lunedì 22 ottobre 2007

Alcune idee programmatiche per la sinistra

3 novembre 2004

E’ un periodo in cui nella sinistra e nel centro sinistra si parla di programmi. Qualche idea circola, ma personalmente sono alquanto deluso.

Ho la sensazione che la preoccupazione principale sia quella di mediare interessi, piuttosto che quella di costruire il futuro. In altre parole, vedo il tentativo di costruire un’alleanza alla Brancaleone più che un progetto politico.

Dato che in realtà di problemi politici nel momento attuale ce ne sono anche troppi, e che sento una certa urgenza di avere un progetto politico che possa realmente incidere sulla realtà, provo a proporre qualche idea su come si potrebbe orientare la sinistra oggi.

Alla base di tutto per me deve stare l’etica, intesa come una scienza applicata, non come un vago aspetto formale (o come una mano di vernice su un riformismo un po’ nauseabondo). “L’etica non è una disciplina priva di interesse pratico”, diceva Savater in “Etica per un figlio” e oggi questa frase mi suona come un ammonimento.

L’etica è già codificata in molte leggi fondamentali, come la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, e anche nella nostra Costituzione.

Occorre tornare a tali leggi e fare in modo che siano effettivamente interiorizzate ed applicate (non sepolte da cavilli e regolamenti di attuazione vari).

Ma etica è anche tornare alla verità, chiamare le cose con il loro nome, vivere senza menzogna.

Dimenticando l’etica o si ritorna alle ideologie, oppure tutte le idee politiche tendono ad apparire equivalenti. ( La dialettica politica ed il pensiero unico)

L’etica è qualcosa che porta ricchezza, quando ci si rende conto che il modello competitivo, spinto all’estremo, porta a una specie di “mors tua, vita mea” in cui non resta alcuna forma di solidarietà.

Bisogna tornare alla teoria dei giochi “a somma non-zero”, dove tutti possono vincere, purché imparino a cooperare. Perché la politica è un gioco a somma non zero. (Un successo travolgente)

Rossana Rossanda ci tiene ad aggiungere l’aggettivo “laica” all’etica. Mi lascia perplesso: più volte sono state le religioni a riportare l’etica in primo piano. Teniamone conto: lo Stato deve essere laico, ma non necessariamente l’etica.

Dopo l’etica deve venire l’immaginario (ma forse dovrebbe venire al primo posto): i sogni, le angosce, le speranze, le passioni, il mito. Bisogna decolonizzare l’immaginario dai miti del consumo, della bellezza, della fama, insomma dai miti basati sul denaro.

E bisogna ritornare al rapporto con gli altri, con la famiglia, la comunità, l’ambiente di lavoro. Non serve un immaginario globalizzato, ma un immaginario tribale. In questo senso è potente l’uso internet, che consente di costruire legami tribali anche dove c’è distanza geografica.

E nel rapporto con gli altri bisogna recuperare la lentezza, i ritmi umani. Ripristinare il rapporto con le persone al posto del rapporto con il denaro.

Ridare valore alla storia, uscendo fuori dalla gabbia di un presente atemporale. (La gabbia del presente)

Poi serve accettare il fatto che in un periodo di cambiamenti la sinistra possa essere conservatrice. (Rivoluzionari e conservatori.)

Oggi i rivoluzionari sono di destra, vogliono cambiare tutto, anche le leggi fondamentali, anche la Costituzione. Teniamocela stretta la Costituzione, perché è una delle nostre più grandi ricchezze. Nata dopo l’avventura fallimentare del Fascismo ed una sanguinosa guerra civile, essa contiene troppi ammonimenti che stiamo trascurando (“L’Italia RIPUDIA la guerra” - come si fa a dirlo più forte di così?)

E bisogna anche tornare alla lunga tradizione della sinistra, recuperare il lavoro come valore, lo studio e l’impegno continuo in cooperazione con gli altri. I grandi risultati che si possono avere lavorando collettivamente su un impegno condiviso.

La sinistra che cura le differenze deve invece ritornare sul vecchio concetto degli stati nazionali, un valore che storicamente era di destra.
La sinistra oggi deve aver cura anche dei sentimenti nazionali, almeno finché serviranno a mantenere le culture, le tradizioni, le lingue, i miti locali. Lo stato nazionale non può soccombere ai poteri economici / commerciali, che gradiscono dei consumatori globalizzati.

La diversità è una ricchezza (almeno per la sinistra), non dimentichiamolo. Un buon esempio di recupero è presente in questi giorni per quanto riguarda i cibi locali preparati nella maniera tradizionale. Cerchiamo di ampliare il campo.

D’altro canto la diluizione degli stati nazionali nell’Europa può essere molto utile per avere una massa d’urto in grado di opporsi ai grandi monopoli commerciali. Ma qui il discorso si complica e servirebbe un discorso a parte.

E bisogna considerare anche il copyright: noi siamo dei nani sulle spalle di giganti, perché ci reggiamo sulla nostra eredità culturale, accumulata nei secoli. I grandi monopolisti stanno cercando di chiudere questo patrimonio culturale in una cassaforte, per fornire delle briciole solo a chi può pagare.
Una vera forza di sinistra non può tollerare che la cultura sia riservata ai ricchi. Le leggi sul diritto d’autore vanno attenuate. La loro validità del tempo va ridotta quanto più possibile. Assurdo tassare il prestito in biblioteca.

Va fatto un cenno sulla politica energetica: noi dipendiamo per la stragrande maggioranza della produzione di energia dall’estero, in particolare dal petrolio. Vanno intraprese iniziative in tutti i campi per ridurre questa dipendenza, anche dove i costi oggi appaiono eccessivi.

Va agevolato quanto più possibile il risparmio energetico e l’autoproduzione, va spinto il solare nelle sue varie forme. Potrebbe essere addirittura il caso di riconsiderare il nucleare.

In una politica di sinistra l’economia dovrebbe dipendere da tutto ciò che sta sopra ed avrebbe significato solo in quanto mette in pratica un progetto politico.

L’unico aspetto economico che, per quanto mi riguarda, vale la pena di citare, è la possibilità di diffondere l’uso della Banca del tempo, cioè lo scambio alla pari di ore lavorative tra persone. Che poi sarebbe in qualche modo un ritorno al baratto, un’antica pratica ingiustamente dimenticata.

Non di un altro modello di sviluppo abbiamo bisogno, ma di un altro modello di vita.

Truman Burbank

venerdì 19 ottobre 2007

Enciclopedie


Alcune riflessioni sulle enciclopedie e sul potere. La vera rivoluzione francese fu l'enciclopedia di Diderot e d'Alembert e la sua erede di oggi è Wikipedia.

Spesso si tende a confondere gli eventi con le cause scatenanti. La rivoluzione francese nacque quando ormai un conflitto tra strati di popolazione si era instaurato senza che il vecchio potere si rendesse conto di quanto fosse grande il suo scollamento dalla realtà: tale rivoluzione è solo un evento catastrofico che segna il passaggio dei poteri. Se una nuova classe sociale prendeva il potere (la borghesia, secondo alcuni) ciò era dovuto ad una precedente presa di possesso nel campo culturale. Questa rivoluzione culturale, che va sotto il nome di Illuminismo, aveva ricevuto un forte stimolo dall'Enciclopedia.




L'Enciclopedia (Encyclopédie) di Diderot e d'Alembert uscì in volumi lentamente, tra il 1751 e il 1772, tra molte critiche e qualche scandalo.

Il nome completo era Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri). Parteciparono, tra gli altri, Helvétius, Montesquieu, Quesnay, Rousseau, Voltaire. Gli ultimi volumi furono pubblicati praticamente di nascosto, perché molti avevano capito che una diffusione delle conoscenze avrebbe ridotto il loro potere. Loro capivano bene come il potere discenda dal sapere, un fatto che oggi troppo spesso tendiamo a dimenticare (rimbambiti dagli spettacoli televisivi, molti cominciano a credere che il potere stia nel denaro).



La cultura diventava di tutti e non più di pochi eletti. E poteva essere incrementata e tramandata.

Inoltre l'enciclopedia tendeva a criticare i fanatismi religiosi e politici e propugnava la razionalità e la libertà di pensiero.
Ancor più importante, la raccolta e la lettura di molti fatti, di per sé apparentemente innocui, consentiva, tramite una serie di rimandi incrociati, un'interpretazione della storia e della realtà che contrastava con quella dei poteri dominanti.

L'enciclopedia dava quindi nozioni che consentivano a persone che in precedenza stavano fuori dai flussi del potere di acquisire allo stesso tempo padronanza di tecniche ed interpretazione storica della realtà.

Oggi, il colossale progetto Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale) sta decollando ed appare come uno dei progetti più rivoluzionari degli ultimi anni, perché tende a riportare il sapere alla portata di tutti, levandolo a chi vorrebbe far commercio del maggior patrimonio dell'umanità.

In questi tempi bui, abituati all'apparente disponibilità del sapere, istupiditi da un eccesso di messaggi che paiono essere informazione, faremmo bene a tornare al concetto di enciclopedia e lavorare per il mantenimento e la diffusione del sapere. Come gli antichi monaci medievali, ma su una scala ben più grande.

E come per gli antichi monaci, l'importante non è preservare la proprietà intellettuale (il copyright) ma il sapere dell'Umanità (ed in definiva l'Umanità stessa).

Molti oggi si domandano cosa fare per cambiare il continuo degrado della società attuale, l'ossessione per il dio denaro, la progressiva distruzione della terra. Più che prendere il fucile, è oggi meglio armarsi della propria cultura e diventare enciclopedisti.

Le migliori rivoluzioni sono quelle silenziose.


Note dell'autore:

1. Questa visione di wikipedia non è assolutamente ufficiale all'interno dei wikipediani e sicuramente contrasta in alcuni punti significativi. Vale la pena di ricordare che i wikipediani fanno solitamente riferimento all'ottimo Douglas Adams della "Guida galattica per autostoppisti" invece che a Diderot e D'Alembert.



2. Tra gli altri progetti colossali oggi in opera su internet, mi piace ricordare anche il web archive (una borgesiana biblioteca di Babele del web) ed il progetto Gutemberg.

IL GOLEM E IL LEVIATANO


5/10/2004
Alcune note comparative sulle politiche dell’Europa e degli USA:
che fine ha fatto il contratto sociale?


di Truman Burbank

Trovo molti dibattiti sulle caratteristiche intrinseche della
politica USA e molte chiacchiere sulla nascente Europa. Solitamente
questi discorsi vengono fatti sulla falsariga di un discorso
convenzionale, variazioni su temi triti e ritriti, senza tentare di
risalire alle origini. E le origini vanno ritrovate nelle due diverse concezioni dello stato.

Non mi risulta ancora puntualizzato il fatto che il sistema politico
USA tende spesso a comportarsi in modo religioso, come un integralismo dove il dollaro (e quindi l’economia) è il dio idolatrato, che guida anche la politica. La forza espansiva dell’impero è sì dovuta ad una tendenza insita nella costituzione materiale degli Stati uniti, ma anche a questo aspetto religioso. Al di là delle apparenze, negli USA non c’è altro dio al fuori del Dollaro e tale dio governa anche lo stato.

Ogni volta che gli USA attaccano militarmente uno stato sovrano, o
si intromettono pesantemente nella sua politica interna, tirano fuori il discorso della libertà. ( A volte la scusa viene usata a
posteriori: “Non abbiamo trovato le armi di distruzione di massa in
Iraq, ma stiamo portando la libertà”).

Ma la libertà non è una parola singolare, le libertà si esprimono al plurale e spesso contrastano una con l’altra, ma soprattutto contrastano nel rapporto tra gli individui, perché la libertà di uno è facilmente vista come un sopruso da parte di chi subisce gli effetti di tale libertà.
(Ma forse non è la libertà delle persone che interessa i governanti).

Questi sulla libertà non sono discorsi nuovi, furono analizzati con cura da Hobbes nel Leviatano (1651) e in seguito da
Rousseau. In particolare Rousseau nel suo “Contratto Sociale” (1762), sosteneva che gli individui avessero bisogno di rinunciare ad una parte delle loro libertà per vivere in società, con vantaggio
di tutti. Un contratto non scritto, ma reale.

In realtà il contratto sociale esisteva in qualche modo
già in Hobbes, ma era solo una necessità per impedire
agli uomini di sbranarsi tra di loro come lupi.

In Rousseau il contratto è invece un accordo etico tra uomini
liberi, che decidono di cedere libertà per vivere meglio.

Ambedue le posizioni sono in qualche modo un’astrazione, ma
esprimono due punti di vista diversi sull’origine dello stato.

Oggi Rousseau sembra dimenticato. I toni primordiali della politica
USA arrivano al massimo a Hobbes ed al suo Leviatano, il mostro biblico che diventa stato.


“Secondo Hobbes, si pone fine alla guerra di tutti contro tutti
solamente assoggettando la volontà dispersa dei molti in
un'unica volontà sovrana ed assoluta. (Lo stato diventa il
Leviatano, il mostro biblico, un Dio mortale appena al di sotto del Dio immortale).”
(da href="http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Hobbes.html">forma-mentis.net)

Chi vuole la libertà assoluta non può avere rispetto di nessuno. A meno che non trovi una forza paragonabile alla sua, in grado di opporsi efficacemente.

Nel frattempo si sta formando l’Europa. Un’Europa di cui ci hanno
raccontato tante cose belle, ma che sostanzialmente è stata
fatta trascurando i cittadini. Un’Europa dove i capitali si muovono in modo estremamente veloce, mentre le popolazioni hanno molti vincoli legali nei loro movimenti. Ancor maggiori sono i vincoli pratici, perché chi non ha denaro non ha possibilità di muoversi
(mi torna in mente la recente idea del ministro Lunardi di tassare le strade statali).

Abbiamo fatto un’Europa dei banchieri e dei grandi gruppi economici,
non di popoli. Le recenti tendenze della Costituzione Europea
proseguono nello stesso senso. Libertà alle aziende e costi ai
privati (ricordare le continue privatizzazioni).

Vale la pena di dare un’occhiata all’articolo href="http://www.nuovimondimedia.it/print.php?sid=416">L’agenda
segreta dell’Europa

"In questo sistema unico di governo mondiale, basato sulle sole
regole della concorrenza commerciale, l’Unione europea (UE) sta avendo un ruolo molto aggressivo, di motore della liberalizzazione dei servizi.

....

E’ anche necessario non lasciarsi fuorviare dal doppio linguaggio della Commissione europea, questa sorta di governo non eletto, né
controllato, che agisce essenzialmente al servizio delle lobbies
affaristiche.

...

Alla fine, a ben vedere, nessuno Stato avrà più il diritto di mettere in opera delle politiche specifiche che tengano
conto delle particolarità, dei bisogni, delle priorità
nazionali, o che esprimano una modalità peculiare di condividere
valori comuni. Scelte economiche o fiscali, priorità sanitarie,
sociali, ambientali o etiche, saranno equiparate a degli
«ostacoli al commercio»."

In definitiva, l’Europa potrebbe diventare un altro mostro, teso solo ad arricchire le lobbies.

Un mostro costruito, senza un progetto politico esplicito e coerente, in base alle spinte (a volte contrastanti) dei gruppi di potere europei e cercando di superare le ostilità degli USA, che hanno tentato (e ancora tentano) più volte di intralciare la costruzione europea. Insomma una specie di Golem.

Ma siamo sicuri che il mostro europeo si comporterà come speravano gli ideatori?

La costruzione europea basata sulla moneta è piena di
assurdità. L’Europa è nata per favorire i grandi
interessi economici contro i popoli, in particolare contro i popoli
extraeuropei, ma anche contro i popoli europei.

E’ una forma di imperialismo economico del tipo più bieco. E la
cosa più preoccupante è che quasi nessuno lo dice. Si
preferisce parlare dei vantaggi della concorrenza e del libero mercato, della superiore efficienza del privato rispetto al pubblico, delle grandiose sorti progressive dell’euro (moneta).

Il rischio che, continuando a raccontare balle sull’Europa, si perdano di vista i motivi dell’unione, sostanzialmente legati ai poteri forti economici, può essere significativo.

In una situazione di falsificazioni costanti si potrebbe un giorno
arrivare ad un flop (un collasso tipo quello dell’URSS) senza
preavviso. Sempre ricordando che gli USA sono ferocemente ostili a ogni impero europeo e lavorano di conseguenza. (Le spinte per l’ingresso della Turchia in Europa sono in questo senso).

Oggi l’Europa è già la prima economia mondiale, per
quanto non supportata da forze armate adeguate a tale potere economico.
Qui sta la sua forza e la sua debolezza. Un rifiuto della guerra come mezzo di conquista potrebbe riportare a dare valore alla cultura, ai popoli ed alla politica contro l’integralismo economico. Un forte potenziamento delle forze armate potrebbe portare ad un impero analogo a quello degli USA (ma gli USA non lo consentiranno, lo scontro è garantito).

In tutti e due i casi l’Europa si propone in qualche modo come
controparte degli USA e tende a riportare il bipolarismo nel mondo.
Perché se c’è un concorrente del Dollaro, è l’Euro.

Vale la pena di notare che, per motivi che mi sono ignoti, l’Europa ha fatto una scelta economica di tipo non Keynesiano, nel momento in cui ha deciso che la solidità della moneta era prioritaria rispetto allo sviluppo economico. In questo si differenzia fortemente, ancora una volta, dall’impero USA (assimilabile in questo senso alla Cina).

La destra attacca questa scelta non Keynesiana, che sicuramente toglie libertà ai singoli stati (non si può più giocare
sul deficit di bilancio), ma potrebbe essere il motivo per cui
l’integrazione europea sta andando avanti. La stabilità della
moneta avvantaggia principalmente i ceti deboli. Qui sicuramente
c’è la lezione della Germania del secondo dopoguerra che, dopo
aver conosciuto tassi d’inflazione mostruosi, decise di puntare sulla solidità della moneta ed ottenne ottimi risultati di lungo
periodo.

Su questi temi bisognerebbe discutere con onestà, per capire
come è nata e come si sta sviluppando l’Europa ed evitare che
altrimenti un Golem europeo creato senza un progetto chiaro cominci a muoversi all’impazzata, distruggendo tutto quello che incontra.

Mai dimenticando che nelle vicinanze c’è già il Leviatano americano, che appare essere ben più cosciente e coerente.

Una nota finale: l’unione, per ora sostanzialmente monetaria,
dell’Europa, mantiene le diversità tra i popoli, la ricchezza
culturale e le tradizioni. Qui l’assenza di progetto mi sembra dia
risultati utili.

Truman Burbank

Il ritorno del pensiero magico

11 ottobre 2004
di Truman Burbank

La presenza del pensiero magico in modo predominante nella vita mentale infantile e la sua persistenza in età adulta è giustificata da tre principali funzioni, parzialmente sovrapponibili (Bonino S., 1994):

FUNZIONI DEL PENSIERO MAGICO

Funzione difensiva, fondata sulla convinzione, che tale pensiero alimenta, di poter controllare la realtà; tale funzione è fondamentale in età evolutiva per affrontare situazioni che provocano angoscia o insicurezza. Essa è anche la ragione per cui in situazioni problematiche alcuni adulti regrediscono, facendo ricorso a questa forma di pensiero pur di non accettare ed affrontare la realtà.

Funzione propiziatoria, fondata sulla convinzione che ci siano forze che regolano gli eventi, che viene assolta in tutte quelle condizioni in cui si agisce in considerazione di tali potenze.

Funzione conoscitiva, per cui il pensiero magico riempie i vuoti delle altre forme di pensiero e rivela ciò che non può essere conosciuto secondo la logica.

Giorni di angoscia, quelli attuali, angoscia di non poter più vedere il futuro.

Le ideologie sono cadute, ma, contrariamente ai proclami di alcuni guru (forse un po’ interessati nelle loro deduzioni), la storia non è finita, anzi avanza furiosa in una direzione non ben individuabile.

Quando il futuro diventa oscuro, il pensiero magico avanza, e la forma che prende è sempre quella più adeguata ai tempi. Se nell’antica Grecia si vedevano mostri e demoni, dei e semidei, e nel Medioevo apparivano madonne, oggi il pensiero magico deve prendere una forma adeguata al nuovo immaginario collettivo.

Non parlo del pensiero magico che si manifesta in casi isolati, parlo del nuovo pensiero magico come si manifesta diffusamente.

Due sono i temi preponderanti nel nuovo immaginario: l’immagine televisiva ed il dio denaro. Non è sorprendente che il nuovo pensiero magico faccia riferimento ad essi, visto che permeano la vita quotidiana con i loro simbolismi.

In passato, per sopravvivere alla durezza del vivere quotidiano, si faceva riferimento ad ideologie di varia provenienza: molti basavano la loro vita sulla solidarietà (di origini cristiane o comuniste), per altri era il duro lavoro continuato e l’impegno costante a fornire risultati, per altri ancora lo studio era uno strumento di elevazione sociale. I cinici si basavano sulla cruda analisi della realtà per controllare il futuro. Nessuno di questi oggi si sente rassicurato.

E il pensiero magico lo ritroviamo nei botteghini del totocalcio, con l’aspirazione di una grande vincita che dia un risoluto colpo in avanti alla propria vita, ma ancor di più lo ritroviamo in quelle trasmissioni TV dove i concorrenti tirano ad indovinare per aprire una scatola o l’altra, sudando mentre i familiari li guardano, con la speranza di risolvere la propria vita nell’atto di aprire una scatola.
E le trasmissioni hanno un successo sorprendente, diventano un modello di vita. Appena qualcuno ha problemi economici gli amici, i familiari, gli dicono “Devi andare in TV, devi partecipare a quella trasmissione, se vinci abbiamo risolto”.

Commento di un amico:
“Trovare la felicità in un oggetto vuoto, ha qualche remota e degradata somiglianza con le medievali ‘quest’ del Graal.
Solo che il possesso dell’ oggetto non fornisce alcuna elevazione o alcun nutrimento spirituale, ma semplicemente beni tangibili.”

giovedì 18 ottobre 2007

Un successo travolgente



06 Settembre 2004

I recenti avvenimenti in Ossezia evidenziano il completo successo di un modello di pensiero neo-liberista che annovera tra i suoi esponenti G. W. Bush negli USA, Putin in Russia e Sharon in Israele.

“Il tenore di vita degli USA non è negoziabile” afferma Bush.


“La sicurezza dei cittadini israeliani è molto più importante di risibili concetti di diritto internazionale” dice più o meno Sharon.


Quanto a Putin, nemmeno parla tanto, si limita a far parlare le armi in Cecenia.

In Italia, i migliori rappresentanti di questo pensiero sono alcuni esponenti della Lega Nord, che invitano a cannonneggiare i barconi dei disperati quando cercano di approdare in Italia o affermano che ai bingo bongo facciamo già il favore di dargli lavoro, ma non devono pretendere di avere pure dei diritti.

Il concetto di fondo è che la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo è carta straccia (“Sono solo fregnacce” si direbbe a Roma) e che i paria della terra non devono pretendere di voler raggiungere il tenore di vita occidentale, nè hanno diritto a un sistema giuridico-legale che li protegga.

Il concetto è stato accettato in pieno: i dannati della terra hanno perfettamente assimilato il fatto che le leggi democratiche valgono per i ricchi occidentali, ma non per gli iracheni, o per i palestinesi, o per i ceceni (e molti altri). Loro sono una razza a parte.
“I reietti della terra non fanno parte dell’Umanità”, o almeno di quello che in “Occidente” viene considerato Umanità: questo è il concetto recepito.

Ma in tale caso i ricchi, i padroni, gli oppressori, sono una razza a parte, anzi un’altra specie.

Allora è consentito che un madre uccida senza scrupolo decine di bambini, tanto sono di un’altra razza.


Quante volte noi uccidiamo dei maiali senza preoccuparci più di tanto? Per loro forse noi siamo peggio dei maiali. Almeno i maiali non ci avevano fatto alcun danno. Noi consumiamo tutte le risorse del globo ed a loro non vogliamo lasciare niente.

Chi ha lungamente pianificato uno scontro di civiltà tra il nord ed il sud del mondo forse non aveva realizzato bene che si sarebbe trattato di uno scontro tra due barbarie, non tra due civiltà.

Dopo la caduta dell’ideologia comunista si è propagato un modello di sviluppo liberista dove chi può (il più forte o il più furbo) prende tutto quello che vuole ed agli altri, se va bene, restano solo le briciole. Questo modello sta funzionando alla perfezione, con lievi effetti collaterali in Ossezia, in Iraq o in Palestina.

Se tali effetti collaterali non piacciono, bisogna invece ritornare all’etica, che è un potente strumento per la politica (“L’etica non è una disciplina priva di interesse pratico” ammoniva Savater in “Etica per un figlio”).

Bisognerebbe tornare a concetti di solidarietà e di uguaglianza, non solo perchè è moralmente giusto, ma perchè potrebbe essere l’unica via di sopravvivenza per il pianeta ed i suoi abitanti.

In quest’ottica sono molto interessanti come modello i giochi a somma non-zero. Mentre buona parte dei giochi sono a somma zero, cioè quello che perde una parte viene vinto dall’altra, i giochi a somma non zero possono consentire a tutti i giocatori di vincere.

I giochi tradizionali sono basati su un modello competitivo, dove ogni parte in gioco cerca di combattere l’altra.


I giochi a somma non-zero sono basati su un modello cooperativo, dove vince chi riesce a collaborare in modo costruttivo con gli altri.

Sono vecchie teorie, che molti vorrebbero dimenticare, ma hanno invece una grande applicabilità pratica.

Che la realtà politica sia un gioco a somma non zero lo hanno dimostrato infine, nel modo peggiore, i guerriglieri ceceni in Ossezia: quando una parte ha perso tutto, può fare in modo che tutti perdano.

Truman Burbank

Gestire il caos

1 settembre 2004
di Truman Burbank

Qualche risposta a Bifo ed ai rikombinanti.

Gli eventi del pianeta appaiono sempre meno governabili, e il miglior modo per definirli sembra la paroletta: caos.

Ma non è necessario controllare il mare in tempesta, è sufficiente condurre la nave in porto sicuro.


Gestire il caos (qualche risposta a Bifo Berardi)
Parto da Il non sapere giudica il sapere dove Bifo, una tra le menti più lucide di Rekombinant, espone parecchie idee interessanti, tra cui l'aumentata complessità della realtà politica.

"Perché la legge governi effettivamente occorre che la mente collettiva conosca ed elabori la complessità del reale con una velocità che le consenta efficacia. Data l'accelerazione degli scambi informativi che le tecnologie digitali hanno indotto, la legge non possiede gli strumenti conoscitivi per elaborare, giudicare, normare gli scambi informativi, i processi di produzione.

La società si muove ad una velocità che la ragione normativa non può raggiungere, e la complessità sociale diviene ingovernabile per la ragione normativa e per l'azione della legge. La complessità, in fondo, può essere definita in termini di velocità: è il rapporto tra velocità del reale e velocità della ragione operante. (…) Il potere non ha più alcuna pretesa di governare, si limita ad esercitare il potere, ad impadronirsi delle risorse, ad eliminare quello che della società non si sottomette."


Fin qui tutto bene, l'aumentata complessità é effettivamente percettibile, come pure la difficoltà di governare questa complessità. Ma Bifo approfondisce il discorso in Il sapiente, il mercante, il guerriero

"All'origine del collasso immaginario c'è l'inconscia percezione di uno scarto incolmabile tra le capacità di elaborazione e di controllo del creatore umano, e la velocità operativa della rete di dispositivi informatici che collegano il mondo rendendone possibile il funzionamento e la continuità. (…)

Gli eventi del pianeta appaiono sempre meno governabili, e il miglior modo per definirli sembra la paroletta: caos. Ma cosa vuol dire caos? Il caos è una forma del mondo troppo complessa per poterla elaborare con le categorie di cui disponiamo. E l'attività umana, la filosofia, la politica, l'arte, può essere intesa come una caosmosi, come un'attività che elabora il caos attraverso l'emergenza di sempre nuovi paradigmi che concettualizzano la realtà, la sensibilizzano, la singolarizzano, la storicizzano."


Provando a riassumere con parole mie, sono due i concetti esposti:

1) l'estrema complessità del reale, unita all'accelerazione dei processi, provoca qualcosa che si potrebbe definire caos;

2) mancano tecniche e teorie adeguate a gestire la complessità caotica.

In realtà Bifo segue le linee di un pensiero analitico occidentale che, partendo da Democrito con il suo atomismo, arriva a Henry Ford con la sua decomposizione del lavoro in gesti elementari, le ormai classiche tecniche di "tempi e metodi" dell'industria meccanica. Marx non è estraneo a questa linea di pensiero, che vede il mondo come un grande meccanismo di cui si vorrebbero controllare tutti gli ingranaggi.

Nella fisica il meccanicismo puro era già finito un secolo fa, a inizio '900. L'idea del mondo come un grande macchinario, dove tutto era determinabile pur di avere gli strumenti adatti, era tipica dell'800 e crollò sotto i colpi delle teorie quantistiche.

Adesso ci accorgiamo che il mondo è troppo complesso per essere governato con tecniche meccanicistiche, forse potevamo intuirlo un secolo prima.

Eppure gestire il caos è possibile, se si abbandona la linea classica di pensiero occidentale, che già sappiamo perdente, visto che non si intravedono vie d'uscita dalla crisi economica - politica - bellica attuale.

Come il capitano guida la sua nave attraverso un mare burrascoso per arrivare infine in porto, a noi non serve capire e padroneggiare tutto. Non ci serve trovare gli ingranaggi nel mare. Serve capire quel che basta a salvare la pelle.

Proviamo a ritornare indietro di un migliaio di anni. Un buon riferimento potrebbe essere la costruzione di cattedrali nel Medioevo, con riferimento, per esempio, a Notre Dame di Parigi.

All'epoca la scienza delle costruzioni non esisteva ancora, non erano ben chiari gli effetti del vento sulle costruzioni, i materiali erano poveri, eppure furono costruite delle opere immortali.

I capomastri non avevano insomma la teoria di base per realizzare le loro opere, eppure ci riuscirono, in base all'esperienza, all'intuito ed alla collaborazione.

Un buon riferimento è "Sperimentazione strutturale nell'architettura gotica" di Robert Mark e William W. Clark - Le Scienze (gennaio 1985).

"La cattedrale di Notre-Dame di Parigi, la cui costruzione ebbe inizio tra il 1150 e il 1155, fu progettata per essere lo spazio più elevato dell'architettura gotica. (…) nel costruire il coro gli artigiani dovevano essersi resi conto di un nuovo problema per il quale l'esperienza acquisita con chiese più basse non era di alcuna utilità: la velocità del vento è molto maggiore ad altezze più elevate.

Oggi si sa che la pressione del vento è proporzionale al quadrato della velocità del vento stesso, e pertanto essa è maggiore sugli edifici alti. (…) fu proprio la preoccupazione per il carico imposto dal vento a indurre i costruttori della navata parigina a introdurre, poco prima del 1180, l'arco rampante. (…)


Le analisi strutturali che abbiamo compiuto su numerosi edifici medioevali hanno rivelato che i loro progettisti imparavano dall'esperienza, servendosi degli edifici reali proprio come oggi gli ingegneri si basano su prototipi dotati di strumenti per accertare il comportamento strutturale di un progetto. (…) l'esperienza acquisita in un cantiere veniva trasmessa ad altri progetti di costruzione (…) Si ha persino l'impressione che i capimastri delle cattedrali di epoche successive, come quelle di Chartres e di Bourges, siano stati a conoscenza dei difetti del sistema originale di contrafforti di Parigi e abbiano modificato di conseguenza i propri progetti. (…)

Un equilibrio così raffinato potrebbe sembrare superiore alle capacità di un costruttore prescientifico."


Per finire:

"Quando il 19 luglio 1940 fu aperta al traffico la campata centrale, lunga 854 metri, del Tacoma Narrows Bridge, un ponte sospeso, essa era la terza campata del mondo in ordine di lunghezza. Inoltre il suo peso per ogni metro di carreggiata era di gran lunga inferiore a quello di qualsiasi altra campata lunga. Il Tacoma Narrows Bridge compendiava la tendenza del primo Novecento verso piani stradali più leggeri, quasi nastriformi, e verso torri slanciate. La larghezza del suo rinforzo, costituito da una travatura con anima piena, era pari soltanto a 1/350 della campata.

Quattro mesi dopo l'inaugurazione del ponte, un vento del mattino che soffiava abbastanza costantemente alla velocità di 65 chilometri all'ora produsse gravi oscillazioni di torsione nella campata, che a mezzogiorno crollò in maniera catastrofica."


Insomma a volte i vecchi costruttori erano meglio di quelli attuali, perché sapevano di non sapere tutto e quindi erano più capaci di reagire agli imprevisti.

Proviamo allora a tornare all'antica Grecia, ai presocratici, all'atomismo e vedere se riprendere una strada che all'epoca era stata abbandonata.

Se Democrito parlava di atomi, Anassagora diceva che tutto scorre e che non ha senso cercare i costituenti ultimi della materia, perché la ricerca potrebbe non aver mai fine. (Anche la fisica moderna comincia a dubitare che in realtà fosse più vicino alla realtà Anassagora piuttosto che Democrito).

Nel paradosso di Zenone, Ulisse non riusciva a superare la tartaruga perché c'erano un numero infinito di passi da compiere. In modo analogo i problemi di oggi sono così complessi che la loro decomposizione in passi elementari costringe a fare così tante azioni elementari che il problema diventa praticamente intrattabile, la soluzione non arriva mai in tempo utile. L'approccio analitico non è più praticabile (1).

Bisogna allora praticare un approccio sintetico, integrale, dove si rinuncia al controllo di tutti i piccoli dettagli e si punta ad individuare e controllare gli aspetti davvero significativi. L'individuazione di questi aspetti è poco codificabile, si rischia di trascurare elementi importanti, ma il problema ridiventa trattabile.

Certamente non tutti riusciranno a farlo, serviranno persone capaci di individuare l'armonia che è presente nei sistemi complessi quando il caos è sotto controllo. Si ha un approccio musicale vicino al Tao (vedi Il Tao della Fisica, di Fritjof Capra).

Queste idee sono ormai arrivate anche all'interno delle aziende. Per gestire in tempo utile sistemi complessi servono nuovi approcci, basati sulle incertezze e non sulle certezze.

"Io preferisco chiamarla creatività gassosa. Pensa all'acqua che bolle, alle particelle che si aggregano e disaggregano generando energia all'interno di un contenitore trasparente. Ecco: noi facciamo così.

È la teoria del caos management secondo Federico Minoli, presidente e amministratore delegato della Ducati: (…) per Minoli il caos è una pratica più che una teoria. Prima facciamo le cose, poi cerchiamo di capire perché funzionano. Adesso abbiamo cominciato a teorizzare il caos. Le cose sono state fatte: l'azienda è tornata leader nel settore delle moto sportive, le azioni sono in rialzo."

(Da Manager a tutto gas - L'Espresso - 28 Agosto 2003)

Viene riconosciuto come cruciale il ruolo del leader, che non è più (soltanto?) un manager esperto del dominio aziendale, ma è qualcuno capace di trainare le persone. Non più yes-men, ma leader naturali, si comincia a dire. Ma forse non hanno afferrato bene il problema.

In sintesi, il caos può in qualche modo essere gestito se si lavora in modo integrale, invece che atomico, se si punta all'obiettivo più che ai passi necessari per raggiungerlo, se si sa di poter sbagliare e si è in grado di adeguarsi agli sviluppi, se lavora in cooperazione più che in competizione e quindi si ricerca l'armonia; il tutto può essere fatto da chi ha leadership e contemporaneamente esperienza.

Le teorie, i mezzi tecnologici, gli strumenti di controllo, sono utili, purchè non si faccia totale affidamento su di essi.

Ritornando a M. Pasquinelli ed alle sue tecnomacchine imperiali , cosa succede se a pilotare le macchine bisogna mettere dei guru, dei visionari, dei pazzi sognatori? Sarà davvero necessario rivoltare le macchine quando esse saranno controllate da tipici rivoluzionari?

Oppure l'impero continuerà a lasciare fuori dai posti di comando le persone capaci di risolvere i problemi più micidiali? (Questa è stata la tendenza fino ad ora).



Truman Burbank


Note: (1) Qui il paradosso di Zenone viene in qualche modo invertito a favore dell'infinita divisibilità (problema risolto dal calcolo integrale di Newton e Leibnitz) e usato contro l'atomismo, che spinge a suddividere il problema in un numero di passi finito, ma praticamente intrattabile.

I bei tempi andati del giornalismo

22/7/2004

Nei bei tempi andati il mestiere del giornalista era semplicemente uccidere la verità. Bastava nascondere i fatti importanti, evidenziare ciò che non era rilevante, introdurre qualche piccola bugia funzionale al potere ed il lavoro era fatto.

Adesso è tutto molto più complesso. Un giornalista è oggi un lavoratore dipendente nella catena di montaggio delle notizie, in cui si esegue una procedura complessa per elaborare un prodotto industriale destinato ad essere consumato da parte delle masse (dico masse ma mi viene in mente un branco di buoi o di pecore).

La prima operazione da fare è sterilizzare la notizia, in modo da levare tutto il nutrimento, un po' come si fa con il latte a lunghissima conservazione, che dopo una lunga bollitura perde tutto il suo sapore e tutte le vitamine.

Poi la notizia va rielaborata in modo da renderla appetibile, vanno trovati elementi che mettano paura (in questo caso la notizia si mette in apertura), o elementi curiosi, o umani, che ci facciano sentire più saggi e più buoni (questo per le notizie di chiusura). Un po' di tette e culi fanno sempre bene.

In ogni caso l'informazione deve essere rielaborata ed additivata in modo da attirare l'attenzione, essere gradevole e non creare alcun fastidio ai poteri forti di vario genere.
Ecco, l'informazione è diventanta intrattenimento, in Inglese infotainment (information + entertainment).

Ma questo è ancora poco. L'informazione deve anche stimolare i consumi, spingere la gente ad uscire di casa, prendere la macchina ed andare nei centri commerciali per comprare robe inutili, tipo l'ultimo gadget tecnologico. Fondamentale è stimolare il mito che tutto ciò che è nuovo è meglio del vecchio. Questa è una fase in cui bisogna narcotizzare l'utente, spingerlo a fare cose irrazionali. Un buon corso di anestesiologia è molto utile per fare buon giornalismo oggi.
Qui ormai all'information + entertainment si è aggiunto l'advertisement (la pubblicità).

A questo punto il pastone per il bestiame sarebbe pronto, ma il bravo giornalista fa ancora di più.

Gli equilibri tra i vari poteri sono dinamici e spesso bisogna fare in modo da accontentare non solo il padrone di oggi, ma anche quelli di domani. Allora la linea (o meglio la sequenza di rielaborazione delle notizie) deve essere organizzata in modo da far contenti anche quelli che politicamente sono all'opposizione e deve gradualmente spostarsi al muoversi degli equilibri.
Ecco perchè alcune trasmissioni televisive dedicate al grande pubblico ridiventano interessanti, non per quello che dicono, ma per come lo dicono. Il grande anchor man, per chi sa leggere i media, diventa un barometro delle tendenze politiche.

Come nella vecchia URSS si poteva capire qualcosa dalla Pravda o dalla Izvestia anche se le notizie erano totalmente false, oggi in occidente chi non crede ai media ufficiali può comunque ricavarne informazioni interessanti, leggendo i segni nascosti.

Truman

Sicurezza informatica e business

3 maggio 2004


Ancora una volta mi ritrovo in arrivo sul computer delle mail visibilmente contenenti qualche virus. Ripenso alle solite raccomandazioni degli “esperti” e mi viene da ridere.
Antivirus appena aggiornato, io non apro messaggi sospetti, comunque i virus arrivano.

Tra i vari messaggi ricevuti, anche qualche comunicazione secondo cui avrei inviato messaggi con virus ad indirizzi sconosciuti. Solo che la data e l’account con cui li avrei inviati non risultano compatibili con le mie connessioni.

Ripenso agli articoli sulle riviste: anche Hacker Journal, che dovrebbe essere una rivista per gente sgamata, raccomanda di non aprire allegati sospetti, di aggiornare periodicamente l’antivirus e così via, poi però da un’altra parte dice più o meno: “non perdete tempo ad inviarci virus, tanto tutta la posta viene ricevuta su una macchina Linux.”. (Della serie, “fate come vi diciamo, non come facciamo noi”).

Leggo il dodecalogo di Paolo Attivissimo, meglio degli altri, ma orientato nello stesso senso. Sembra che ci sia una voglia di colpevolizzare l’utente, che non è abbastanza accorto da evitare i virus, nessuna colpa ai produttori di software. Poi leggo in dettaglio il dodecalogo e finalmente vedo comparire la regola zero: “Se potete, non usate Windows: usate sistemi operativi alternativi come Linux, Mac, BSD, QNX e altri ancora.”

Non posso fare a meno di pensare a come ci sia una logica di business dietro ai virus.

Il business impazza: antivirus, firewall hardware e software, zone militarizzate e non, sistemi di crittografia, backup periodici - mentre la sicurezza dei sistemi informatici diminuisce. Tanto un nuovo virus ci mette due o tre giorni ad infestare tutto il mondo. E mentre una volta bastava aggiornare l’antivirus una volta al mese adesso non basta una volta alla settimana.

Gli antivirus diventano poi sempre più pesanti ed invasivi, il PC rallenta ad ogni aggiornamento, ad un certo punto si pone il problema se levare l’antivirus o cambiare PC per continuare a lavorare. In un caso si ha un grosso rischio, nell’altro una spesa significativa.

Nel frattempo gli esperti continuano a raccomandare di scaricare gli “aggiornamenti” in modo da perdere ancora di più il controllo del proprio PC. (Quando si vede un comportamento anomalo non si capisce se è un aggiornamento mal riuscito o un virus). Per complicare il tutto arrivano via e-mail gli “aggiornamenti” targati MS, che in realtà sono altri virus.

La logica delle protezioni è basata sul business, come quella farmaceutica. Vaccini alle persone sane invece che confinamento o eradicazione delle malattie.

Protezioni su tutti i PC invece che confinamento del contagio.

Eppure la notizia fondamentale che i virus tendono ad attaccare solo macchine con Windows e si propagano quasi sempre tramite Outlook o Outlook Express la trovo molto poco diffusa.

A me sembrerebbe invece importante dire: “Evitate di usare Outlook (express), eviterete di fare qualche figuraccia contagiando i vostri amici”. Oppure: usate software libero, preferibilmente poco diffuso, BSD, o Linux (quest’ultimo meglio che non sia delle distribuzioni più diffuse, per avere migliore sicurezza); anche Beos andrebbe bene.

I virus informatici, come quelli biologici, hanno bisogno di un ambiente favorevole ed hanno bisogno che tale ambiente sia diffuso per potersi propagare. Il consiglio più sensato sarebbe quindi quello di risparmiare ed evitare semplicemente MS Windows. In alternativa evitare almeno le applicazioni Ms più diffuse, quindi oltre ad Outlook, evitare Office con le sue terribili macro in visual basic. Ma questo consiglio lo vedo molto di rado.
Disturba il business.

Si è voluta privilegiare la connettività rispetto alla sicurezza ed ora se ne pagano le conseguenze. Tutte le porte aperte alla comunicazione possono diventare porte d’ingresso per i virus.
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Strano che per quanto se ne parli, in realtà non ci siano casi significativi di infezioni diffuse su macchine basate su software libero, sembra evidente che dove non c’è business, non c’è interesse a sviluppare virus. (Windows XP non mi appare in sè molto più semplice da infettare di un sistema Linux, eppure le statistiche gli sono abbondantemente sfavorevoli).

Molto trascurata l’informazione che i sistemi un po’ obsoleti sono meno soggetti a virus di quelli nuovi. Sono ormai molti i virus che attaccano Windows XP ma non Windows 98. Anche in questo caso conviene risparmiare. Un sistema workstation abbastanza sicuro potrebbe, al limite, essere basato su Windows 3.11 con Eudora per la posta e Netscape per internet.
Ma quale business ci sarebbe a raccomandare computer obsoleti?

Una nota sui server: qui non vengono considerati, essendo meno diffusi e ponendo problematiche di sicurezza diverse. E’ comunque interessante notare che, nonostante i media evidenzino il fatto che anche i server linux / Unix sono attaccabili, non riportino il fatto che tali macchine hanno una continuità operativa molto migliore delle macchine Microsoft.

Truman Burbank

La scienza non si fa con le amnesie

Da una diatriba su Darwin, il darwinismo e sulla proposta di dimenticare Darwin, perché alcune delle sue idee restano non verificate, uscì fuori questo commento, che considero il mio personale omaggio al maestro Paul Feyerabend.

Sembra che ci siano alcuni per i quali Darwin è ormai superato, da dimenticare. Non credo che le amnesie facciano bene alla scienza.

Le teorie scientifiche spesso nascono da un’intuizione originale, nata dalla correlazione tra più fatti (idee) che sembravano del tutto indipendenti tra di loro. Invece dalla correlazione tra le idee nasce qualcosa che è più della somma delle singole parti: la nuova teoria.

Nelle scoperte scientifiche a volte la scoperta originale resterebbe inapplicabile se non ci fosse un faticoso lavoro successivo di messa a punto. Ciò avvenne nel caso della penicillina, scoperta da Fleming, ma per la quale dovremmo ringraziare molti ricercatori successivi.

Nella maggior parte dei casi, però, le teorie scientifiche di successo sono dovute ad un singolo, che si dimostra capace di correlare dati in un modo inusuale, portando nuove visioni e risultati innovativi.

Nel seguito gli altri ricercatori si dimostrano capaci di aggiungere contributi alla teoria principale, con un utile approccio, oppure tentano di fare le pulci alla teoria, per dimostrarne l’inconsistenza, spesso con risultati penosi. E comunque tutti e due portano qualche contributo.

Mi piace ricordare Fred Hoyle, che per lungo tempo ha difeso ad ogni costo la teoria dell’universo stazionario, contro quella dell’universo in espansione, oggi generalmente accettata. Hoyle arrivò al punto da sostenere la creazione di materia dal nulla, pur di sostenere l’universo stazionario.

Nel caso della meccanica classica (Galileo, Newton) si pensava che le leggi del moto trovate fossero universali, cioè si applicassero a tutti i casi. La meccanica classica fu superata dalla meccanica relativistica, ma questo non vuol dire che le leggi classiche siano rimaste senza valore. Anzi continuiamo ad utilizzarle nella vita di tutti i giorni. Semplicemente la relatività (ristretta) ha ridotto il campo di applicazione della meccanica classica. Si sa che le leggi classiche sono applicabili solo quando le velocità in gioco sono ben inferiori a quella della luce.

Allo stesso modo Maxwell formalizzò le leggi dell’elettromagnetismo, prima teorizzate da altri ricercatori (es. Coulomb, Faraday, ...). Ma le equazioni di Maxwell non cancellarono le ricerche precedenti, piuttosto ne spiegarono il significato in un contesto più generale. (Forse vale la pena di ricordare che le equazioni di Maxwell non risentirono della relatività: ce l’avevano già scritta dentro).

Ciò che in pratica avviene nella scienza, è che le teorie scientifiche di successo non vengono cancellate dalle scoperte successive, piuttosto ne viene chiarito il campo di applicabilità. Ciò che prima appariva come un concetto universale resta valido, purché si abbiano delle condizioni ben specificate.

La natura si mostra spesso riluttante a mostrare i suoi segreti e, ogni volta che ci sembra di aver finalmente capito, si scopre che ci sono fenomeni nuovi ed imprevisti, che sembrano confutare ciò che avevamo trovato. Mi sembra che ciò sia in particolare vero per la fisica delle particelle di oggi. (Ma anche la biologia non scherza).

E allora non bisogna mollare. Bisogna sempre mantenere la memoria storica, anche degli errori, perché dagli errori si può imparare, anche a distanza di tempo, ma soprattutto bisogna ricordare le cose giuste.

Perché se da Lamarck e Lombroso si può imparare a non farsi influenzare dall’ambiente sociale, dalle teorie riuscite si possono ricavare direttive per comportarsi nella vita di tutti i giorni.

Se abbiamo un’infezione difficile da combattere ed il medico ci somministra due antibiotici in combinazione possiamo accettare il parere del medico (perché lui è l’esperto e noi gli ignoranti) oppure capire che lui sta semplicemente applicando la teoria dell’evoluzione, addirittura sta applicando in qualche modo una metrica. L’accoppiata dei due (o anche più) antibiotici ha lo scopo di distruggere ceppo batterico prima che esso riesca ad evolversi fino al punto da diventare resistente. Ecco allora che oggi si preferisce usare più antibiotici per tempi brevi, piuttosto che (come si faceva in precedenza) un singolo antibiotico per tempi più lunghi. Chi capisce la scienza capisce ciò che succede intorno a lui ed è in grado di prendere decisioni in autonomia, chi non capisce la scienza si sorprende di tutto ciò che succede e si affida sempre agli “esperti”.

Una caratteristica delle teorie di successo è, sorprendentemente, non tanto il fatto che il campo di applicazione in qualche modo si restringe, ma il fatto che si trovano nuove applicazioni in settori per i quali la teoria non era pensata nemmeno alla lontana. E’ il caso della relatività, che viene citata, anche a sproposito, nel linguaggio di tutti i giorni (“Tutto è relativo”) ma è soprattutto il caso dell’evoluzionismo, che sta trovando applicazioni nei sistemi informatici ed in quelli economici.

In “divertimenti” di guerre tra programmi fatti per conquistare tutto l’ambiente di un computer, erano fondamentali approcci evoluzionistici per costruire programmi capaci di resistere agli attacchi degli altri (questi giochi venivano raccontati tempo fa su “Le Scienze”). Ma anche nei virus dei computer si potrebbe vedere un’evoluzione creata dalla continua guerra tra virus ed antivirus.

Nei sistemi economici sono recenti alcuni approcci di tipo evoluzionistico per tentare di prevedere il loro andamento. Anche qui l’approccio è sperimentale, ma sembra promettente.

E allora, per favore, non giochiamo a cancellare teorie per passione di polemiche, ma ragioniamo con pacatezza su campi di applicazione, ipotesi alternative, dati numerici e campi che restano oscuri. Si, anche campi oscuri, perché la scienza non ha spiegato tutto e dubito che ci possa riuscire ed è lecito dire: “Su questo punto non abbiamo (ancora?) capito come vanno le cose”.

Cronache dal basso medioevo

27 aprile 2004



Nella penisola italica l'argomento del giorno è la Mesopotamia: le orde barbariche venute dall’occidente tengono in ostaggio 14 milioni di anime, ma i chierici si preoccupano solo di tre soldati di ventura italiani presi prigionieri dagli Assiro-Babilonesi. La conquista della Mesopotamia sembra essere molto più difficoltosa del previsto.

Re Silvio 1° si trova in difficoltà, vorrebbe ritirare le sue milizie dalla terra tra i due fiumi, ma il suo rapporto di vassallaggio con l'imperatore Cespuglio 2° non glielo consente. I sudditi sono insoddisfatti e mugugnano.
Alcuni propongono che Silvio abdichi in favore del figlio Piersilvio. Re Silvio afferma di non poter abbandonare una carica di cui è stato investito direttamente da Dio.

Il dibattito tra i chierici si concentra sui nuovi spettacoli circensi, molto apprezzati dal popolo, scene di vita reale invece che rappresentazioni (come ai bei vecchi tempi dei cristiani nel Colosseo). Sorgono molte proteste per non aver potuto assistere all'uccisione di un soldato di ventura italiano da parte delle truppe mesopotamiche.
Il popolo chiede sempre più sangue (almeno così dicono i chierici). Si tenta di rimediare con l'intervista in diretta ad un pluriomicida.

La criminalità impazza, dopo un'ondata di aggressioni a bambini da parte di cani feroci, circolano continue voci di omicidi tra consanguinei. Viene prodotta una nuova grida per consentire agli inquisitori la tortura. Alcuni inquisitori sono insoddisfatti, dicono che il vincolo di poter torturare una sola volta non consente di far confessare i rei, ma gli azzeccagarbugli fanno presente che il metodo standard per far confessare gli anarchici (lanciarli da un balcone) non ha bisogno di ripetizione.

Nel frattempo il popolo viene autorizzato a farsi giustizia da solo quando trova un ladro in casa. I venditori di armi approvano fortemente questa giusta legge e dicono che rappresenta un netto progresso nel difendere la proprietà privata. Oltretutto stimola il commercio.

Nelle Indie si registrano nuovi casi di peste. Gli Europei sono preoccupati che si possa estendere nei loro paesi. I cerusici dicono che si può stare tranquilli, ma bisogna bloccare le immigrazioni dalle Indie e soprattutto fare attenzione agli untori già arrivati. Il popolo comincia a dare la caccia agli untori.
Alcuni cerusici affermano di aver quasi pronto un elisir in grado di bloccare la peste. Il popolo non ci spera molto.

Alcuni commercianti propongono un nuovo tipo di grano, lo chiamano grano turco gm e dicono che sia molto utile per sfamare i servi della gleba, visto che cresce molto bene. Però a qualcuno tornano in mente le stragi provocate dalla segale cornuta. Il popolo è sospettoso.

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Commenti di un amico (giochi circensi):

I giochi gladiatori vennero proibiti da Costantino I all'inizio del IV secolo, ma la proibizione rimase inascoltata fino al tempo di Onorio I (inizio V secolo), quando un monaco cristiano tentò un sit-in nel Colosseo per fermare il combattimento, e fu assalito dai leoni che non lo distinsero dai gladiatori.

Quanto alle corse dei cavalli, si continuarono a tenere al Circo Massimo per altri 150 anni, fin dopo la caduta dell' Impero d'Occidente. I re barbari Odoacre e Teodorico continuarono a finanziare questi divertimenti perché il popolo romano, in fondo, chiedeva solo di divertirsi e di essere lasciato in pace senza le rotture delle guerre e delle carestie.

Secondo Procopio, l'ultima corsa si tenne durante la guerra tra Ostrogoti e Bizantini, quando Roma era quasi completamente spopolata dagli assedi e dalla fame. I pochi abitanti ancora vivi si nascondevano tra i pecorai nelle campagne e non volevano tornare in città.

Allora il Re degli Ostrogoti Totila, per convincerli, organizzò un ultimo spettrale spettacolo nella città deserta, in un Circo Massimo occupato da poche centinaia di persone quando ne poteva contenere 200.000.

Roma era morta ma, come uno zombi, in una grottesca coazione a ripetere, il suo cadavere continuava ad esigere i Circenses , visto che il Panem non serviva più...

Rivoluzionari di destra e conservatori di sinistra

1 aprile 2004


Leggo, praticamente in contemporanea, due articoli che mi appaiono affrontare i due corni dello stesso problema.
Il primo è un articolo apparso su Rekombinant un paio di mesi fa, che mi era inizialmente sfuggito: Franco “Bifo” Berardi, Il totalitarismo tecno-manageriale da Burnham a Bush, l’altro è un articolo di Franco Carlini sul Manifesto di oggi.
Bifo parla dei rivoluzionari di destra, mentre Carlini illustra il valore di una sinistra conservatrice.
Insomma, vale la pena di rivedere alcune nostre idee consolidate, potrebbero essere ormai completamente fuori luogo.
L’articolo di Bifo ( http://www.rekombinant.org/article.php?sid=2241) illustra l’opera La rivoluzione manageriale di Burnham (può essere visto come un precursore di G. Orwell) scritta nel 1941, come una delle possibili fonti del pensiero dei neo-cons americani odierni. Cito.
“La premessa fondamentale del processo descritto da Burnham sta nella disgiunzione tra proprietà dei mezzi di produzione e controllo effettivo della macchina produttiva.”

“Burnham viene salutato come un eroe della tradizione liberista, ma il suo liberismo ha caratteri autoritari.”

“Nella genesi dell’ideologia neoconservatrice si deve riconoscere l’impronta decisiva dell’internazionalismo aggressivo trotzkista e dell’assoluto nichilismo nazista. In questo senso si tratta di un conservatorismo ben poco conservatore, perché esso si applica anzitutto ad una rivoluzione sociale reazionaria e antisociale. L’unico tratto di conservatorismo di questa ideologia e della politica neo-cons è l’odio forsennato per l’egualitarismo e la solidarietà sociale.”

L’articolo di Carlini, “Il Pil, un feticcio da abolire” sul Manifesto del 1° Aprile espone come, correndo dietro al feticcio del Prodotto Interno Lordo per misurare la salute (il progresso?) di una nazione stiamo precipitando all’indietro.

L’articolo appare una risposta al Corriere della Sera, ma è interessante vedere come Carlini sostenga il valore di conservare nella sinistra.

“Sarà il caso infatti di cominciare a rivendicare con una determinazione, anche a sinistra, l’idea che ‘conservare’ le buone conquiste della civiltà umana è un programma serio e importante, così come lo è proteggere l’ambiente dai disastri e le opere d’arte dalle svendite affaristiche, o la memoria di una nazione dai revisionismi interessati e storicamente truffaldini. Non solo non c’è nulla da vergognarsi nel tutelare la Costituzione del ‘48, i salari e l’istruzione pubblica, ma questo essere ‘Conservatori di sinistra’ (così il titolo del Corriere della Sera di ieri) sarebbe già da solo un buon programma di governo da proporre con orgoglio.”

“Il tragico equivoco di una crescita economica comunque buona, come che sia, maliziosamente scambiata per progresso, continua pernicioso a inquinare menti e politiche.”


Insomma destra e sinistra oggi giocano nuovi ruoli e bisogna tenerne conto.
Resta il problema di preparare un’alternativa politica di sinistra che sia realistica e tenga conto dei problemi esposti. Potrebbe non essere banale.


Truman Burbank

Della censura e altri demoni

26 marzo 2004

L'effetto collaterale più importante della manifestazione del 20 marzo è stato l'emergere, in tutta la sua brutalità, della censura dei mass media verso il movimento.

Una manifestazione di milioni di persone è stata annullata dai media, tutti dediti a riportare le dichiarazioni, le controdichiarazioni, le ripicche, dei vari burocrati di partito riguardo alle contestazioni a Fassino.

La vitalità, la voglia di pace, la moltitudine di colori e idee e passioni sono state opportunamente cancellate. L'enorme creatività dei movimenti, i cartelli con tanti punti di vista, i pacifisti islamici e quelli americani, gli spagnoli che si erano uniti al corteo, i cittadini rispettosi della Costituzione, i liberi pensatori, gli sballati, tutti quelli che gioivano nel marciare insieme sotto tante diverse bandiere variopinte, tutti cancellati.

Perché l'Italia è un paese in guerra, una guerra dei ricchi contro i poveri, e nelle cosiddette "missioni di pace" viene applicato il Codice penale militare di guerra.
In questa situazione i giornalisti non hanno bisogno che si ricordi loro cosa devono fare. Chi è riuscito a fare carriera sa bene cosa vuole il potere: sminuire la manifestazione, esaltare le divisioni, evitare le immagini delle folle, concentrarsi sugli atti di violenza, riportare subito tutto agli organi partitici, agli uomini di apparato, che avranno modo di sterilizzare il dissenso e cloroformizzare le masse.

Mai dire che la manifestazione voleva il ritiro immediato delle truppe dall'Iraq. Mai dire che la stessa cosa imporrebbe sia una lettura superficiale che una lettura ragionata della nostra Costituzione.

Ma i milioni di persone che erano in piazza cosa penseranno del fatto di essere stati cancellati? Si renderanno conto che la censura del regime è capace di annullare anche eventi clamorosi?
Avranno capito che oggi, in Italia, i media sono totalmente inaffidabili?
Cosa racconteranno agli amici, ai conoscenti, ai familiari?

Un'ultima nota sul potere: "Un grande potere implica una grande responsabilità".
Perché si continua a parlare di provocatori nella manifestazione, come se si volesse un capro espiatorio?
Il segretario di quello che dovrebbe essere il più grande partito della sinistra italiana sa bene di avere un potere superiore a quello di quattro scalmanati, quindi dovrebbe pure sapere di chi è la colpa se i media di regime hanno avuto l'occasione che cercavano. Dovrebbe pur sapere cosa farebbe uno che appoggia il movimento pacifista.
Sempre se fosse veramente dalla loro parte.

Truman Burbank

La dialettica politica ed il pensiero unico

5 marzo 2004

Quando il pensiero politico diventa unico tutte le prospettive di lungo periodo (le strategie) diventano uguali. (Le grandiose sorti progressive del capitalismo liberale).

Allora la lotta politica diventa una lotta tattica, dove le azioni vengono prese in base a situazioni contingenti, non in base ad un'ideologia. Allora ogni azione dell'avversario politico potrebbe essere presa anche dalla controparte.

Ecco che quando la maggioranza prende una decisione, anche molto discutibile, l'opposizione valuta comunque la possibilità di appoggiare tale decisione, esplicitamente (voto favorevole) o implicitamente (astensione tattica).

Solo chi ha un'ideologia, una missione politica, un sogno o qualcosa di analogo (una strategia) può ragionare senza considerazioni tattiche. Ecco allora che i cattolici diventano, sul tema della guerra, più intransigenti della sinistra. Ecco che i cattolici provano ancora a pilotare (orientare) le masse, invece di fare sondaggi per capire cosa vuole la popolazione e basare le proprie tattiche sui risultati dei sondaggi.

Detto in altri termini: chi ha una strategia si può permettere di fare opposizione totale, anche quando la maggioranza riprende le (vecchie) proposte dell'opposizione (es. lodo Maccanico / Schifani). Perché chi ha una strategia vede i singoli punti nell'ottica della strategia e non ha interesse a raggiungerli separatamente, senza che puntino ad un disegno globale. Chi non ha strategia fa il punto ogni giorno, guarda in continuazione la bussola e, per quanto possa mostrare sicurezza, dà sempre la sensazione di uno che si è smarrito.


Truman Burbank

mercoledì 17 ottobre 2007

2004 - Fuga dalla Borsa


2004 - Fuga dalla Borsa


Nelle brume che si stendono tra Parma e New York si alza un grido: fuggire dalla Borsa.

Nelle brume che si stendono tra Parma e New York si alza un grido: fuggire.

Bisogna fuggire dalla Borsa, l'uomo comune non ha più alcuna speranza di salvare i propri risparmi in questa giungla insana, dove sopravvivono solo i più forti e spietati. Anche chi credeva di essere una persona forte e navigata si rende conto che, in mezzo agli squali, se resta non ha speranza.

Del resto se la guerra è guerra (contrariamente a chi vuol far credere che la guerra è pace) allora siamo in guerra ed il bene di rifugio è l'oro, non la borsa; e mentre i promotori finanziari continuavano a consigliare i bond Parmalat, l'oro saliva.

Mi torna in mente l'unico proverbio americano degno di essere ricordato: "Se ti siedi al tavolo da gioco e non riesci ad individuare il pollo, stai attento, amico, vuol dire che il pollo sei tu".

Truman Burbank
28/01/2004

Ricostruire la frattura del 1989

12 gennaio 2004



Nel 1989 sembrò che il mondo fosse finalmente cambiato - in meglio - con la caduta del Muro di Berlino. A distanza di anni le cose non appaiono più così evidenti, anzi appare una frattura nella storia del pensiero che sarebbe opportuno colmare.


Il 1989 sancì la definitiva caduta dell'impero dell'URSS, facendo apparire il modello occidentale (il "capitalismo"?) come il vincitore della guerra fredda ed il sistema ideologico occidentale come l'unico sistema di pensiero politico degno di essere considerato. Fu molto strombazzata questa superiorità del modello occidentale, come se il vincitore avesse sempre ragione, quindi fosse moralmente superiore al perdente.
Fu evidenziata dai media la povertà, unita al basso livello tecnologico, dei paesi dell'Est, come se la ricchezza fosse di per sé un valore positivo. Eppure la ricchezza (spesso espresso in termini di PIL quando si fa riferimento ad una nazione) era un valore positivo per il modello vincente, mentre esistono ideologie consolidate (quella cattolica, per esempio) nelle quali la ricchezza è un problema più che un valore.
E così vinse il modello occidentale, quello che pensavamo fosse capitalismo, mentre era più correttamente da chiamare neoliberismo. I capitali sono stati sempre più liberi di muoversi e viaggiare per il mondo, in base agli interessi di chi li gestiva (che non necessariamente era il loro proprietario - Parmalat docet). Troppo spesso si è parlato di libertà solo per avere una maggior libertà di movimento dei capitali.
Le ideologie basate sull'egoismo più sfrenato si sono scatenate ed i risultati cominciamo ad averli sotto gli occhi: guerre diffuse, continui allarmi per terrorismo, angoscia diffusa, ma soprattutto i poveri sono sempre più poveri e disperati, i ricchi sono sempre più ricchi ed il pianeta Terra è sempre più vicino al collasso.
Il 1989 portò un globalismo senza storia. Apparve come se la storia avesse esaurito il suo compito. Tutto era chiaro ed atemporale nella nuova prospettiva globale - liberale. In realtà la storia è ritornata di prepotenza e tocca guardarsi indietro per tentare di capire come si è potuti giungere alla confusione attuale. Ciò che era apparso come il miraggio di poter avere benessere e sviluppo illimitati, oggi appare come la dischiusura di un Vaso di Pandora, dovuto alla rottura di un equilibrio che, per quanto precario, era durato cinquanta anni.
Vale la pena di ritornare all'89 e verificare se quell'entusiasmo di avere un mondo unipolare non debba essere ripensato. La caduta del Muro fu anche la caduta dell'URSS, ma questo non vuol dire che la tradizione del pensiero di sinistra fosse sbagliata, semplicemente Marx non era un gran che come profeta, oppure la realizzazione delle sue teorie non fu coerente al modello (a scanso di equivoci, considero più significativa la prima ipotesi).
Resta il fatto che l'analisi del capitalismo fatta da Marx era una delle più complete mai fatte ed aveva posto in evidenza molti dei limiti che sono stati visti in seguito. E comunque Marx si inquadra in tutta una sequenza di pensatori che hanno fondato il pensiero socialista. E molti intellettuali hanno proseguito il suo lavoro, creando metodologie utili per analizzare ciò che accade nel mondo reale e trarne delle indicazioni su come agire per il futuro.

Che la vittoria del liberismo venisse invece interpretata in un solo modo ha alcune spiegazioni, tra cui:
1) la guerra fredda aveva creato preoccupazioni per decenni e le popolazioni, ormai angosciate, avevano voglia di sentirsi dire che questa guerra, ("fredda" ma reale) che più volte si era avvicinata alla distruzione del mondo, era finalmente terminata in modo incruento. Finalmente si poteva guardare al futuro in modo sereno.

2) I vincitori - i grandi poteri economici - avevano l'interesse ed i mezzi (i mass media) per fare apparire la vittoria nella guerra fredda come una vittoria morale, in cui loro avevano vinto perché loro ed il loro sistema erano moralmente superiori.

A distanza di anni, quando ormai è chiaro che la credenza nella superiorità morale del liberismo si è dimostrata una truffa ben congegnata, appare fondamentale ritornare alle tradizioni della sinistra, senza vittimismi, a fare proposte politiche nel segno della sinistra, evitando il liberismo annacquato che sembra essere moneta corrente tra i leaders della sinistra italiana di oggi.
Altrimenti saranno rimasti solo i cattolici a difendere i deboli ed i poveri ed a parlare di solidarietà.

Allora occorre tornare all'89, ripartire dai classici e ricominciare a studiare con metodo nuove prospettive, con urgenza, perché il tempo rimasto a disposizione per intraprendere azioni utili potrebbe essere ben limitato.

Ritornare alla storia, perché fuori dalla storia esistono solo illusioni e miti. Ritornare all'economia, perché è una materia tutt'altro che chiusa.
E lavorare insieme, sfruttando le nuove tecnologie, che consentono possibilità di comunicazione che prima erano impensabili.

buon lavoro

martedì 16 ottobre 2007

BLACK OUT. NON CE LA RACCONTANO TUTTA


29/9/2003

Considerazioni tecniche sul blackout di domenica (28-9-2003). I conti non tornano

Il blackout avvenuto alle 3.30 di domenica è stato seguito da una serie di dichiarazioni che mi hanno lasciato molto perplesso, anche perché non c'era nei discorsi alcuna considerazione di carattere quantitativo, mentre i numeri sono fondamentali per focalizzare il problema.
Il primo dato da tenere in conto è che di notte non c'è carenza di produzione di energia elettrica rispetto alla domanda, ma eccesso. Tutta una serie di tecniche vengono messe in atto per coprire questo problema, ma le vedremo nel seguito.
Sembra poi strano che il disastro venga attribuito ad una interruzione della fornitura dell'energia elettrica da parte della Francia, visto che di notte non avremmo bisogno di acquistare energia. L'unico motivo potrebbe essere il fatto che costa meno importare energia dalla Francia (che ha eccesso di produzione, a causa dell'alto numero di centrali nucleari), piuttosto che produrla.

Vediamo ora l'aspetto della richiesta di energia. Essa è ampiamente variabile nell'arco delle 24 ore e nell'arco dell'anno, ma alcune regole basate sulle statistiche di consumo dovrebbero essere ben note e facilmente reperibili. Cito i valori a memoria, ma non dovrebbe essere difficile rintracciare i dati effettivi.
I consumi giornalieri sono tipicamente alti tra le 8 e le 16, essendo dovuti alle industrie ed attività produttive in genere, con un picco intorno a mezzogiorno. Dopo le 16 i valori decrescono e dopo mezzanotte crollano a valori intorno al 15% del massimo. Tale valore viene però in pratica innalzato intorno al 20% dall'utilizzo delle centrali idroelettriche per pompare acqua in alto nei bacini, in modo da ricostituire le scorte idriche per il giorno dopo. Anche considerando che la notte di domenica fosse una notte particolare, non è assolutamente ipotizzabile un consumo superiore al 30% del massimo giornaliero (che è inferiore ai picchi annuali, i quali si raggiungono solo in condizioni particolari).
Va aggiunto che nella giornata di domenica l'assorbimento non dovrebbe superare il 50% di quanto si ha in un giorno lavorativo.

L'andamento dei consumi nel corso dell'anno presentava fino a qualche anno fa dei picchi in corrispondenza alle giornate più fredde. Nell'ultimo anno si sono raggiunti picchi analoghi o superiori in corrispondenza dell'estate, a causa del gran numero di condizionatori in funzione. Dei picchi di minore intensità e durata si hanno a volte nelle stagioni intermedie, tipicamente subito prima dell'accensione dei riscaldamenti centralizzati (in autunno) o subito dopo lo spegnimento (in primavera). Tali picchi sono dovuti all'utilizzo di stufe elettriche in giornate fredde, quando i riscaldamenti non sono in funzione.

Mi sembra evidente che nella notte considerata eravamo ben lontani da tutti i casi considerati.

La gestione giornaliera.
Andiamo alla logica di gestione giornaliera delle centrali. Ci sono alcuni tipi di centrali che producono sempre energia: sono quelle ad acqua fluente (cioè idroelettriche senza impianti di pompaggio) e quelle termonucleari. Nel primo caso l'energia dell'acqua viene semplicemente sprecata se si ferma la centrale. In quelle nucleari le complicazioni legate allo spegnimento e successiva riaccensione degli impianti superano di gran lunga i vantaggi legati allo spegnimento.
Le centrali eoliche sono uguali a quelle ad acqua fluente. Dovrebbe essere uguale anche per l'energia geotermica, che in Italia è significativa.
Il grosso della produzione comunque è dovuto alle centrali termoelettriche (tipicamente a olio combustibile, a gas o a carbone) che si comportano diversamente a seconda delle dimensioni e delle tecnologie costruttive. Le centrali più grandi sono tipicamente analoghe a quelle termonucleari, per cui non ci sono vantaggi sostanziali nello spegnimento. Le centrali più piccole (pur avendo rendimenti inferiori) sono invece più adeguate a spegnimenti ed accensioni rapide per seguire la curva del carico (anche in dipendenza del tipo di turbina usata).

Restano le centrali idroelettriche con bacino che, come già detto, possono consumare energia elettrica nelle ore notturne per pompare acqua verso l'alto ed ampliare così le riserve idriche da utilizzare nelle ore di carico.

Ci sarebbe forse da considerare ancora l'energia degli autoproduttori, cioè di quegli enti che producono in proprio l'energia elettrica e rivendono il surplus. Questa quota è abbastanza bassa e non ho dati significativi sulla distribuzione nelle 24 ore.

Da quanto sopra, comunque, non ci dovrebbero essere stati problemi a produrre energia a livelli intorno al 100% di quanto viene prodotto normalmente in Italia nell'arco di pochissime ore, mentre una quota significativa avrebbe dovuto essere disponibile immediatamente. (Piccoli impianti a gas e bacini idroelettrici).
Considerando una quota di importazione del 10%, avremmo dovuto avere il 90% dell'energia disponibile, contro una richiesta del 30%. I conti non tornano.
(nota: alcune dichiarazioni ufficiali affermano che il 16% dell'energia viene importata).

Il "Crollo" della rete.
Qualcuno ha affermato che la mancanza di energia dalla Francia ha provocato il crollo di tutta la rete, essendo essa un tutto integrato.
Non è così e ne abbiamo avuto esperienza nei mesi scorsi, quando una domanda quasi costantemente superiore all'offerta ha causato disagi molto moderati. Il gestore della rete ha dimostrato di essere capace di intervenire a volontà sui picchi di consumo, disattivando le utenze solo quando realmente necessario, e solo per tempi limitati.
Presumibilmente in quei giorni la rete veniva monitorata in continuazione, mentre nella notte di domenica sicuramente non c'era questa attenzione.
Però tutti avremo osservato temporali di notevole entità e nubifragi vari, con conseguente interruzione dell'energia in ampie zone. Eppure non ricordo un black-out paragonabile a quello di domenica. La rete più volte ha sopportato guasti di notevole entità e segmentazioni, senza che mai un guasto si propagasse in tutta l'Italia.
Va probabilmente ricordato il fatto che tutte le linee principali sono dotate di interruttori automatici, in grado di staccare e riattaccare la linea senza bisogno di intervento umano, per i quali l'arrivo di un fulmine sulla linea è un evento perfettamente normale.

Insomma, il sovraccarico non c'è stato e la rete italiana è perfettamente in grado di sopportare eventi anomali.

Allora cosa è stato?


QUALCHE RISPOSTA

Dopo aver raccolto un po' di informazioni, comincio ad avere qualche idea.

1) Bisogna partire dal concetto che, al momento del blackout, c'era una richiesta di elettricità abbondantemente inferiore al normale. In queste condizioni, quasi tutte le centrali italiane erano spente ed il personale stava a casa per godersi il week-end.

2) Quanto sopra (centrali spente e personale a casa) ha senso solo se si ragiona in termini economici. L'energia nucleare francese costa meno di quella prodotta in Italia, per cui si è preferito utilizzare tale energia piuttosto che tenere accese le centrali italiane.
(Presumibilmente stavamo importando energia anche dalla Slovenia, oltre che dalla Francia; anche in questo caso i costi sono inferiori perchè la Slovenia non si preoccupa nel costruire centrali a carbone).

3) E' evidente che considerazioni relative alla continuità della fornitura avrebbero consigliato scelte diverse, ma la forzatura a suddividere la produzione dalla gestione, con la creazione di due aziende separate (GRTN ed Enel) ha portato a frammentare i problemi, nell'illusione che costringendo ognuna delle due ad ottimizzare i profitti, si sarebbe avuto un servizio migliore. In realtà si è solo creata una divisione artificiosa che rende difficile coordinare la produzione con la distribuzione e individuare le colpe in caso di black-out catastrofici. (Insomma: di chi è la colpa se tutte le centrali sono spente?)

4) L'effetto domino (crollo a cascata di tutte le componenti della rete) in questo caso può esserci stato, perchè tutte le capacità dell'organizzazione erano orientate a gestire i picchi di consumo (=business) e non i minimi.
Quindi, mentre due mesi fa c'era una task force giornaliera che riusciva a gestire in modo ottimale consumi elevatissimi, perchè tutte le variazioni di carico e di produzione erano in percentuale abbastanza basse, domenica la rete era praticamente abbandonata (non c'era business), i dipendenti stavano a casa (perchè pagare lavoro straordinario e notturno?) e una percentuale elevatissima del carico (credo almeno il 50%) era appoggiata sui surplus produttivi francesi.
In queste condizioni l'interruzione della fornitura ha provocato uno sbalzo così forte da far saltare tutti gli interruttori e quindi da spegnere le (pochissime) centrali in funzione.

5) Mi sembra chiaro a questo punto che il modello di interconnessione su cui sta andando la rete porta ad aumentare i profitti, perchè si prende l'energia dove costa meno, ma aumenta i rischi nei momenti di basso consumo. Una gestione estremamente attenta delle ore notturne e dei week-end potrebbe diminuire molto i rischi, ma riporterebbe in alto i costi.

6) Le considerazioni precedenti dovevano essere ben chiare da tempo agli esperti. In pratica le reti elettriche sono diventate più fragili per motivi economici. Da qui dipende il fatto che il dolo non può essere escluso, perchè qualcuno doveva sapere che aprendo, anche per distrazione, gli interruttori sulle linee francesi, la rete italiana sarebbe andata al collasso.
Truman

29/9/2003

Un cane che morde un uomo fa sempre notizia

Un cane che morde un uomo non fa notizia?

Accendo come al solito la TV e sento su RAIUNO (prima serata) ancora una volta la notizia: un cane ha morso un uomo.

Non sono un giornalista, ma, sicuramente da profano, pensavo che tra le regole base del giornalismo ci fosse:

"Un cane che morde un uomo non è una notizia. Un uomo che morde un cane è una notizia".

Adesso, almeno nell'informazione televisiva, sembra che il cane che morde sia diventata una notizia. Non penso che il fatto cambi in modo significativo quando si specifica la razza del cane.

Sapreste spiegarmi quanto sopra?

Io, nella mia ignoranza, riesco solo a pensare ad un degrado estremo dell'informazione televisiva.

Truman

11.09.2003


La trappola irachena

luglio 2003

Per chi non crede ai media ufficiali, è facile vedere la situazione attuale degli USA in Iraq come una trappola, dove in qualche modo si sta capovolgendo quello che appariva il risultato della guerra.

Proviamo a ricapitolare: la brevità della guerra, l'esiguità dei morti americani, la scomparsa improvvisa del regime di Saddam Hussein, il controllo dei pozzi petroliferi, facevano apparire gli USA come netti vincitori.
Partivano le scommesse sulla guerra successiva, Siria?, Iran? Corea?

Oggi la situazione mi appare abbastanza diversa. L'esercito di 150.000 uomini appare intrappolato in Iraq e non sembra facile trovare dei sostituti. Sono arrivati un po' di italiani, dovrebbero arrivare truppe giapponesi, ma dubito che cambino sostanzialmente la situazione, sia per l'esiguità dei contingenti, sia per la (presumibile) scarsa voglia di integrarsi nel meccanismo imperiale delle truppe aggiunte (anche per motivi di sopravvivenza). L'uccisione dei figli di Saddam non appare aver cambiato le cose, come del resto è ben intuibile per chi si rende conto che gli iracheni combattono per la propria terra e per la propria libertà, non per Saddam.
Allo stesso modo, l'eventuale cattura o uccisione di Saddam Hussein non cambierebbe le cose in modo sostanziale.

Un argomento che mi sembra del tutto sottovalutato è href="http://www.nuovimondimedia.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=149">la contaminazione radioattiva del territorio iracheno. Già nella prima guerra del golfo ci furono molti morti tra le truppe americane dopo il ritorno negli USA. Adesso la permanenza si
allunga, le truppe continuano ad essere esposte al cosiddetto "uranio impoverito" usato per i proiettili, che in realtà è probabilmente un miscuglio di scorie nucleari, contenente anche plutonio, nettunio e americio. (In pratica è
come se gli USA avessero lanciato un buon numero di "atomiche sporche").

Può darsi che i primi casi di tumore si stiano già verificando.

Saranno utilizzabili le truppe per altre guerre dopo un periodo di riposo in USA? Presumibilmente no.
Anzi, molti dei reduci potrebbero diventare delle schegge impazzite nella società americana, come già avvenne in precedenza. Potrebbero essere i reduci il maggior pericolo per l'establishment imperiale, sia per il rischio di attentati che
per ciò che potrebbero raccontare alla popolazione americana.

Nel frattempo l'Impero ha bisogno di sangue e di guerre. O crolla di colpo o continua a combattere. Se realmente l'impero si fosse indebolito, per mancanza di truppe e di popolarità, potrebbe essere il caso di mettere un po' di
ordine in casa, dove la situazione sta diventando un po' troppo confusa. Chavez in Venezuela sta lavorando troppo contro i petrolieri, Lula fa accordi con Chavez e pone condizioni per il "libero scambio" con gli USA. Una bella guerra in
Colombia contro il narcotraffico potrebbe fornire il sangue agli imperiali senza spese eccessive, senza troppi cali di popolarità e sarebbe un segnale per tutto il Sudamerica.

Nel dormiveglia con il grande fratello


24.06.2003
Riflessioni sul grande fratello in un momento di dormiveglia

Le trasmissioni sul tipo de "Il grande fratello" sembrano avere molto successo in tutto il mondo, almeno per certe fasce di pubblico.

In un momento di dormiveglia mi è venuto un dubbio osceno, ripensando alla mitica pubblicità di un mobilificio (era Aiazzone?) che durava per ore ed ore su qualche TV privata, ma a volte veniva interrotta dalla pubblicità.

Il gioco era esemplare: si interrompeva la decrizione dei magnifici mobili con uno spot pubblicitario, per dare l'idea che la cornice (la vendita dei mobili) fosse invece il mondo reale.

Così ho visto Il grande fratello, una trasmissione in cui della gente rinchiusa e spiata in una casa si agita, recita, finge, per dare l'idea a quelli che stanno fuori di essere liberi.

E se invece nel grande fratello (quello vero) ci fossimo già tutti dentro?

Commento di un amico: come andare allo zoo e dire "Guarda quei poveri animali in gabbia, come dev'essere triste la loro vita!"

Truman


24.06.2003



Il risveglio della moltitudine


04.04.2003

Un tentativo di tracciare nuove mappe dell'inferno politico quotidiano

Gli avvenimenti in corso nel mondo della politica / informazione / guerra si susseguono con un ritmo che spiazza completamente i commentatori più tradizionalisti, ma non risparmia neppure gli osservatori più evoluti.

Notevole appare, in questo senso, l'ultimo numero della rivista Limes "La guerra promessa", che (dopo l'editoriale) apre con un pezzo sui nuovi modelli di guerra, che risulta già abbondantemente superato quando la rivista compare in edicola. Quella che si prospettava come una guerra leggera e mirata si presenta adesso una guerra medievale, basata sull'assedio.

Eppure Sun Tzu, nel suo "L'arte della guerra" dice che chi conosce se stesso ed il nemico ha ottime probabilità di vittoria, mentre riguardo agli squilibri di forze in campo non fa alcuna previsione di vittoria, dice solo "Chi è il più forte deve attaccare, chi è il più debole deve resistere". Non è difficile vedere l’errore di una strategia iniziale basata sull'idea che il nemico fosse Saddam Hussein, mentre appare evidente che il nemico è l'intero popolo iracheno (come minimo).

Appare inoltre utile leggere "La guerra infinita" di Giulietto Chiesa, che espone l'idea di un "ponte di comando" che ha deciso di scatenare una guerra infinita per mantenere il potere dei ricchi sui poveri. Chiesa non sembra vedere enti capaci di contrastare significativamente questo scenario di guerra perpetua.

Hardt e Negri, nel loro "Impero" tendono a dare una visione storica dell'evoluzione del potere imperiale e del suo disvelamento alle masse. Ma l'idea più interessante del libro, anche se poco sviluppata, è quella della moltitudine. La moltitudine supera il concetto di classe sociale del buon vecchio Marx e tenta di astrarre l'idea che le masse tenute fuori da ogni decisione politica significativa hanno qualcosa in comune.

Un punto che sembra trascurato da Negri/Hardt è la (auto)coscienza della moltitudine, la comprensione che gli interessi delle moltitudini sono ben diversi da quelli dell'impero e che muovendosi in modo coordinato le moltitudini possono conseguire risultati rilevanti.

In realtà la coscienza delle moltitudini si è già svegliata. Le masse si stanno muovendo, in vario modo, sotto molte bandiere diverse, a volte in modo incerto, ma hanno capito che i loro interessi sono solitamente opposti a quelli dei loro governanti.

Si prospetta quindi una contrapposizione attiva tra le moltitudini, spesso legate agli stati nazionali o alle religioni, ma tenute insieme dal collante imperiale (tecnologia, lingua inglese, merci di consumo in genere) e l'impero.

La contrapposizione si svolge soprattutto sul piano dell'informazione, cioè sulla capacità di raccogliere, filtrare e rielaborare informazioni.

La capacità di raccogliere informazioni, come pure quella di creare notizie da dare in pasto alle moltitudini, è uno dei punti di forza dell'impero ed a questo scopo sono stati destinati possenti mezzi informatici e molti uomini. (Un esempio di notizia inventata potrebbe essere il fantomatico scontro di civiltà tra l'Occidente e la religione musulmana).

Molto meno efficace è invece la capacità dell'impero di raccogliere le informazioni significative nel mare informativo globale e tradurle in una reale comprensione dei fenomeni. Indicative battute d’arresto si sono avute in tempi recenti (la "guerra leggera" preventivata in Iraq è un esempio).

Sul fronte opposto la moltitudine, pur con una capacità di raccolta inferiore, cresce continuamente dal punto di vista della raccolta e riesce ad avere una superiore capacità di ricostruire ciò che avviene, grazie alla sterminata intelligenza elaborativa delle moltitudini, basata principalmente sugli umani invece che sulle macchine. In contemporanea, la capacità delle moltitudini di creare eventi sta crescendo in modo impetuoso.

Non è difficile pronosticare che nel prossimo futuro si parlerà sempre di più della moltitudine (nelle sue varie facce) e di meno dell'impero, solitamente rappresentato dalle facce tradizionali del potere (giornalisti compresi).

Truman

04.04.2003

Il giocattolo si è rotto

17.03.2003
Il giocattolo si è rotto, grazie alle manifestazioni
di Truman
La rottura del meccanismo di generazione del consenso

Il giocattolo si è rotto. Blair, col suo sorriso un po' ebete, continua a giocarci, tentando di farlo funzionare. Ma si vede che il suo sguardo è perplesso.

"Cosa è successo?"

Bush continua come prima, anche con più foga, ma sente che c'è qualcosa che non va. Berlusconi, forse il più astuto, ha capito che il giocattolo ha un effetto addirittura controproducente ed ha ridotto al minimo indispensabile le sue apparizioni.

Tutti e tre capiscono che c'è qualcosa che non va e si interrogano: "È una rottura definitiva o ancora si può aggiustare?"

Eppure il giocattolo aveva funzionato bene per anni e anni, con continui affinamenti da parte dei grandi esperti di manipolazione delle masse. Le ingenuità di Mussolini e Hitler erano state assimilate e superate da lungo tempo. La collaborazione tra Hollywood e la CIA aveva fornito risultati sorprendenti, l'utilizzo professionale della TV in Italia aveva rivoluzionato gli equilibri di potere.

Una decina di anni fa il giocattolo aveva funzionato alla perfezione nel far credere alla stragrande maggioranza delle popolazioni che la guerra in Kossovo fosse una guerra umanitaria o, almeno, un'operazione di polizia internazionale.

E ancora poco più di un anno fa, la guerra in Afghanistan era stata fatta inghiottire alle moltitudini senza eccessivi problemi.

Le logiche che hanno portato alla rottura del meccanismo di generazione del consenso popolare sono insite nell'Impero e nella sua ideologia. L'Impero ha scelto di mantenere il predominio tramite la struttura economica e di tenere soggiogati gli schiavi a distanza tramite tale struttura. Ciò può funzionare solo tramite buone linee di comunicazione. Ma l'Impero, forse ancora per poco tempo, ha bisogno di apparire benefico e democratico, di avere dei consumatori che comprino i prodotti dell'industria, per cui anche le capacità di comunicazione delle popolazioni sono cresciute in modo esponenziale. Questo effetto indotto non era stato considerato.

Nel frattempo la lingua dell'Impero è diventata la lingua universale. Tutti gli schiavi del mondo sono diventati capaci di comunicare facilmente e di trovare persone con problemi analoghi. La forza degli oppositori dell'Impero viene dalle nuove tecnologie di comunicazione e dalla lingua comune.

Tutto ciò non sarebbe abbastanza per spiegare la reale forza delle opposizioni. La comunicazione via Internet è un mondo virtuale, tramite computer. Ma poi si spegne il computer e si torna al mondo reale. Ciò che ha definitivamente rotto gli equilibri sono stati i grandi raduni, le grandi manifestazioni di piazza, che hanno ridato realtà ad un mondo che poteva apparire virtuale, hanno permesso di vedersi in faccia e di contarsi. Hanno stabilito nuovi contatti, hanno affinato le tecniche di comunicazione, hanno dato fiducia alle persone. Fiducia nel fatto che quelle idee che si ritrovano su Internet, quelle idee che ci si scambia con gli amici, sono ben più reali del telegiornale e delle dichiarazioni dei politici.

Un punto di rottura significativo è stata la manifestazione per la pace del 15 febbraio. Quel giorno qualcuno, sul palco di San Giovanni, a Roma, dichiarò che, in base ai conti fatti dalla CNN, 110 milioni di persone avevano manifestato in contemporanea. La CNN non aveva dichiarato niente del genere, ma quel numero (centodieci milioni di persone) fece il giro del mondo e fu citato più volte, finché la CNN non fu costretta a smentire. Dice qualcuno che gli ascolti del telegiornale sono in calo, che la gente, ormai angosciata, non sopporta più i discorsi interminabili su questa guerra che deve venire e passa a vedere trasmissioni più leggere. E' una spiegazione, ma forse è più ragionevole pensare che tante persone si siano stufate dei tentativi di manipolarle, delle discussioni su come l'ONU debba fare da notaio alle dichiarazioni di guerra dei potenti, o su come perda credibilità se rinuncia a fare da notaio. Molti pensano che l'ONU non fosse nato per fare il notaio. E tanti ricordano la guerra di Afghanistan come ci è stata raccontata dai media, la cui migliore sintesi è stata fatta da Beppe Grillo. (Cito a memoria)

"Tutti i paesi più potenti del mondo si alleano contro uno dei paesi più sgarrupati del mondo, allo scopo di catturare un unico uomo. Combattono per mesi e alla fine l'uomo non si trova. E i potenti dichiarano in coro: 'Abbiamo vinto!'".

Truman

17.03.2003

Marziani

Luglio 2001

MARZIANI

Capire il popolo di Seattle non e` possibile se non si cambia il punto di vista usuale. Altrimenti essi verranno visti come dei marziani arrivati improvvisamente sulla Terra. Ma marziani non sono, essi sono cresciuti in questo mondo con i valori tipici di questa civiltà occidentale.
Nel grigiore interpretativo con cui essi sono visti normalmente, vorrei tentare di dare un po' di colore, senza la pretesa di spiegare tutto o di essere condiviso dai marziani, ma solo di mostrare qualcuno dei colori dell'arcobaleno.

Tutto parte dalla religione dell'Impero: una religione integralista, che quindi non distingue la vita sociale dal culto. Il dio dell'Impero e` il Dollaro e tutto viene ad esso asservito; grazie a questo dio l'Impero e` cresciuto in continuazione ed ormai tutto il mondo comincia a venerarlo.
Ma in tutti gli imperi, man mano che crescono e si ingigantiscono, cresce un'opposizione, che pretende di avere delle idee proprie, che non si vuole omologare al dio dell'Impero, che a volte giunge a pensare che tutti gli uomini sono uguali, indipendentemente dal loro reddito o da quanto spendono.

La grandezza dell'Impero da` forza anche alle opposizioni con i suoi doni.
· Il primo dono e` la lingua imperiale, che consente a persone di diversa cultura di comunicare e di scoprire i problemi comuni.
· Il secondo dono sono le vie dell'Impero, che portano rapidamente in tutto il mondo conosciuto, dando forza alle milizie imperiali, ma anche a tutti quelli che hanno bisogno di muoversi. Oggi le vie da considerare sono quelle su cui viaggiano le informazioni: le onde radio e la grande rete.
Tramite Internet ed i telefoni cellulari le opposizioni possono aggregarsi e coordinarsi, agendo a volte con un'organizzazione migliore delle milizie imperiali.
· Il terzo dono l'Impero non avrebbe voluto farlo, ma comunque e` arrivato lo stesso: le comunicazioni hanno un valore ridotto se possono essere intercettate con una organizzazione dedicata (Echelon); la crittografia e` ormai a disposizione di chiunque e consente comunicazioni sufficientemente sicure.

E così i nuovi schiavi ed i nuovi gladiatori, dopo essersi resi conto che mai la disuguaglianza tra i ricchi ed i poveri era stata così grande, hanno pensato che forse si poteva porre rimedio. Sfruttando i doni dell'Impero, i giovani cresciuti nelle nuove tecnologie, quelli che non sapevano nemmeno cosa fosse la guerra fredda, il comunismo, la destra e la sinistra, le due culture (letteraria e scientifica), hanno provato ad agire con i metodi che erano per loro piu` naturali.
I risultati si stanno vedendo.

L'impero è ancora in espansione, ma la sua decadenza è cominciata.

Truman
Luglio 2001