lunedì 30 giugno 2014

I gattopardi falliti d’Europa

«Noi fummo i gattopardi, i leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene; e tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.»


“Il gattopardo” di Tomasi di Lampedusa è un romanzo suggestivo, spesso citato e non del tutto capito.
Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” è la frase che viene spesso citata, ma in questa frase ciò che non viene detto è più importante di ciò che viene detto.
La scelta del principe di Salina di aiutare i Savoia nell’unificazione dell’Italia fece in modo di mantenere i privilegi delle classi aristocratiche sotto il nuovo re, ma per le classi popolari fu un disastro: pulizia etnica, deportazione, morte e disperazione, fame, vergogna, emigrazione, furono alcune delle conseguenze.
Insomma per le masse cambiò molto, ma questo non interessava i principi. “Mors tua, vita mea”, dicevano gli antichi romani quando si trovavano di fronte a scelte del genere.
Il gattopardo però individua correttamente che gli elementi in gioco sono almeno tre: il nuovo padrone, la classe nobiliare e il popolo. Egli trova la propria collocazione più adeguata in questo gioco a tre puntando sul nuovo padrone. Ad ogni costo (per gli altri).

Alcune delle dinamiche che si verificarono durante l’unificazione d’Italia si stanno verificando adesso con l’Europa. La classe degli industriali da tempo aveva capito dove stavano puntando le forze in campo e decise di saltare sul carro del vincitore.
I gattopardi si trasformano in base alle convenienze. E credono di essere furbi.

Gli industriali italiani (e non solo loro) hanno creduto che il carrozzone dell’Europa fosse il carro dei vincitori. E sono saliti su.
Inizialmente hanno ricevuto numerosi vantaggi rispetto a dipendenti e sindacati. Le protezioni legali dei lavoratori sono quasi sparite ed i sindacati recitano ormai un conflitto che non c’è più. I salari sono scesi. La manodopera è abbondante.

Ma il problema vero per le industrie è che ormai il vero potere dell’Europa è quello finanziario. Gli industriali si credevano gattopardi e sono stati gli utili idioti della costruzione europea. (1)
In un sistema che cerca il massimo profitto per il capitale non è più la produzione che può fornire gli utili voluti, solo la finanza può garantire buoni profitti. Marx non aveva torto quando spiegava la caduta tendenziale del saggio di profitto. La produzione non conviene più al capitale. Con il piccolo inconveniente che la ricerca di profitto finanziario tende a distruggere intere nazioni. Ma così è andata, lo spiegava bene Anselm Jappe (2). Adesso sono sacrificabili anche gli industriali.

Avrebbero fatto meglio ad allearsi con i propri dipendenti per combattere contro questa Europa di banchieri.
Ma adesso non hanno più anima, l’hanno venduta al diavolo della finanza. E dopo l’anima stanno perdendo anche le loro aziende. Gattopardi falliti.


Truman
maggio 2014


NOTE

(1)   Il film “The Brussels business” mostrava abbastanza bene questa progressiva sparizione degli industriali dal timone della nave europea, a tutto vantaggio della finanza.
(2)   Ad esempio qui: http://www.sinistrainrete.info/marxismo/2411-anselm-jappe-emanciparsi.html “la maggior contraddizione del capitalismo non è il conflitto fra il capitale ed il lavoro salariato […]. La contraddizione maggiore, piuttosto, risiede nel fatto che l'accumulazione del capitale mina inevitabilmente le sue proprie basi: solo il lavoro vivo crea valore”.

Due sovranità, anzi tre, anzi di più


Poichè parliamo spesso di sovranità, è interessante analizzare il suo significato. Qui tento di individuare alcuni aspetti del concetto di sovranità.
Conviene partire da una definizione di sovranità, ripiglio quella che avevo fornito per anarcopedia:
La sovranità è una forma di potere che non riconosce alcuna autorità di livello superiore. Solitamente la sovranità è intesa a livello dello Stato (che solitamente si identifica con lo stato-nazione). In altre parole lo Stato è un potere sovrano che non dipende da altri poteri.
Qui emerge una delle contraddizioni del concetto: sovranità deriva etimologicamente da sovrano, cioè re, esso è intimamente legato a concetti monarchici.
In un modo che dà da pensare, nelle odierne democrazie si parla spesso di "sovranità popolare".
Insomma la sovranità, che è un concetto riferito ad una persona, ad un singolo, la massima autorità di uno Stato, viene oggi concepita come un concetto pluralistico, di un popolo. Nasce poi in ambiente monarchico e vorrebbe essere applicato in ambito democratico. Qui c’è qualche aspetto paradossale, su cui vorrei tornare dopo.
 
Ma restiamo per ora alla sovranità come è citata nella Costituzione italiana:

Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Emerge qui una visione della sovranità che deriva dal grande costituzionalista Kelsen: la sovranità viene fornita tramite la Grundnorm, la legge fondamentale (la Costituzione) sulla cui base viene costruito l’edificio giuridico. In questa visione la sovranità si costruisce sulla legge.
Il concetto può essere capovolto, facendo diventare la Costituzione come la legge di grado più elevato, da cui discendono tutte le altre.
Non cambia molto, ma rende l’idea di una legge che discende dall’alto, invece che costruita dal basso.
Nella prospettiva di Kelsen si evita però di introdurre la possibilità di una legge che discende da un ente esterno, l’idea della legge divina che per millenni è stata considerata valida.
Eppure un altro famoso giurista ammoniva che tutti i concetti politici originano dalla teologia.(1) Era Carl Schmitt, più famoso per un altro concetto di sovranità: “Sovrano è chi decide lo stato di eccezione”.
La prospettiva di Schmitt è basata sull’idea che la legge non può prevedere ogni situazione, ci saranno delle situazioni eccezionali in cui bisognerà prendere decisioni, anche se non c’è una norma esplicita. Per lui il sovrano è colui (o l’ente) che decide cosa fare in questi casi eccezionali.
Anche se non è molto esplicita, anche la sovranità di Schmitt è presente nella nostra Costituzione, perché essa deve prevedere cosa fare nelle situazioni impreviste. Essa compare negli artt. da 134 in poi.
Art. 134. La Corte costituzionale giudica:
sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni;
sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione.
 
Particolarmente interessante l’ultimo comma dell’art 137.
Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione.
 
Insomma se si volesse leggere la nostra Costituzione con la visione di Schmitt, la sovranità vera sarebbe qui, e risiederebbe nella Corte costituzionale, non nel popolo. Ci sarebbe certamente qualche aspetto di forzatura, perché la Costituzione fu scritta in un’ottica alla Kelsen, ma qui emerge l’idea che esista un’altra sovranità, oltre a quella citata esplicitamente, la sovranità di chi decide ed ha l’ultima parola.
Un’interessante conseguenza è che la Corte costituzionale non è solo un organismo giuridico, ma ha sostanziali contenuti politici.
 
Vale comunque la pena di ricordare che Kelsen e Schmitt furono spesso in polemica tra loro, ottenendo notorietà con le loro controversie oltre che con le loro idee.
Nel frattempo in Italia il nostro Costantino Mortati, senza troppo clamore, definiva l’idea di costituzione materiale, come qualcosa di vivente nella nazione, nel suo popolo e nelle sue istituzioni, qualcosa che si poteva discostare fortemente dalla norma scritta. Mi resta la sensazione che avesse visto più lungo degli altri due famosi giuristi.
In ogni caso, le due visioni di Kelsen e Schmitt mostrano due visioni alquanto interessanti di sovranità, decisamente diverse tra loro.
Ma il discorso è ben più complesso. La parola sovranità compare ancora all’ art. 11:
L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Qui compare un concetto diverso dai precedenti, ancora una volta poco esplicitato, l’Italia vuole essere uno Stato sovrano che decide in sua autonomia le politiche e le decisioni da adottare. Insomma uno Stato è sovrano quando non ci sono ingerenze di altri Stati.
Qui la questione non è chi decide all’interno dello Stato, ma che lo Stato è capace di decidere di suo, che non è una colonia amministrata da un viceré. Forse qui la prudenza dei padri costituenti ha evitato di inserire dichiarazioni che non si potevano mantenere, vista la sconfitta subita nella II Guerra mondiale (e le onerose condizioni di pace), eppure questo concetto di sovranità è ben visibile nel diritto all’autodeterminazione dei popoli presente nelle dichiarazioni ONU. (Ad esempio la Carta delle Nazioni Unite, 26 giugno 1945; art. 1, par. 2 e art. 55)
Questo è un principio molto citato e poco applicato. Eppure se lo Stato non è sovrano, ha senso parlare di sovranità al suo interno?
Va detto che all’interno della sovranità statale si ritrova la sovranità monetaria della MMT (diffusa da Paolo Barnard con varie spiegazioni, inizialmente Modern Money Theory): uno stato ha la sovranità monetaria quando è padrone della propria moneta e della propria Banca centrale.
Qui conviene aggiungere il commento di un utente di Comedonchisciotte. (Jor-el)
Il discorso della sovranità è costellato di tabù, il più grande dei quali è quello che riguarda la sovranità militare, di cui non si può assolutamente parlare e che invece è direttamente collegata alla sovranità politica e monetaria. Con un paletto del genere, sfido che i discorsi diventano "complicati"! Viceversa, una bella mappa dell'Europa in cui siano ben evidenziate le centinaia di basi militari straniere (magari sovrapponendo ad essa quella dei flussi del contrabbando di droga o dei migranti) chiarirebbe molte cose.
E quindi quella che per Benigni era “la Costituzione più bella del mondo “ qualche dimenticanza la ha.

 
Vorrei ritornare in chiusura sul paradosso iniziale, di come conciliare l’idea di re con il popolo sovrano. Sembrano concetti alquanto incompatibili, eppure Antonio Gramsci fece un’operazione di questo tipo, partendo dal “Principe” di Machiavelli per arrivare alla moderna forma del principe, che per lui doveva essere un partito politico, vivo, attivo, egemone.
E allora si , in un'ottica gramsciana il popolo sovrano può esistere. Se è un popolo attivo, militante, impegnato. Non è un popolo di elettori.
 
Note
1) Qui la frase precisa è “tutti i concetti decisivi della dottrina moderna dello Stato sono concetti teologici secolarizzati”.