sabato 9 febbraio 2008

La guerra dei grandi contro i piccoli


DI TRUMAN BURBANK

Il teatrino della politica oggi è più surreale che mai. Sembra che i leader dei maggiori partiti si siano scatenati per perdere le elezioni. Veltroni corre da solo, quando la legge elettorale attuale avvantaggia le coalizioni. Berlusconi, che avrebbe solo vantaggi da una tale scelta suicida, sembra voler fare lo stesso, come se volesse assurdamente ricambiare il favore.

La lettura elementare è che nessuno dei due ha come primo interesse quello di vincere le elezioni. La spiegazione è che c'è una guerra in corso ed essa ha la priorità.

Vale la pena di citare Paolo Mieli (1):
l’Ulivo non si è mai candidato a governare libero da ipoteche di sinistra. Oggi, per la prima volta dopo centoquarantasette anni, questo accade anche da noi...
Quello che sta accadendo al Partito democratico (...) è qualcosa che va al di là di ciò che si deciderà il 13 e 14 aprile.


Quella che è in corso è la battaglia per eliminare i piccoli partiti. Essa fa parte della guerra per eliminare ogni libertà politica in Italia. Qui preferisco McSilvan (2):

questo sistema politico, a prescindere da quale logica finisca per prevalere, sta preparando la popolazione amministrata di fronte alle nuove ristrutturazioni imposte dal mondo globale
Promettere la Svizzera e realizzare il Perù di Fuijmori. Sembra incredibile ma funziona

La guerra è quella delle elite contro il popolo:
Da tempo in Italia si combatte una guerra contro la sua popolazione. Obiettivo: accaparrarsi le sue risorse.

In quest'ottica i maggiori partiti sono oggettivamente alleati contro i partiti piccoli, per fare in modo che il governo del paese sia completamente indipendente dalla volontà popolare.

La strada pianificata prevedeva l'uso di una nuova legge elettorale che desse la maggioranza assoluta al primo partito. Mastella, con l'aiuto di Dini, ha fatto saltare la pianificazione. Ma il percorso procede, bisogna neutralizzare i piccoli partiti, anche se il dibattito politico precipita nel surreale, anche se politici e commentatori si arrampicano sugli specchi per fornire motivazioni assurde.

E' opportuno far presente che quando la recita diventa surreale e il popolo comincia a non credere più a nessuno, tornano i sacrifici umani. La paura, il terrore, è l'unico collante residuo in una realtà politica totalmente artificiale. Chi ha paura evita di mettere in ridicolo il surreale, il re nudo. Ci sono cadaveri nel prossimo futuro.

Truman

8.02.08

vedi anche: Teatro elettorale

Note

(1) Il PD e la scelta di andare solo
(2) C'era una volta la libertà

giovedì 7 febbraio 2008

Uscendo dalla rappresentazione democratica


Alcune note sull’astensionismo

Uno dei teoremi mai dimostrati a cui il sistema politico-mediatico vorrebbe farci credere è che un'ampia partecipazione al voto (un'alta percentuale di votanti) sia un indice di democrazia.

Il teorema non mi appare dimostrabile, anzi sotto alcuni aspetti può valere addirittura il contrario. Per esempio, nella democrazia ateniese erano in pochi a votare (seppure come corpo elettorale, non come percentuale) eppure essa è rimasta a modello. Anche l'Inghilterra è stata spesso presa a modello di democrazia, eppure le donne hanno acquisito il voto da meno di un secolo.

Per me il primo aspetto di una democrazia sana è che gli eletti si preoccupino di rappresentare correttamente gli elettori. (Lasciando comunque aperta l'idea di una democrazia diretta, che sarebbe ormai gestibile grazie alla tecnologia).

Subito dopo è importante che chi fa parte di un'istituzione democratica abbia rispetto delle altre istituzioni e degli altri appartenenti alle istituzioni (per esempio il Governo dovrebbe avere rispetto della Magistratura).

Nell'attuale situazione italiana, in cui le istituzioni lottano tra di loro mentre internamente sono in preda a lotte intestine, gli eletti formano una casta sciolta dalla base elettorale (viene meglio in latino: una casta absoluta) e la partecipazione elettorale misura non la democrazia, ma il gradimento dello spettacolo, la partecipazione emotiva alla rappresentazione.

Il voto come consumo sacro
In questo contesto è fondamentale la religione consumistica sostenuta dai mass-media, la quale spinge a consumare sempre di più, in particolare quando il prezzo è basso o addirittura non si paga.

“Ungetemi tutto” disse il moribondo al prete giunto per l’estrema unzione, dopo aver verificato che l’unzione fosse gratuita. Voleva essere sicuro di non restare incastrato nel suo percorso verso il Paradiso.

Come nell’“Ungetemi tutto” il voto è una forma di consumo che assume aspetti sacri. Non si paga per votare e non ci si aspettano utili diretti dal voto dato (almeno nella grande maggioranza dei casi). L’aspetto ideologico e rituale prevale nettamente sugli aspetti utilitaristici.

Le primarie

Una conferma all’idea che il voto sia un fenomeno consumistico si può percepire dall'introduzione del ticket alle elezioni primarie, dove si pagava un contributo (tipicamente 1€) per votare. Le primarie, nelle due occasioni in cui sono state fatte, hanno avuto un successo superiore alle aspettative. (Il fatto di pagare per votare, nell'immaginario consumistico, potrebbe aver dato addirittura una sensazione di realtà, un maggior valore del voto). (1)

D'altro canto le primarie segnano anche il passaggio dal voto come merce-feticcio al voto come droga, a cui si è ormai assuefatti e di cui non si può più fare a meno, anzi si cercano dosaggi sempre più alti.
Sarebbe giunto ormai il momento di disintossicarsi dalla droga del voto e restituire razionalità alle elezioni con l’astensione. Anche questa può essere una decrescita ecologica.

Un tracollo della partecipazione alle elezioni avrebbe almeno due vantaggi:

1) esso segnalerebbe la stanchezza della popolazione nei confronti di una casta capace solo di farsi gli affari propri;
2) renderebbe il sistema molto meno controllabile da parte della politica-spettacolo, perché gli astenuti potrebbero ritornare a votare con esiti difficilmente prevedibili.

Un antico proverbio dice: “La parola che non dici è la tua schiava, la parola che hai detto è la tua padrona”. Nell’attuale situazione italiana potrebbe valere qualcosa di analogo per il voto.

Truman Burbank

Nota:
1) Sulle primarie c’è l’ottimo libro di Melchionda, Alle origini delle primarie.
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=1547