C'è qualcosa che non trovo da nessuna parte. Nessuno sembra abbia sentito il bisogno di chiedere scusa al mondo mussulmano, all'Islam, per tutto lo sterco che viene buttato loro addosso.
E io vorrei chiedere scusa di questa barbarie occidentale verso l'Islam.
Perchè è solo barbarie il criminalizzare un'intera religione e tutte le persone che la praticano in varie forme, gli innumerevoli Stati in cui la popolazione è mussulmana, i migranti che arrivano da noi. Tutti sono ormai guardati con sospetto, come potenziali terroristi, kamikaze, stragisti.
E' chiaro che è una strategia preordinata, evidentemente per scopi di potere, ma fa parecchio schifo questa strategia di criminalizzazione.
Scusateci, non tutti siamo barbari in Occidente e non condividiamo questa barbarie.
E so bene che anche in mezzo ai mussulmani ci sono persone cattive, non pretendo che siano tutti buoni. Ogni comunità umana ha i suoi problemi. Ma la barbarie occidentale sta superando ogni limite.
giugno 2016
venerdì 3 giugno 2016
giovedì 10 settembre 2015
LA CANZONE DEL SANGUE SALMONATO
Mi portano il nuovo giallo di Giovanni Ricciardi, "La
canzone del sangue".
L'editore è Fazi, eccellente editore.
L'autore, Ricciardi, mi dicono che lo conosco, ma ho
difficoltà a ricordare. Comunque da tempo avevo intenzione di leggerlo, e una storia è
una storia, anche se non ricordo la faccia di chi l'ha scritta. La storia esiste anche senza
l'autore.
O forse no.
Il romanzo parte sparato con una citazione della famosa
canzone "Vitti na crozza..." e prosegue bene. A
fine libro sarò contento di aver finalmente capito quei versi ipnotici che più
volte mi avevano catturato, ma non ero mai riuscito a
decodificare, sempre restando con un disagio più o meno latente. La testa
sopra il cannone mi è sempre sembrata incongrua. Eppure doveva avere un
significato.
Il racconto scorre bene, senza troppi dettagli
folcloristici.
Ricciardi sa scrivere, il plot c'è, e anche qualche pezzo di bravura, come quando l'amico
dell'investigatore spiega il (suo) significato di quella frase del "Padre nostro":
"non ci indurre in tentazione".
Eppure la storia introduce anche i suoi elementi che mi sconcertano, mi appaiono incongrui.
Perchè uno dei
personaggi è Montalbano? Montalban è un altro scrittore di gialli, apprezzato
da Camilleri, ma che c'entra qui?
Perchè uno dei personaggi si chiama Jorge, in modo analogo a
"Il nome della rosa?"
Perchè il commissario Pozzetti parla di se stesso come un
personaggio di carta?
Forse l'autore sta sovraccaricando il testo.
O forse voleva proprio fare un giallo salmonato.
Conviene risalire a Wu Ming ed al suo testo "L’incontro
tra il salmone e gli asparagi sul tavolo del narratologo".
Cito:
Il libro Storytelling di Christian Salmon, improvvisamente e
improvvidamente à la page, stava imponendo un approccio semplicistico ...
Salmon descriveva un grande e maligno complotto finalizzato a imporre un Nuovo
Ordine Narrativo ... per mezzo di un’arma di distrazione di massa chiamata –
appunto – storytelling. In inglese il vocabolo non designa altro che l’atto
basilare e primevo di raccontare storie, ma nella neolingua salmoniana si
zavorrava di connotazioni sinistre: raccontare equivaleva tout court a
ingannare, abbindolare, irretire, manipolare; le storie erano strumenti del
dominio capitalistico in mano a pubblicitari e markettari; lo storytelling era
il male.
...
Non c’è mai stata un’età del mondo in cui la comunicazione
fosse sganciata dal racconto e dalle mitologie depositate nel linguaggio. La
narrazione non occupa un campo specifico (di mero intrattenimento), e non
esiste un discorso logico-razionale “puro”.
...
Per Salmon, invece, il capitalismo aveva imposto andamenti e
schemi narrativi a porzioni di realtà in precedenza esterne alle narrazioni
(?), finendo per «inflazionare» e corrompere irreparabilmente l’atto di
raccontare. Atto che andava – non si capiva bene come – disertato.
...
L’indignazione contro lo storytelling, insomma, fornì ad
alcuni nostri colleghi l’ennesima occasione di navigarsi l’ombelico. L’onta
esibita e la sfiducia affettata, preincanalate nei varchi di un certo
postmodernismo stagionato, diedero luogo a metanarrazioni. Lo scrittore
raccontava della propria sfiducia nei confronti del raccontare: «Mi piacerebbe
scrivere un romanzo, ma il romanzo è un’arma del potere, e allora scrivo sì un
romanzo, ma ogni due pagine mi intrometto per ribadire che il romanzo è un’arma
del potere e nemmeno questo sfugge… Anzi, un po’ sfugge, perché proprio grazie
a queste mie intromissioni non è davvero un romanzo ma un romanzo che si nega
come tale etc. etc.»
...
Tutto questo per inseguire quella che Salmon, vagamente e
senza fornire alcun ragguaglio, chiamava «contronarrazione». Si capiva soltanto
che doveva tendere allo «sfuocare» lo sguardo del narratore, per «sfumare» la
potenza seduttiva delle storie. Tante pagine di sacro furore per concludere che
il vino annacquato ubriaca di meno.
Ritornando al giallo di Ricciardi vedo tutti i segni della
sindrome malefica individuata da Wu Ming, l'autore si intromette in
continuazione per far capire che conosce gli effetti corruttori della
narrazione.
Personalmente preferivo Manzoni, il quale nei "Promessi
sposi" non solo non si intrometteva, ma faceva di tutto per allontanarsi
dal testo tramite un altro autore fittizio. Operazione replicata da Eco, il
quale fa scrivere "il nome della rosa" ad Adso da Melk.
Ma forse Ricciardi non li conosce.
Ma forse Ricciardi non li conosce.
lunedì 22 dicembre 2014
ALLARMI NEL TEMPO DI GODOT
Si è svolta oggi a Roma la Conferenza organizzata da pandora TV, denominata Global Warning. Più che buona la partecipazione, considerando il concomitante sciopero dei mezzi pubblici, la sala era quasi piena (oltre cento persone intorno a mezzogiorno).
Poderoso l’apparato messo in campo da Giulietto Chiesa e Pino Cabras, ottima sala, servizi di traduzione simultanea, ma soprattutto relatori di altissimo livello, al di fuori del mainstream soporifero che ci ammorba tutti i giorni dalla TV e dalla stampa asservita.
Per niente casuale la parola “WAR” evidenziata nel warning. Viviamo tempi di guerra, anzi guerre diffuse e spesso sotterranee.
Riprendo parzialmente la presentazione dell’evento che aveva fatto libreidee il 3/12:
Cos’hanno in comune il grande stratega economico di Vladimir Putin, assediato dall’Occidente, e il cervello finanziario di Ronald Reagan, il presidente che rottamò la guerra fredda insieme a Gorbaciov? Entrambi hanno paura, oggi, di uno scenario che Papa Francesco non esita a definire Terza Guerra Mondiale. E hanno deciso di discuterne, insieme, al meeting internazionale battezzato “Global warning”, promosso a Roma da “Pandora Tv”, la web-tv creata da Giulietto Chiesa in collaborazione con il network internazionale russo “Rt” per illuminare i retroscena della crisi mondiale, squarciando il velo delle reticenze quotidiane dei media. E così oggi si parlano direttamente l’economista del Cremlino, Sergej Glazev, e Paul Craig Roberts, già viceministro del Tesoro di Reagan e editorialista del “Wall Street Journal”, considerato uno degli opinion leader più influenti del mondo. Spaventato, come Glazyev, dall’aggressività della politica di Obama verso la Russia, che sta avvitando la crisi in una spirale pericolosissima: guerra economica e finanziaria, sullo sfondo della minaccia aeronavale e missilistica rappresentata dalla Nato nell’Est Europa.Riprendo anche la poderosa lista dei partecipanti:
Pino Cabras, editor-in-chief of Megachip - www.megachip.info
Giulietto Chiesa, president of Pandora TV - www.pandoratv.it - and Alternativa – www.alternativa-politica.it
Pepe Escobar, columnist for Asia TimesOnline, Russia Today, author of "Empire of Chaos" (2014)
Paola De Pin, Italian politician, member of the Italian Parliament, member of the Commission for the Human Rights and the Commission for the Balance at Senate
Marcello Foa, journalist and CEO of TImedia and Corriere del Ticino
Talal Khrais, journalist, corrispondent for Al Manar, Lebanon
Marta Grande, Italian politician, MP of the Fire Stars Movement, Member of the Commission Foreign and Community Affairs at the Chamber of Deputies
Mikhail Vladimirovich Leontyev, Press Secretary Director of the Information and Advertisement Department in the rank of Vice President of Rosneft
Piero Pagliani, researcher in the field of algebra and logic, author of several essays on the international politics
Tatiana Zdanoka, Latvian politician, Member of the European Parliament and a co-Chairperson of For Human Rights in United Latvia, part of the European Greens – European Free Alliance group
Other contribution by video interviews:
Sergey Glazyev, Russian politician and economist, Presidential Aide for the Coordination of the work of Federal Agencies in developing the Customs Union of Belarus, Kazakhstan, and Russia
Paul Craig Roberts, American economist and columnist for Creators Syndicate, Wall Street Journal, Business Week, and Scripps Howard News Service. He served as an Assistant Secretary of the Treasury in the Reagan Administration
Se non faccio confusione, tutti i relatori previsti hanno partecipato, anzi c’è stata pure qualche aggiunta (ad esempio un intervento registrato di Salvini).
Per il dettaglio delle relazioni consiglio di guardarle su Pandora TV (è tutto registrato ed a breve dovrebbe essere disponibile).
L’immagine che emerge dalle relazioni è coerente e decisamente preoccupante, per l’intero pianeta, ma soprattutto per il cosiddetto Occidente, con prospettive particolarmente cupe per l’Europa occidentale.
Ma almeno i problemi esposti sono problemi reali, derivanti da onesta analisi di ciò che sta succedendo e su tali problemi reali si può intervenire in qualche modo, mentre il mondo fantastico della TV resta uno spettacolo sempre più fine a se stesso, che si parla addosso come una Biblioteca di Babele.
Resta un angosciante senso di urgenza, il degrado avanza a ritmo accelerato e la resistenza a questo caos (caos è il termine preferito da Pepe Escobar) è ancora debole, frammentata, disorganizzata. Era abbastanza chiaro che tra gli scopi del convegno c’era anche la voglia di creare una massa critica di fonti di informazione (ma anche cultura) alternativa, una massa critica che sia in grado di innescare una reazione a catena nelle popolazioni.
Indubbiamente abbiamo visto un abbondante panorama di persone che hanno capito problemi fondamentali. C’era un’ampia convergenza sull’idea che fossero stati affrontati problemi di base.
Ma la circolazione delle idee resta in sostanza relegata ad una piccola minoranza. La massa delle persone continua a vivere in un mondo ancora condizionato dai media.
Non hanno molta fiducia, sono preoccupati, si agitano un po’. Ma in sostanza non fanno niente di pericoloso per il sistema attuale.
Mi ricordano Vladimiro ed Estragone in “aspettando Godot”, aspettano l’arrivo di qualcuno che dovrebbe risolvere i loro problemi. Ma Godot non arriva e loro continuano a macerarsi nell’attesa inconcludente.
Insomma coloro (tanti) che sono succubi dei media, sono in pratica neutralizzati.
Roberto Quaglia fa un importante lavoro di decostruzione dei miti dei media. Operazione meritoria.
Eppure vedo che la decostruzione (analisi, smontaggio, per chi gradisce termini più usuali) funziona per le persone attente, quelle che già hanno capito molto, ma sulle masse ha un effetto sostanzialmente nullo.
Il mito non è sensibile alla decostruzione. E’ più conveniente creare miti alternativi a quelli imperanti, piuttosto che cercare di demolire quelli esistenti. Un mito si combatte con un altro mito più che con la decostruzione.
E qui credo che si spieghi l’altro fenomeno evidenziato da G. Chiesa, il fallimento epocale delle sinistre. Esse hanno rinunciato a tutti i miti della propria tradizione, senza riuscire a sostituirli con nuovi miti (o forse nemmeno hanno provato).
L’approccio di Giulietto Chiesa, mette urgenza, il tempo stringe, potrebbe arrivare il disastro prima che siamo pronti a fare qualcosa. Pur condividendo in sostanza i suoi argomenti, (escludendo un certo tono che mi appare troppo apocalittico) ho qualche difficoltà a vedere il tutto come una corsa contro il tempo. Mi ricorda troppo Horses: Warfare e debito nella palude irachena, (un vecchio articolo di Rekombinant che non trovo più) nel quale la corsa per depredare l’Iraq del suo petrolio, mentre il debito Usa cresceva, veniva paragonata ad una corsa di cavalli. La domanda in sostanza era: arriverà a fine corsa prima il debito o il petrolio?
Forse è arrivato prima il petrolio, forse il debito comunque è arrivato a un punto inarrestabile che distruggerà gli USA, ma la sensazione è che l’analogia della corsa di cavalli fosse suggestiva ma non del tutto esatta.
Ancora una volta il mondo si è mostrato più complesso di ciò che credevamo.
E allora il futuro non lo riesco a leggere, ma del passato ho qualche ricordo, e più che pensare ad una corsa di cavalli che a un certo punto termina, preferisco tenermi il mio motto (rielaborato da una frase di Henning Mankell):
L’importante è non arrendersi mai.
(Il che coincide in buona parte con quanto diceva Leontiev della Russia: La Russia non si arrenderà mai).
Truman
12.12.2014 (rivisto il 13.12)
lunedì 30 giugno 2014
I gattopardi falliti d’Europa
«Noi fummo i gattopardi, i leoni: chi
ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene; e tutti quanti,
gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale
della terra.»
“Il gattopardo” di Tomasi di Lampedusa è un romanzo suggestivo, spesso citato e non del tutto capito.
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” è la frase che viene spesso citata, ma in questa frase ciò che non viene detto è più importante di ciò che viene detto.
La scelta del principe di Salina di aiutare i Savoia nell’unificazione dell’Italia fece in modo di mantenere i privilegi delle classi aristocratiche sotto il nuovo re, ma per le classi popolari fu un disastro: pulizia etnica, deportazione, morte e disperazione, fame, vergogna, emigrazione, furono alcune delle conseguenze.
Insomma per le masse cambiò molto, ma questo non interessava i principi. “Mors tua, vita mea”, dicevano gli antichi romani quando si trovavano di fronte a scelte del genere.
Il gattopardo però individua correttamente che gli elementi in gioco sono almeno tre: il nuovo padrone, la classe nobiliare e il popolo. Egli trova la propria collocazione più adeguata in questo gioco a tre puntando sul nuovo padrone. Ad ogni costo (per gli altri).
Alcune delle dinamiche che si verificarono durante l’unificazione d’Italia si stanno verificando adesso con l’Europa. La classe degli industriali da tempo aveva capito dove stavano puntando le forze in campo e decise di saltare sul carro del vincitore.
I gattopardi si trasformano in base alle convenienze. E credono di essere furbi.
Gli industriali italiani (e non solo loro) hanno creduto che il carrozzone dell’Europa fosse il carro dei vincitori. E sono saliti su.
Inizialmente hanno ricevuto numerosi vantaggi rispetto a dipendenti e sindacati. Le protezioni legali dei lavoratori sono quasi sparite ed i sindacati recitano ormai un conflitto che non c’è più. I salari sono scesi. La manodopera è abbondante.
Truman
maggio 2014
“Il gattopardo” di Tomasi di Lampedusa è un romanzo suggestivo, spesso citato e non del tutto capito.
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” è la frase che viene spesso citata, ma in questa frase ciò che non viene detto è più importante di ciò che viene detto.
La scelta del principe di Salina di aiutare i Savoia nell’unificazione dell’Italia fece in modo di mantenere i privilegi delle classi aristocratiche sotto il nuovo re, ma per le classi popolari fu un disastro: pulizia etnica, deportazione, morte e disperazione, fame, vergogna, emigrazione, furono alcune delle conseguenze.
Insomma per le masse cambiò molto, ma questo non interessava i principi. “Mors tua, vita mea”, dicevano gli antichi romani quando si trovavano di fronte a scelte del genere.
Il gattopardo però individua correttamente che gli elementi in gioco sono almeno tre: il nuovo padrone, la classe nobiliare e il popolo. Egli trova la propria collocazione più adeguata in questo gioco a tre puntando sul nuovo padrone. Ad ogni costo (per gli altri).
Alcune delle dinamiche che si verificarono durante l’unificazione d’Italia si stanno verificando adesso con l’Europa. La classe degli industriali da tempo aveva capito dove stavano puntando le forze in campo e decise di saltare sul carro del vincitore.
I gattopardi si trasformano in base alle convenienze. E credono di essere furbi.
Gli industriali italiani (e non solo loro) hanno creduto che il carrozzone dell’Europa fosse il carro dei vincitori. E sono saliti su.
Inizialmente hanno ricevuto numerosi vantaggi rispetto a dipendenti e sindacati. Le protezioni legali dei lavoratori sono quasi sparite ed i sindacati recitano ormai un conflitto che non c’è più. I salari sono scesi. La manodopera è abbondante.
Ma il problema vero per le industrie è che ormai il vero
potere dell’Europa è quello finanziario. Gli industriali si credevano
gattopardi e sono stati gli utili idioti della costruzione europea. (1)
In un sistema che cerca il massimo profitto per il capitale
non è più la produzione che può fornire gli utili voluti, solo la finanza può garantire
buoni profitti. Marx non aveva torto quando spiegava la caduta tendenziale del
saggio di profitto. La produzione non conviene più al capitale. Con il piccolo
inconveniente che la ricerca di profitto finanziario tende a distruggere intere
nazioni. Ma così è andata, lo spiegava bene Anselm Jappe (2). Adesso sono
sacrificabili anche gli industriali.
Avrebbero fatto meglio ad allearsi con i propri dipendenti
per combattere contro questa Europa di banchieri.
Ma adesso non hanno più anima, l’hanno venduta al diavolo
della finanza. E dopo l’anima stanno perdendo anche le loro aziende. Gattopardi
falliti.
Truman
maggio 2014
NOTE
(1) Il
film “The
Brussels business” mostrava abbastanza bene questa progressiva sparizione
degli industriali dal timone della nave europea, a tutto vantaggio della
finanza.
(2) Ad
esempio qui: http://www.sinistrainrete.info/marxismo/2411-anselm-jappe-emanciparsi.html
“la maggior contraddizione del capitalismo non è il conflitto fra il capitale
ed il lavoro salariato […]. La contraddizione maggiore, piuttosto, risiede nel
fatto che l'accumulazione del capitale mina inevitabilmente le sue proprie
basi: solo il lavoro vivo crea valore”.
Due sovranità, anzi tre, anzi di più
Poichè parliamo spesso di sovranità, è interessante analizzare il suo significato. Qui tento di individuare alcuni aspetti del concetto di sovranità.
Conviene partire da una definizione di sovranità, ripiglio quella che avevo fornito per anarcopedia:
La sovranità è una forma di potere
che non riconosce alcuna autorità di livello superiore. Solitamente la
sovranità è intesa a livello dello Stato (che solitamente si identifica
con lo stato-nazione). In altre parole lo Stato è un potere sovrano che
non dipende da altri poteri.
Qui emerge una delle contraddizioni del concetto: sovranità deriva etimologicamente da sovrano, cioè re, esso è intimamente legato a concetti monarchici.
In un modo che dà da pensare, nelle odierne democrazie si parla spesso di "sovranità popolare".
Insomma la sovranità, che è un concetto riferito ad una persona, ad un
singolo, la massima autorità di uno Stato, viene oggi concepita come un
concetto pluralistico, di un popolo. Nasce poi in ambiente monarchico e
vorrebbe essere applicato in ambito democratico. Qui c’è qualche aspetto
paradossale, su cui vorrei tornare dopo.
Ma restiamo per ora alla sovranità come è citata nella Costituzione italiana:
Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Emerge qui una visione della sovranità che deriva dal grande costituzionalista Kelsen: la sovranità viene fornita tramite la Grundnorm, la legge fondamentale (la Costituzione) sulla cui base viene costruito l’edificio giuridico. In questa visione la sovranità si costruisce sulla legge.
Il concetto può essere capovolto, facendo diventare la Costituzione come la legge di grado più elevato, da cui discendono tutte le altre.
Non cambia molto, ma rende l’idea di una legge che discende dall’alto, invece che costruita dal basso.
Nella prospettiva di Kelsen si evita però di introdurre la possibilità di una legge che discende da un ente esterno, l’idea della legge divina che per millenni è stata considerata valida.
Eppure un altro famoso giurista ammoniva che tutti i concetti politici originano dalla teologia.(1) Era Carl Schmitt, più famoso per un altro concetto di sovranità: “Sovrano è chi decide lo stato di eccezione”.
La prospettiva di Schmitt è basata sull’idea che la legge non può prevedere ogni situazione, ci saranno delle situazioni eccezionali in cui bisognerà prendere decisioni, anche se non c’è una norma esplicita. Per lui il sovrano è colui (o l’ente) che decide cosa fare in questi casi eccezionali.
Anche se non è molto esplicita, anche la sovranità di Schmitt è presente nella nostra Costituzione, perché essa deve prevedere cosa fare nelle situazioni impreviste. Essa compare negli artt. da 134 in poi.
Art. 134. La Corte costituzionale giudica:
sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi
e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni;
sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione.
Particolarmente interessante l’ultimo comma dell’art 137.
Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione.
Insomma se si volesse leggere la nostra Costituzione con la visione di Schmitt, la sovranità vera sarebbe qui, e risiederebbe nella Corte costituzionale, non nel popolo. Ci sarebbe certamente qualche aspetto di forzatura, perché la Costituzione fu scritta in un’ottica alla Kelsen, ma qui emerge l’idea che esista un’altra sovranità, oltre a quella citata esplicitamente, la sovranità di chi decide ed ha l’ultima parola.
Un’interessante conseguenza è che la Corte costituzionale non è solo un organismo giuridico, ma ha sostanziali contenuti politici.
Vale comunque la pena di ricordare che Kelsen e Schmitt furono spesso in polemica tra loro, ottenendo notorietà con le loro controversie oltre che con le loro idee.
Nel frattempo in Italia il nostro Costantino Mortati, senza troppo clamore, definiva l’idea di costituzione materiale, come qualcosa di vivente nella nazione, nel suo popolo e nelle sue istituzioni, qualcosa che si poteva discostare fortemente dalla norma scritta. Mi resta la sensazione che avesse visto più lungo degli altri due famosi giuristi.
In ogni caso, le due visioni di Kelsen e Schmitt mostrano due visioni alquanto interessanti di sovranità, decisamente diverse tra loro.
Ma il discorso è ben più complesso. La parola sovranità compare ancora all’ art. 11:
L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Qui compare un concetto diverso dai precedenti, ancora una volta poco esplicitato, l’Italia vuole essere uno Stato sovrano che decide in sua autonomia le politiche e le decisioni da adottare. Insomma uno Stato è sovrano quando non ci sono ingerenze di altri Stati.
Qui la questione non è chi decide all’interno dello Stato, ma che lo Stato è capace di decidere di suo, che non è una colonia amministrata da un viceré. Forse qui la prudenza dei padri costituenti ha evitato di inserire dichiarazioni che non si potevano mantenere, vista la sconfitta subita nella II Guerra mondiale (e le onerose condizioni di pace), eppure questo concetto di sovranità è ben visibile nel diritto all’autodeterminazione dei popoli presente nelle dichiarazioni ONU. (Ad esempio la Carta delle Nazioni Unite, 26 giugno 1945; art. 1, par. 2 e art. 55)
Questo è un principio molto citato e poco applicato. Eppure se lo Stato non è sovrano, ha senso parlare di sovranità al suo interno?
Va detto che all’interno della sovranità statale si ritrova la sovranità monetaria della MMT (diffusa da Paolo Barnard con varie spiegazioni, inizialmente Modern Money Theory): uno stato ha la sovranità monetaria quando è padrone della propria moneta e della propria Banca centrale.
Qui conviene aggiungere il commento di un utente di Comedonchisciotte. (Jor-el)
Il discorso della sovranità è costellato di tabù, il più grande dei
quali è quello che riguarda la sovranità militare, di cui non si può
assolutamente parlare e che invece è direttamente collegata alla
sovranità politica e monetaria. Con un paletto del genere, sfido che i
discorsi diventano "complicati"! Viceversa, una bella mappa dell'Europa
in cui siano ben evidenziate le centinaia di basi militari straniere
(magari sovrapponendo ad essa quella dei flussi del contrabbando di
droga o dei migranti) chiarirebbe molte cose.
E quindi quella che per Benigni era “la Costituzione più bella del mondo “ qualche dimenticanza la ha.
Vorrei ritornare in chiusura sul paradosso iniziale, di come conciliare l’idea di re con il popolo sovrano. Sembrano concetti alquanto incompatibili, eppure Antonio Gramsci fece un’operazione di questo tipo, partendo dal “Principe” di Machiavelli per arrivare alla moderna forma del principe, che per lui doveva essere un partito politico, vivo, attivo, egemone.
E allora si , in un'ottica gramsciana il popolo sovrano può esistere. Se è un popolo attivo, militante, impegnato. Non è un popolo di elettori.
Note
1) Qui la frase precisa è “tutti i concetti decisivi della dottrina moderna dello Stato sono concetti teologici secolarizzati”.
giovedì 16 gennaio 2014
La soluzione non è l’economia
Impazzano sui mass media le discussioni sull'economia e sulla relativa crisi. Dai mezzi di comunicazione di massa tradizionali (i quali solitamente riportano informazioni sovrapponibili) i dibattiti economici straripano nei blog e nei social network.
Così termini come spread, Bund e BTP dilagano nel parlare comune.
Ma siamo sicuri che il problema sia soltanto economico?
O forse l'errore sta proprio nel pensare che la soluzione ai nostri problemi quotidiani vada posta in termini economici?
Trappole
Una trappola può anche essere costruita con concetti organizzati in modo opportuno. Non è necessario che ci siano elementi sensibili in una trappola, anzi le trappole migliori sono concettuali, perché sono più difficili da percepire. Le catene più forti sono quelle che non vediamo.
Le trappole del linguaggio non sono certamente un concetto nuovo. Ad esempio, nella premessa alla "Piccola enciclopedia marxista" (1) c'era questa citazione:
Nella remota antichità
governarono stringendo nodi,
in epoca successiva i santi
li sostituirono con la scrittura.
Lu Hsün – da I Ching
Una delle trappole della parola usate più di frequentemente è quella che io chiamo "la trappola del dualismo".
La trappola del dualismo
Quasi tutte le contrapposizioni fornite dai mass-media sono trappole mentali.
Le contrapposizioni più frequenti, del tipo destra-sinistra, amico-nemico, Obama-Romney, Milan-Inter, sono dei meccanismi dove i due termini non individuano delle scelte reali, delle scelte di vita, ma servono solo ad identificare un piano privo di soluzioni, dove il lettore resta intrappolato.
Per uscire da questi vicoli ciechi serve una mossa che esca dal piano, in gergo scacchistico è una mossa del cavallo.
Una delle trappole usate più di frequente è quella che, tramite la contrapposizione capitalismo-comunismo, produce la visione dell'homo oeconomicus (2), cioè la folle idea che la vita umana possa essere ridotta a un assieme di transazioni economiche, di scambi monetari.
La trappola si richiude nel momento in cui le popolazioni si focalizzano sulle differenze tra comunismo e capitalismo, perdendo di vista ciò che è invariante nei due sistemi: l'idea che la vita umana sia riconducibile a scambi monetari. E' un'idea errata che di solito nemmeno viene percepita, esso è uno dei dogmi inespressi del pensiero unico odierno.
No, la vita umana non è riconducibile all'economia. L'economia (da oikos + nomos, spesso con l'aggiunta sottintesa di polis) è la scienza che si occupa di soddisfare bisogni umani con risorse limitate, è una scienza certamente interessante, ma essa si occupa di mezzi, non di fini.
I fini vanno stabiliti da un'altra parte, e deve essere l'etica, oppure la politica, a stabilire i fini. Se si antepongono i mezzi ai fini (come si è fatto di recente con il pareggio di bilancio in Costituzione, il cosiddetto Fiscal Compact) si possono solo combinare disastri. Disastri che stiamo vedendo.
"Non di solo pane vive l'uomo" diceva un ebreo semidimenticato.
Oggi invece si gioca ancora con il fantasma del marxismo, che viene contrapposto al capitalismo, dimenticando che sotto molti aspetti Marx è uno dei più grandi apologeti del capitalismo. Già nel “Manifesto” del 1848 egli esalta la forza rivoluzionaria della borghesia, e quindi del capitalismo, rispetto al mondo feudale (3). Successivamente Marx sostiene la priorità dell'economia ("struttura") sulla religione o sulle discipline umane (come l'etica), che sono "sovrastruttura" (4). La sua opera più nota, "Il Capitale", mantiene queste impostazioni.
Appunto una trappola, i due modelli ferocemente contrapposti hanno un nucleo forte in comune ed è molto più importante la parte comune non detta che le differenze enfatizzate dai media. E come tutte le trappole, tornare indietro, quando ci si riesce, è certamente doloroso.
Nel sacro abitano i mostri
La norma che viene interiorizzata dalle popolazioni, dopo incessante lavaggio del cervello, è la riduzione della vita ad economia (“L'economia è tutto”, scrive qualcuno sul blog) . E' una norma ancora più forte nel momento in cui non viene nemmeno percepita.
La norma tacita proibisce di cercare altre forme di esistenza. Esse sono tabù. Ma il tabù identifica la presenza del sacro, spiega Mircea Eliade.
E "nel sacro abitano i mostri", dice Galimberti. (5). Sacralizzando la vita umana come attività economica abbiamo scatenato i mostri.
No, non sarà l'economia a salvarci e nemmeno la rivoluzione proletaria, ma comprendendo (e qui il materialismo dialettico aiuta) la complessità del mondo reale e la necessità di elaborare collettivamente i problemi reali, trovando soluzioni a misura d'uomo (soluzioni politiche a problemi umani) e combattendo per tali obiettivi, molto si può fare.
Truman
NOTE
- http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm (La citazione mi piace molto ma non sono riuscito a rintracciare l'originale cinese)
- http://it.wikipedia.org/wiki/Homo_oeconomicus
- La borghesia ha percorso, nella storia, un ruolo essenzialmente rivoluzionario[…]
Questa rivoluzione continua dei sistemi di produzione, questo
movimento costante di tutto il sistema sociale, questa agitazione,
questa poca sicurezza eterne, distinguono l’epoca borghese da tutte le
precedenti. […]
La borghesia, dal suo avvenimento appena secolare, creò delle forze
produttive, più svariate e più colossali che tutte le generazioni
passate prese insieme. La sommissione delle forze della natura, le
macchine, l’applicazione della chimica, all’industria ed
all’agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, l’incanalamento
dei fiumi, delle popolazioni intiere che sorgono come per incanto, qual
secolo precedente avrebbe mai sognato che simili forze produttrici
dormivano nel lavoro sociale?Marx, Engels, 1848 ("Manifesto del Partito Comunista")
- "Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.[...]Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura."
Karl Marx, 1859 (estratto da: Prefazione "Per la critica dell’Economia Politica")
- Da “Idee, istruzioni per l’uso” , pag. 205, alla voce Psicoanalisi
Etichette:
economia,
filosofia,
informazione,
politica,
potere,
psicologia,
sapere
martedì 28 maggio 2013
Le pulci e i pidocchi
Alcune note a margine del convegno del 25-5, a Roma, sull’euro e sulla crisi, organizzato dal Comitato NO DEBITO.
Una premessa dal romanzo di Irvin D. Yalom Le lacrime di Nietzsche:
Ma Moreno Pasquinelli approfondisce e dice che la crisi è più generale ed è di tutto il capitalismo.
Il discorso di Pasquinelli è ben dettagliato sul blog Sollevazione.
Cito:
Interviene infine Giulietto Chiesa e chiarisce che il problema è ben più serio, non è semplicemente una crisi del capitalismo, ma esso segnala il raggiungimento dei limiti dello sviluppo. Il riferimento è al rapporto "I limiti dello sviluppo" commissionato al MIT dal Club di Roma e pubblicato per la prima volta nel 1972 (in seguito è stato pubblicato un aggiornamento del rapporto).
Bisogna imparare a convivere con il concetto di limite, dice Giulietto. Lo sviluppo non è più possibile. Se non vogliamo la guerra serve la decrescita.
Quello di Chiesa appare il discorso più coerente e profondo di tutti, ne vediamo quotidianamente delle evidenze (per esempio con le alterazioni climatiche).
La decrescita è ormai obbligata. Il lungo carnevale del consumismo sta finendo.
Eppure la decrescita sembra giustificare le politiche di austerity che Bagnai giustamente critica, perché derivano da scelte concettualmente errate. Strano, a me sembra che il ragionamento di Bagnai spieghi bene perché si deve rifiutare l'austerity.
Ritorniamo alla citazione iniziale: "Il cane può avere le pulci e anche i pidocchi".
Significato: molto spesso nei malati non si trovano i sintomi di un'unica malattia, ma di più malattie combinate. Questo ai medici principianti crea problemi seri, perché si intestardiscono nel voler ricondurre tutto ad una sola malattia.
Ma se per il prurito di un cane può essere conveniente considerare insieme due diverse cause, figuriamoci se può bastare un solo fattore causale per spiegare l'attuale crisi economico-politica, che sembra avere caratteristiche epocali. Sarebbe addirittura ingenuo pensare ad una sola spiegazione.
In pratica, mi appare perfettamente possibile che il capitalismo reale sia in una delle sue crisi, come pure mi appare possibile, in contemporanea, che l'euro sia un errore colossale nei termini descritti da Bagnai. Ed è pure possibile che almeno alcuni limiti dello sviluppo siano stati raggiunti.
Può darsi che la malattia dell'euro sia opportunista, che sfrutti una situazione difficile dell'organismo aggredito, creata da una crisi del capitalismo. E la crisi del capitalismo si potrebbe innestare su una generale crisi di civiltà.
La mia proposta è levare le pulci e i pidocchi, cominciando dal più facile.
Parlando fuori metafora, servono azioni puntuali, valori di riferimento, obiettivi strategici e pressione continua sul sistema politico.
Se lo sviluppo infinito non c'è più bisogna puntare a una visione ecologica della politica, dove contino i rapporti umani e l'uso del proprio tempo più che il denaro. Una visione che sia anche etica.
Una volta impostata una visione della politica orientata all'equilibrio con l'ambiente circostante, si potrà proporre un'alternativa al capitalismo dove non si lavori per il solo denaro, ma soprattutto per dare un senso alla propria vita. Qui si potrebbe riscoprire anche il valore dell'ozio.
Secondo me nella decrescita ci sono ampi spazi per la felicità.
Vale la pena di fare almeno un esempio: una volta in una famiglia bastava che lavorasse il capofamiglia per sostenere moglie e molti figli. Oggi si deve lavorare tutti e due, per orari sempre più lunghi, per guadagnare il denaro necessario. E spesso serve un secondo lavoro.
Perché il denaro non basta mai in una società basata sul denaro.
E invece bisogna tornare al valore del tempo al posto del valore del denaro. Stare più tempo con la famiglia, o con gli amici, invece che a lavorare. E lavorare con lentezza, per produrre bene qualcosa di utile e duraturo, non per fare cassa.
Insomma, il denaro non dà la felicità, si sa, e in una società dove il denaro conta di meno si può essere più felici.
La decrescita triste degli economisti deve diventare una decrescita felice alla Pallante (ricordo che l'economia era definita "la scienza triste", sarebbe ora di pensare a qualcosa di più divertente).
E nel frattempo ci si coalizza per uscire dall'euro, come primo passo del progetto politico. Anche perché se restiamo stritolati dall'austerity non avremo un futuro in cui fare altro.
Ricordando poi che un eventuale "euro del sud" (o euro dei PIIGS) mantiene tutte le tare che hanno portato al fallimento dell'euro attuale. Servono valute nazionali.
Non sarà facile, ma non abbiamo molte scelte. L'unica cosa che abbiamo da perdere è una sofferenza infinita.
E comunque l'esempio delle pulci e dei pidocchi come paradigma della crisi attuale, mi fa tornare in mente una vecchia frase: "L'imperialismo è una tigre di carta". Si può sconfiggere.
Truman
Una premessa dal romanzo di Irvin D. Yalom Le lacrime di Nietzsche:
«Il problema», replicò Freud, «è che nessuna delle diagnosi spiega tutti i sintomi».Un tema più volte trattato nel convegno "Unione Europea, crisi democratica e crisi economica”, è quello ben illustrato da Alberto Bagnai sulle aree valutarie ottimali e sull'euro che non funziona e non poteva funzionare (o almeno non funziona per gli scopi dichiarati, aggiungerei). E il discorso di Bagnai appare decisamente ragionevole.
«Sig[mund]», ribatté Breuer, alzandosi e parlando in tono confidenziale, «ti svelerò un segreto del mestiere. Un segreto che un giorno, in qualità di medico consulente, sarà il tuo pane. L'ho appreso da Oppolzer, che una volta mi ha detto: "I cani possono avere le pulci e anche i pidocchi"».
«Intendendo dire che il paziente può...»
«Proprio così», concluse Breuer, mettendogli un braccio sulle spalle. Dopo di che i due uomini si avviarono per il lungo corridoio. «Il paziente può avere due disturbi. In effetti, di norma è così ...
Ma Moreno Pasquinelli approfondisce e dice che la crisi è più generale ed è di tutto il capitalismo.
Il discorso di Pasquinelli è ben dettagliato sul blog Sollevazione.
Cito:
nella copiosa produzione di Bagnai, a cominciare da “Il tramonto dell’euro”, per quanto possa sembrarvi paradossale non troverete mai il concetto di “crisi del sistema capitalistico”. Il fatto che ciò lo accomuni allo schieramento bipolare degli economisti mainstream divisi, così si dice, tra ortodossi ed eterodossi, non rende meno grave questa spaventosa deficienza. Una prova lampante che tutti costoro, liberisti e pseudo-keynesiani, pur accapigliandosi, si basano sul medesimo paradigma, la cui genetica caratteristica è quella di dare per scontato che quello capitalistico non è un sistema storicamente determinato, con contraddizioni sue proprie, bensì destinato ad essere eterno. Tutt’al più esso conoscerebbe solo “squilibri”, quindi essi si dividono solo sulle terapie: su come detti squilibri necessariamente momentanei debbano essere superati.Anche il discorso di Pasquinelli appare ragionevole, anzi appare decisamente più ampio.
senza una teoria generale non si va lontano, e senza questa non possiamo spiegarci la malattia congenita che affligge il sistema capitalistico, quindi non avremo alcuna terapia degna di questo nome.
Interviene infine Giulietto Chiesa e chiarisce che il problema è ben più serio, non è semplicemente una crisi del capitalismo, ma esso segnala il raggiungimento dei limiti dello sviluppo. Il riferimento è al rapporto "I limiti dello sviluppo" commissionato al MIT dal Club di Roma e pubblicato per la prima volta nel 1972 (in seguito è stato pubblicato un aggiornamento del rapporto).
Bisogna imparare a convivere con il concetto di limite, dice Giulietto. Lo sviluppo non è più possibile. Se non vogliamo la guerra serve la decrescita.
Quello di Chiesa appare il discorso più coerente e profondo di tutti, ne vediamo quotidianamente delle evidenze (per esempio con le alterazioni climatiche).
La decrescita è ormai obbligata. Il lungo carnevale del consumismo sta finendo.
Eppure la decrescita sembra giustificare le politiche di austerity che Bagnai giustamente critica, perché derivano da scelte concettualmente errate. Strano, a me sembra che il ragionamento di Bagnai spieghi bene perché si deve rifiutare l'austerity.
Ritorniamo alla citazione iniziale: "Il cane può avere le pulci e anche i pidocchi".
Significato: molto spesso nei malati non si trovano i sintomi di un'unica malattia, ma di più malattie combinate. Questo ai medici principianti crea problemi seri, perché si intestardiscono nel voler ricondurre tutto ad una sola malattia.
Ma se per il prurito di un cane può essere conveniente considerare insieme due diverse cause, figuriamoci se può bastare un solo fattore causale per spiegare l'attuale crisi economico-politica, che sembra avere caratteristiche epocali. Sarebbe addirittura ingenuo pensare ad una sola spiegazione.
In pratica, mi appare perfettamente possibile che il capitalismo reale sia in una delle sue crisi, come pure mi appare possibile, in contemporanea, che l'euro sia un errore colossale nei termini descritti da Bagnai. Ed è pure possibile che almeno alcuni limiti dello sviluppo siano stati raggiunti.
Può darsi che la malattia dell'euro sia opportunista, che sfrutti una situazione difficile dell'organismo aggredito, creata da una crisi del capitalismo. E la crisi del capitalismo si potrebbe innestare su una generale crisi di civiltà.
La mia proposta è levare le pulci e i pidocchi, cominciando dal più facile.
Parlando fuori metafora, servono azioni puntuali, valori di riferimento, obiettivi strategici e pressione continua sul sistema politico.
Se lo sviluppo infinito non c'è più bisogna puntare a una visione ecologica della politica, dove contino i rapporti umani e l'uso del proprio tempo più che il denaro. Una visione che sia anche etica.
Una volta impostata una visione della politica orientata all'equilibrio con l'ambiente circostante, si potrà proporre un'alternativa al capitalismo dove non si lavori per il solo denaro, ma soprattutto per dare un senso alla propria vita. Qui si potrebbe riscoprire anche il valore dell'ozio.
Secondo me nella decrescita ci sono ampi spazi per la felicità.
Vale la pena di fare almeno un esempio: una volta in una famiglia bastava che lavorasse il capofamiglia per sostenere moglie e molti figli. Oggi si deve lavorare tutti e due, per orari sempre più lunghi, per guadagnare il denaro necessario. E spesso serve un secondo lavoro.
Perché il denaro non basta mai in una società basata sul denaro.
E invece bisogna tornare al valore del tempo al posto del valore del denaro. Stare più tempo con la famiglia, o con gli amici, invece che a lavorare. E lavorare con lentezza, per produrre bene qualcosa di utile e duraturo, non per fare cassa.
Insomma, il denaro non dà la felicità, si sa, e in una società dove il denaro conta di meno si può essere più felici.
La decrescita triste degli economisti deve diventare una decrescita felice alla Pallante (ricordo che l'economia era definita "la scienza triste", sarebbe ora di pensare a qualcosa di più divertente).
E nel frattempo ci si coalizza per uscire dall'euro, come primo passo del progetto politico. Anche perché se restiamo stritolati dall'austerity non avremo un futuro in cui fare altro.
Ricordando poi che un eventuale "euro del sud" (o euro dei PIIGS) mantiene tutte le tare che hanno portato al fallimento dell'euro attuale. Servono valute nazionali.
Non sarà facile, ma non abbiamo molte scelte. L'unica cosa che abbiamo da perdere è una sofferenza infinita.
E comunque l'esempio delle pulci e dei pidocchi come paradigma della crisi attuale, mi fa tornare in mente una vecchia frase: "L'imperialismo è una tigre di carta". Si può sconfiggere.
Truman
Iscriviti a:
Post (Atom)