessa.
Rileggo uno dei manifestini che invitavano, nei giorni precedenti, a partecipare alla manifestazione di Roma del 15 ottobre, e vedo che era molto chiaro l'invito di alcune organizzazioni a manifestare, erano abbastanza chiari i motivi, ma non si capiva l'obiettivo per cui si manifestava (insomma, cosa si voleva ottenere?).
Secondo me, per alcune organizzazioni (ad esempio la CGIL) questa doveva essere una manifestazione pacifica, un assegno in bianco per le organizzazioni che avrebbero provveduto a capitalizzare il dissenso in forma di potere politico. Avrebbero poi provveduto a giocarsi il conflitto su altri tavoli.
Ma i manifestanti ormai compongono un'area politica che non è più disponibile a distribuire assegni in bianco. A nessuno.

Essi vogliono fare massa, e questo va bene, ma poi hanno bisogno di una direzione da seguire. Una direzione che punti ad un obiettivo. E in mancanza di obiettivi qualcuno se lo è creato da solo. (Non era poi difficile, una volta infranto il tabù della nonviolenza, artificiosamente costruito da partiti, istituzioni e mass media).
Insomma non era una questione di servizio d'ordine più o meno efficiente, come dicono alcuni, ma si tratta di un problema di rappresentanza politica che non esiste più.

Genova?
Trovo molti commentatori che si accaniscono a vedere gli episodi di violenza a Roma come una replica di Genova, in cui la violenza era sobillata dallo Stato tramite infiltrati.
Non mi sembra sia questo il caso e bisognerebbe tenere presente il fatto che non sempre la storia si ripete, come minimo non si ripete in modo esattamente uguale. Nel 2001 (quanto appare lontano!) a Genova gli scontri ebbero l'effetto di neutralizzare un movimento pacifico. Il governo fece volutamente alzare il livello dello scontro tramite infiltrati per poter usare le maniere forti e criminalizzare tutto il dissenso.

Ma nel 2001 sembrava che ci potesse ancora essere un futuro per l'Italia.
Dieci (e più) anni dopo la scena è cambiata, la violenza scatta spontanea senza bisogno di infiltrati e l'immagine del blindato bruciato mostra che contro Polizia e Celere si può combattere con successo. E la gente che ha imparato tecniche di guerriglia urbana a Roma, in val di Susa o in luoghi analoghi è sempre di più.

Qui bisogna guardare alla lezione di Londra e dintorni nell'estate 2011. Lì c'era un poliziotto intelligente che diceva che ai problemi politici bisogna dare risposte in termini politici, non in termini di ordine pubblico, perché le forze dell'ordine possono solo tamponare le falle al vivere civile create dall'assenza di politica. Un politico imbecille ha preteso che i disordini venissero gestiti con tecniche da stato di polizia. E i disordini di Londra sono stati sedati nel modo peggiore.

Finché si danno risposte poliziesche a problemi politici il livello di dissenso può solo aumentare, anche quando si riesce a nasconderlo al grande pubblico esso cova sotto la cenere. Con il rischio che quando riemerge esso sia una valanga inarrestabile. In queste condizioni o si dà una risposta politica oppure si accumula un malessere potenzialmente esplosivo.

Leggo le ultime notizie e vedo che, dopo la moderazione, arriva anche in Italia la tendenza allo stato di polizia all’inglese, i vari Di Pietro, Maroni e La Russa concordano nel sopprimere le libertà costituzionali. Del resto, quando si parla di dittatura siamo dei maestri per gli inglesi, non degli allievi. Il disastro è assicurato, sia in Gran Bretagna che in Italia.