lunedì 17 dicembre 2007

La strategia ed i movimenti


Tempo fa si parlava di strategia e mi sono venute in mente delle proposte in automatico. Tendo ad dare valore alle mie risposte intuitive, ma comunque con una pausa di riflessione successiva. Qui ho tentato di riorganizzare le mie riflessioni.

Andrea dice che il movimento, i movimenti, le moltitudini, si muovono senza strategia. Probabilmente è vero.

Ma sulla strategia non posso fare a meno di pensare a Sun-Tsu ed al suo L'arte della guerra. La prima direttiva applicabile è chiara: "Chi sta in vantaggio di forze deve attaccare, chi sta in inferiorità deve resistere". E' inteso che anche la resistenza deve essere strategica, finalizzata a logorare l'avversario.

Ma prima o poi, arriva il momento di attaccare. Anche in questo caso ci sono delle indicazioni:
1) Attacca le strategie dell'avversario
2) Attacca le alleanze dell'avversario
3) Attacca le fortezze dell'avversario.

Che il movimento sia oggi in condizione di portare qualche attacco a me sembra evidente. Lo sta già facendo Grillo, per esempio.
D'altro canto lo studio di quali siano le strategie del potere deve essere preliminare, perché non si può attaccare ciò che non si conosce.

E' evidente quindi che la prima battaglia è quella dell'informazione. Bisogna controbattere alle campagne disinformative dei media ufficiali con informazioni reali, ragionate, puntuali, continue.

Ma sempre bisogna ricordare che il nemico potrebbe non essere ben identificato. "Il nemico" è una semplificazione semantica, utile per coalizzare forze in una direzione, ma troppo spesso si rivela evanescente quando viene attaccato, capace di prestazioni mimetiche. Molte volte "il nemico viaggia alla tua testa", è quello che sembra guidarti verso il combattimento.

Allora la prima regola è sempre la stessa: "Conosci te stesso".

Dice Sun Tsu:
"Chi conosce se stesso e ingaggia battaglia ha eccellenti possibilità di vittoria."
"Chi conosce se stesso ed il nemico può ingaggiare cento battaglie e vincerle tutte."
"Chi non conosce se stesso è destinato alla sconfitta".

Tutte le citazioni sono a memoria. Possono essere imprecise alla lettera, ma credo rispettino bene il pensiero di Sun Tsu.

lunedì 10 dicembre 2007

Teatro elettorale


Come far fessi ancora una volta gli elettori agitando il feticcio della governabilità

Non si capisce molto nella politica italiana se non si cala il sipario sul teatrino sempre in funzione e non si studia qualche dato di fatto.

Uno dei pochi dati di fatto è il Partito Democratico, in cui sono confluiti i "moderati" del centro-sinistra.
Per chi ha seguito con un po' di impegno il PD, esso è un progetto che viaggia insieme ad una nuova legge elettorale che dia la maggioranza assoluta al primo partito. Ciò consentirebbe ai cosiddetti moderati di governare facendo a meno della cosiddetta sinistra radicale. Allo stesso tempo un grande partito di centro destra potrebbe fare a meno di Bossi e di Casini.

(Chiaramente le differenze tra il grande partito di centro sinistra ed il grande partito di centro destra sarebbero a questo punto abbastanza marginali).

L'idea di base è che la modifica alla legge elettorale si cercherà di farla fare agli elettori tramite un referendum, da tenersi indicativamente a giugno 2008. Tanto tutti sanno che il parlamento non può essere sciolto prima della fine di ottobre 2008, quando i parlamentari matureranno la pensione. E' evidente che ci devono essere strade alternative se il giocattolo (il meccanismo predisposto) non funzionasse, ma l'idea di base è questa.

E' pure chiaro che un piano del genere sarebbe molto rischioso se restasse interno al centro-sinistra, mentre andrà comunque in porto se fosse concordato con il centro destra, o almeno con il partito più grande del centro destra.

Poiché il PD è stato fatto, il piano sta andando avanti. Presumibilmente si tenterà di far passare il referendum come una misura di emergenza: i politici litigano e quindi il popolo sovrano imporrà le modifiche al porcellum che consentano governabilità. Si arriverà al referendum in un momento di scontro altissimo tra centro-destra e centro-sinistra.

Dopo il referendum il centro destra dirà che c'è stato un imbroglio del centro-sinistra, dei comunisti che vogliono fregarli, e raggiungerà la concordia necessaria per creare un grande partito: uniti contro il pericolo comunista.

Dopo la formazione del grande partito a destra, con la nuova legge elettorale, si potrà andare finalmente alle urne. Ed il risultato sarà totalmente indipendente dal voto degli elettori.

Tutto il resto è teatro.

Truman

lunedì 3 dicembre 2007

Il miele e la Bastiglia


Due paradigmi complementari nella sicurezza informatica.

Nel campo della sicurezza informatica l'approccio preferito dai commercianti è quello additivo: la sicurezza è un bene aggiunto ad un sistema informatico tramite tutta una serie di "features" che servono a proteggere il sistema dagli accessi indesiderati ed a memorizzare le informazioni in modo stabile.

L'approccio del software libero è in qualche modo opposto: si tende a togliere più che ad aggiungere, in particolare si fa uno studio attento dei requisiti informatici e si tolgono tutti gli orpelli inutili per la particolare applicazione, con particolare attenzione alle porte aperte. Questo approccio è basato su alcuni concetti di base:
- la sicurezza è principalmente qualcosa di intrinseco nel sistema, residente nella sua architettura, non negli accessori;
- il primo livello di protezione è fisico, basato su rigoroso controllo degli accessi fisici alle risorse informatiche;
- le esigenze di connettività tendono a contrastare con quelle di sicurezza, per cui bisogna trovare il giusto equilibrio tra connettività e sicurezza;
- sicurezza è anche messa a punto accurata del sistema, basata su una conoscenza approfondita di ciò che fa.

Ricordo che un buon esempio di questo approccio era il "Bastille" Linux, una configurazione ridotta e personalizzata di Linux, tesa a costruire una fortezza impenetrabile.

Non marginale il fatto che chi usa Linux di regola sceglie configurazioni a basso costo perché non può permettersi altro e le intrusioni sono a volte tentativi di fare business, per cui tendono ad evitare le macchine dove ci sono poche prospettive di affari.

Nel mondo commerciale la tendenza è invece a inserire componenti aggiuntivi, i quali dovrebbero fornire le dovute garanzie, pur in presenza di notevoli prestazioni di connettività. Spesso si arriva al caso limite di password di lunghezza infinita che spirano in tempi ridicolmente brevi, rendendo l'uso del sistema una fatica notevole.

Nel settore commerciale ho trovato di recente l'idea del "vasetto di miele" che appare decisamente suggestiva. Si tratta di un computer il cui scopo è attirare eventuali intrusi in una zona dove è facile rilevarli, in modo da prendere contromisure. In pratica si allestisce un server che non fa nulla, ma è apparentemente usato per un compito ben preciso ed è vulnerabile a qualche "exploit" noto. Tutti gli accessi su tali macchine vengono monitorati in continuazione, visto che nessun utente normale ha bisogno di accedere ad esse.

Con una scelta opportuna delle vulnerabilità presenti e di contenuti apparentemente significativi, si può fare in modo da rilevare le intrusioni ed a volte individuare anche gli intrusi. In base alla dimensione del sistema ed alla protezione voluta, si possono inserire più "vasetti di miele".

Il concetto di base è potente, perché tende a generare incertezza nell'intrusore, il quale avrà sempre il dubbio di essere entrato su una macchina civetta invece che su una "vera".

In definitiva l'approccio commerciale additivo in generale mi appare sbagliato, ma a volte mostra delle trovate geniali, particolarmente utili se usate in modo complementare rispetto alle caratteristiche strutturali di sicurezza, quelle tipiche del mondo del software libero.

Tutto sommato la Muraglia cinese non funzionò.

Truman

dicembre 2007

giovedì 15 novembre 2007

Arezzo: Il default dei tifosi

Sulla morte di Gabriele Sandri, nella stazione di servizio di Badia al Pino, sulla A1, nei pressi di Arezzo, avvenuta l'11 novembre scorso e su ciò che è seguito, l'analisi che preferisco è quella comparsa su Senza Soste: Un morto al check-point di Arezzo e rivolte a cui rimando.

Mi interessa però aggiungere degli aspetti non secondari per meglio inquadrare il fenomeno.



Il default dei tifosi

Quando l'Argentina dichiarò default e smise di pagare i bond emessi, le istituzioni internazionali, come FMI (Fondo monetario internazionale) e WB (World Bank), protestarono per tale atto di insolvenza riguardo ad obbligazioni emesse dallo Stato, ma si trovarono a malpartito nel controbattere l'Argentina, perché in precedenza essa aveva sempre seguito religiosamente i loro precetti, per cui il disastro, il fallimento dell'economia nazionale argentina, era dovuto a loro e l'Argentina (o meglio, il suo governo) faceva il possibile per uscirne.

In modo analogo i tifosi di calcio da sempre seguono religiosamente i precetti dell'entertainment calcistico imposto dal sistema mediatico, si entusiasmano per la loro squadra, parteggiano in ogni occasione, s’immedesimano addirittura ed eventualmente aggiungono l'obolo al dio calcio tramite il totocalcio. I tifosi evitano la politica ed alla fine si trovano colpevolizzati in massa quando un poliziotto spara su uno di loro.

E' molto pericoloso disilludere le masse quando esse onorano la religione dominante.
Si possono avere per reazione effetti devastanti ed incontrollabili. La perdita di una fede non è un fenomeno controllabile.
Quando il potere se la prende con i suoi adepti più fedeli probabilmente sta in grave crisi.
Ma a volte il potere è cieco. Lo raccontavano già nelle tragedie greche.


Truman
15 novembre 2007

mercoledì 7 novembre 2007

La fiaba infinita

di Truman Burbank
Una grande opera di antropologia è la Morfologia della fiaba di Vladimir Propp, in cui vengono analizzate le fiabe di magia e vengono individuati gli elementi di base presenti in tali fiabe, i quali risultano essere in numero sorprendentemente limitato.

Al tempo di oggi può essere interessante analizzare la narrazione dei mass media e vedere se essa può essere studiata come una serie di varianti sulla stessa fiaba, la fiaba mass-mediatica.
Qui c’è un tentativo di individuare punti di partenza.

L’aspetto strutturale
Propp mostra inizialmente delle fiabe superficialmente diverse, ma chiarisce subito che esse sono facilmente raggruppabili come varianti di una singola fiaba, semplicemente guardando alla trama, all’intreccio del racconto, evitando di fissarsi sui nomi dei protagonisti o sul loro ruolo.
Egli fa riferimento a Goethe, che invitava a guardare la forma (io direi la struttura) prima dei dettagli.
Da alcuni punti di vista la fiaba mediatica rientra nei canoni della fiaba standard.
Nel seguito un’analisi ispirata a tali idee, per quanto a volte sia differente dalle schematizzazioni di Propp.

Alcune proprietà generali
Alcune caratteristiche della narrazione fiabesca:
- la fiaba ha un suo tempo convenzionale fuori dal tempo della vita quotidiana
- i personaggi tendono a suddividersi in cattivi e buoni (eroi e demoni)
- la fiaba di solito si racconta ai bambini. 

Il tempo della fiaba
 
Tutte le fiabe sono basate su un tempo convenzionale a loro interno, un tempo astorico.
Nella fiaba tradizionale il tempo in cui si svolge la narrazione è nel passato, più o meno remoto. (“C’era una volta…”). Solitamente anche la geografia è vaga ("In un paese molto lontano..").

I protagonisti
I protagonisti tendono ad essere particolarmente cattivi (spesso addirittura mostri) o particolarmente buoni, è difficile trovare personaggi sfumati, intermedi. L’ambiguità non è consentita.

La rottura dell’armonia
E’ uno degli elementi classici: nel mondo armonioso della fiaba tutti sono felici fino a quando non irrompe il cattivo di turno: il lupo, l’orco, il mostro, il terrorista, il mussulmano.
Nella fiaba i guai sono causati dal malvagio che spezza l’armonia.

Il pubblico
Il pubblico della fiaba (oggi diremmo l’audience) è solitamente composto da bambini.

“Non è vero ma ci credo”
La fiaba tende a suscitare stati emotivi ed a instillare paure irrazionali. La paura serve a rendere credibile il contenuto della fiaba nonostante le sue evidenti incongruenze con il vissuto quotidiano.

LA FIABA DEI MEDIA
Vediamo ora come si esplicita la narrazione fiabesca nel mondo dei mezzi di comunicazione di massa (TV, giornali, cinema, …)

La fiaba infinita
L’elemento caratteristico della fiaba massmediatica è che essa è una fiaba infinita, ambientata in un presente perpetuo, basata su una continua rigenerazione della realtà (e quindi su una memoria storica molto limitata).
Non è una fiaba chiusa, ma anzi essa si ricrea in continuazione. Nel ricreare la fiaba chiaramente si modifica in continuazione la storia, che viene reinventata in base alla visione attuale.
Importante il fatto che la fiaba dei media ha sempre un aspetto narrativo, una continuità all’interno di un medium e tra diversi media, ed un racconto ha implicitamente sempre una sua morale.
La fiaba infinita è una narrazione del mondo dove si giustificano gli assetti di potere esistenti. La fiaba ha solitamente una funzione conservatrice.

La fiaba binaria (Il bene ed il male)
La fiaba massmediatica è anche un grande gioco di ruolo.
Gli spettatori sono anche attori in questo gioco di ruolo.
Un esempio è nel campo della politica: ci si può identificare con uno schieramento o con l’altro, ma l’importante è vedere come nemico gli altri.
Si entra nel ruolo e si recita una parte, credendo di aver fatto una scelta razionale.
Guareschi rendeva bene questa bipartizione con Don Camillo e Peppone. In realtà nello scegliere una fazione o l’altra si attua solo una scelta di consumo.
La variante più complessa del gioco di ruolo è quella della squadra di calcio: qui non si tratta più di una scelta tra due, ma di una scelta tra molti. Si sceglie la squadra nel cuore, si esulta quando vince, si soffre quando la squadra perde, si dimentica la libertà di scegliere la propria vita.
Altre finte scelte analoghe si trovano con facilità negli hobby o negli sport praticati. 

Orsacchiotto o coniglietto?
Analizziamo meglio la fiaba binaria. I media spingono eventi poco interessanti tramite il gossip. Lì dove all’utente (o elettore, o consumatore) resta solo una scelta binaria, una scelta di consumo tra due entità sostanzialmente analoghe, lo spettacolo viene esaltato.
Allo spettatore non rimane che scegliere.
La tecnica è analoga a quella della mamma che dice al bambino: “Vuoi andare a letto con l’orsacchiotto o con il coniglietto?”
Il bambino sceglie il suo pupazzo ed al tempo stesso sceglie di andare a letto.

Lo scontro fittizio
Nella fiaba lo scontro è sempre tra personaggi, non tra ruoli sociali, classi sociali, ideologie.
La personalizzazione dello scontro stimola all’identificazione con una delle due parti, mentre tende a respingere il freddo ragionamento.
Questa personificazione ed estremizzazione dei punti di vista stimola pure l’accettazione del mondo attuale come l’unico possibile.

Slittamenti progressivi della realtà Le tecniche di condizionamento dei media si basano sulla ripetizione per instillare concetti progressivamente sempre più lontani dal vissuto quotidiano. Tramite slittamenti progressivi della realtà percepita si arriva alla colonizzazione dell'immaginario collettivo da parte dei media.
Finché alla fine si vive il mondo quotidiano in un sogno e si aspetta di arrivare davanti alla tv per ritrovare la propria realtà.
Le adunate in piazza e la camicia nera non servono più, perchè la genialità del sistema ha creato la televisione. Tutti i giorni i cittadini consumatori tornano a casa, accendono il televisore e si danno una ripulita al cervello.

Smagliature e sospetti A volte si presentano incongruenze nella narrazione, smagliature nel tessuto della fiaba, forse segni di una cattiva regia.
Più probabilmente le smagliature sono ineliminabili nel processo che ricrea in continuazione la realtà. Come nel Truman show, esse fanno venire il sospetto che si tratti di una rappresentazione e non della vita vera. Ma a questo c’è rimedio.

La paura La fiaba si aggancia sempre alle paure nascoste. La fiaba massmediatica instilla paure irrazionali.
La paura serve a credere al contenuto della fiaba nonostante le sue evidenti incongruenze con la realtà.
Raccontavo ad un amico della SARS ed al fatto che tutta la storia non stava in piedi.
“Ma se c’è un italiano che è morto di SARS!” mi disse.
In effetti tutti i media avevano parlato di questo eroe italiano.
Allo stesso tempo tutti i mussulmani sono terroristi (almeno potenziali).
“Non è vero ma ci credo”. Come i bambini.

La fiaba nella fiaba
La fiaba generale può essere un contenitore per fiabe limitate, che in questo caso possono essere chiuse. Un esempio è il telegiornale:
- l’incipit è solitamente coinvolgente (es. l’apertura del telegiornale)
- peripezie varie
- il finale è rassicuratorio (es. una sfilata di moda).
Inoltre, spesso i media ci propinano fiabe che parlano di rivoluzioni di velluto, rivoluzioni dei garofani e così via.
In queste fiabe il cattivo va via senza spargimento di sangue.

Ma ammoniva Franz Kafka che “non esistono fiabe non cruente. Tutte le fiabe provengono dalle profondità del sangue e dell’angoscia”.
Quindi lo scopo della narrazione fiabesca non è di rimuovere il sangue.

Fuori dalla storia siamo tutti bambini
Quando la storia viene ricostruita in base ad uno spazio-tempo convenzionale ed interpretata come una lotta tra il bene ed il male, il mondo dei mass-media diventa una grande fiaba fuori dal tempo dove tutti gli spettatori sono dei bambini perenni.

Truman Burbank
novembre 2007

Caimani e gattopardi


3 aprile 2006

di Truman Burbank



Alcune note sul Caimano di Moretti.



Il film appare composto con operazioni multiple di
inscatolamento, con tecniche in qualche modo analoghe a quelle
usate ne "Il nome della rosa" di Eco, il quale viene
narrato come se fosse un manoscritto prodotto da un oscuro
Adso, proveniente dall'ancora più oscuro paese di
Melk.

Il tentativo, che a me appare riuscito, è di allontanare
l'autore dall'opera, in modo che essa possa vivere una vita
propria, per avere in definitiva una storia che si narri da
sé.

Da un altro punto di vista ripenso a "La
biblioteca di Babele"
di Borges, alla sua biblioteca
universo, composta di infiniti libri che raccontano
tutte le possibili combinazioni di storie, ma soprattutto
parlano di altri libri, perchè un universo biblioteca può solo
essere autoreferenziale, continuare all'infinito a parlare di
se stesso.

Così mi appare Il caimano: un film a più
livelli che parla di altri film, film girati, film immaginari,
film che non verranno mai prodotti. Il mondo (il cosiddetto
mondo reale) non esiste più, esistono solo le sue
infinite possibili rappresentazioni.

E mi torna in mente Guy Debord con il suo La società
dello spettacolo
. Mi sembra che Debord abbia affermato in
seguito che proprio l'Italia fosse il suo modello di società
dello spettacolo. Incidentalmente, noi italiani parliamo tanto
dei modelli recepiti dagli USA, quando in realtà siamo a volte
i primi ("nel continuare a scavare dopo aver toccato il
fondo"
direbbe uno dei protagonisti del film).



Quindi Moretti decide di combattere Berlusconi, o
meglio i suoi modelli di vita (il "berlusconismo")
sul suo campo, cioè quello dell'immaginario spettacolare
del film.


E’ evidente che da alcuni punti di vista Berlusconi ha
già vinto se bisogna scendere al suo livello per combatterlo
(e questo Moretti sembra saperlo, il suo interpretare
Berlusconi di persona è significativo).


D'altro canto diceva Sun Tzu "Chi sta in
inferiorità di forze deve resistere, chi sta in vantaggio deve
attaccare":
ebbene Moretti attacca, manifestando il fatto
che il tempo del "Resistere, resistere, resistere" è
finito o sta finendo.

Se l'era del caimano sta finendo, il rischio è che la sua
caduta si trasformi in una italica rivoluzione gattopardesca,
dove per il popolo sembra cambiare tutto mentre il potere
reale resta sempre identico a se stesso o addirittura si
rafforza (in Cina sarebbe forse una "rivoluzione
culturale
").

Anche qui Moretti sembra aver intuito che il rischio
peggiore è che la vera "era del caimano" (o di
Ishmael, per dirla alla Genna) stia per cominciare adesso e
che quella che stiamo vivendo sia solo la fine dei
preparativi.



Truman
Burbank

Informatica, miti e marketing


3 Giugno 2005

Ben pochi si sono resi conto che anche la tecnica informatica ha i suoi miti e le sue mode, solitamente ambedue spinti da politiche di marketing. Vale allora la pena di fare alcune considerazioni sull’evoluzione del software e sulle logiche di mercato.


Il Titanic l’hanno progettato gli ingegneri, l’Arca di Noè l’hanno fatta i dilettanti.

Ricordo ancora il corso Ada degli anni ’80: “Ada, l’ultimo linguaggio di programmazione. Verrà sostituito da generatori automatici di codice (nel 2000)”. Così nelle dispense veniva sintetizzato tale poderoso ed accuratamente progettato linguaggio di programmazione. Tutti i passi canonici di un progetto erano stati rispettati, con estrema attenzione anche alle fasi di prototipazione.

Più o meno negli stessi anni i progettisti spiegavano con dettaglio i motivi per cui le nuove architetture delle CPU dei computer, basate su un numero di istruzioni moderato (RISC – Reduced Instruction Set Computer) avrebbero raggiunto prestazioni inimmaginabili da parte degli obsoleti CISC (Complex Instruction Set Computer) che quindi sarebbero dovuti uscire dal mercato.

Di Ada non sento parlare da diverso tempo, quasi tutti programmano nelle varie versioni di C, senza pensare più ad Ada o senza averlo addirittura sentito nominare. Anche i generatori automatici di codice è da un po’ che non li sento nominare.
Nel frattempo sono dovuto andare ad un funerale. DEC (Digital Equipment Corporation, poi Compaq, poi HP) ha da qualche tempo ha sospeso la fornitura di Windows NT per architetture (Risc) di tipo Alpha. Nel passaggio a windows 2000 DEC/Compaq/HP ha deciso di supportare invece Linux. Chi aveva investito su tale piattaforma ha dovuto adeguarsi. Il RISC non era poi un progresso così travolgente.

Tra i fallimenti storici dell’informatica qualcuno ricorda anche un mastodontico sistema operativo di nome Multics, che alla fine partorì solo un topolino. Qualcuno chiamò Unix quel topolino.

Ma non sempre le cose vanno male, anche contro le previsioni degli esperti. Un esempio abbastanza noto è quando un professore di Linus Torvalds, sentendolo dire che voleva progettare un kernel monolitico, disse che gli sembrava un’idea insensata. Dal punto di vista progettuale non aveva tutti i torti, ma il successo di quel kernel fu notevole (per quanto linux oggi non mi appaia più tanto monolitico).

In definitiva molte scelte progettuali apparentemente “allo stato dell'arte” si sono dimostrate dei flop clamorosi, mentre scelte casuali o addirittura controcorrente hanno raggiunto un notevole successo.


Un approccio evolutivo al software ed ai sistemi operativi

Tempo fa, a me sembrava del tutto normale affermare, riguardo ai sistemi operativi Microsoft, che “sorprendentemente Win 98 a volte si è dimostrato più robusto di Win NT / XP”, mentre a qualcuno più abituato a pensare nei termini delle brochure commerciali ciò sembrò scandaloso.

Eppure anch’io credevo che NT fosse un SO decisamente robusto, finchè non ho avuto modo di metterlo alla prova. Il risultato sono state molte arrabbiature e molti BSOD (Blue Screen of death, la schermata blu con cui NT si inchioda).

Sicuramente mia inesperienza, dirà qualcuno, oppure sfortuna, perchè “NT è un sistema operativo a 32 bit moderno e stabile e ha una completa protezione delle memoria fra le applicazioni”. Ma la protezione degli spazi di memoria può solo evitare che un errore software provochi altri danni, non risolve l’errore originario.

Del resto, nella mia esperienza ho visto molti sistemi operativi, free, proprietari, con microkernel, con kernel monolitico, con architetture miste. Solitamente tutti avevano una loro validità e per ognuno c’era qualche ambiente più adatto. Qnx e Linxos adatti alle applicazioni real-time, eventualmente embedded, Mac Osx adatto alla produttività personale a casa ed in ufficio, BSD ottimo come web server, Solaris da usare per le applicazioni in cui robustezza e continuità fossero fondamentali, Linux per molti usi da server ed anche come workstation ormai; anche Windows è utile per chi vuole usare un PC senza faticare troppo, può essere utile per i manager di aziende.

Ma qualcosa ho visto verificarsi regolarmente nei Sistemi Operativi, come nel software in genere, ed è la differenza tra i vari stadi di sviluppo di un programma. Quando un programma appare per la prima volta, per quanto il produttore possa dire di averlo debugato e collaudato, esso tende a manifestare errori ed instabilità. Man mano che la base installata si amplia e gli errori vengono corretti il comportamento del software migliora di solito in modo considerevole. Se il lavoro di affinamento dura a lungo si possono avere ottimi risultati in termini di stabilità. Così, nonostante le promesse dei venditori, molto spesso il software migliore è quello vecchio, non quello nuovo.

Chiaramente i sistemi operativi sono programmi anche loro, quindi le protezioni, anche basate sull’hardware, non risolvono il problema, mentre l’affinamento progressivo ne risolve molti. In effetti questo i commerciali quando vogliono lo sanno bene, vista l’insistenza di MS sull’esperienza condensata in XP. Molto spesso l’evoluzione è più importante del progetto base.
Ma in generale i venditori non possono parlare bene di ciò che è vecchio, altrimenti cosa vendono? Perciò sono sempre lì a spingere sugli inediti progressi progettuali dell’ultima versione, che rendono obsoleto il prodotto precedente. Più o meno come nelle automobili, ma con la sostanziale differenza che il software non tende ad arrugginire con il tempo.

Non ascoltiamo troppo i venditori e cerchiamo di osservare la realtà con i nostri occhi. Potremmo scoprire che il miglior prodotto è già sulla nostra scrivania ed è il nostro vecchio PC.

Truman Burbank

Riferimenti bibliografici: Geoffrey James The Tao of programming
Chi lo trovasse un po’ strano, può leggere prima Software Engineering di Sommerville (Addison-Wesley, varie edizioni), che dice molte cose analoghe, ma in tono più prolisso.

Vedi anche: Sicurezza informatica e business

Enciclopedie

25-12-2004

DI TRUMAN BURBANK

Alcune riflessioni sulle enciclopedie e sul potere. La vera rivoluzione francese fu l'enciclopedia di Diderot e d'Alembert e la sua erede di oggi è Wikipedia.

Spesso si tende a confondere gli eventi con le cause scatenanti. La rivoluzione francese nacque quando ormai un conflitto tra strati di popolazione si era instaurato senza che il vecchio potere si rendesse conto di quanto fosse grande il suo scollamento dalla realtà: tale rivoluzione è solo un evento catastrofico che segna il passaggio dei poteri. Se una nuova classe sociale prendeva il potere (la borghesia, secondo alcuni) ciò era dovuto ad una precedente presa di possesso nel campo culturale. Questa rivoluzione culturale, che va sotto il nome di Illuminismo, aveva ricevuto un forte stimolo dall'Enciclopedia.

L'Enciclopedia ( Encyclopédie ) di Diderot e d'Alembert uscì in volumi lentamente, tra il 1751 e il 1772, tra molte critiche e qualche scandalo.

Il nome completo era Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri). Parteciparono, tra gli altri, Helvétius, Montesquieu, Quesnay, Rousseau, Voltaire. Gli ultimi volumi furono pubblicati praticamente di nascosto, perché molti avevano capito che una diffusione delle conoscenze avrebbe ridotto il loro potere. Loro capivano bene come il potere discenda dal sapere, un fatto che oggi troppo spesso tendiamo a dimenticare (rimbambiti dagli spettacoli televisivi, molti cominciano a credere che il potere stia nel denaro).

La cultura diventava di tutti e non più di pochi eletti. E poteva essere incrementata e tramandata.
Inoltre l'enciclopedia tendeva a criticare i fanatismi religiosi e politici e propugnava la razionalità e la libertà di pensiero. Ancor più importante, la raccolta e la lettura di molti fatti, di per sé apparentemente innocui, consentiva, tramite una serie di rimandi incrociati, un'interpretazione della storia e della realtà che contrastava con quella dei poteri dominanti.
L'enciclopedia dava quindi nozioni che consentivano a persone che in precedenza stavano fuori dai flussi del potere di acquisire allo stesso tempo padronanza di tecniche ed interpretazione storica della realtà.

Oggi, il colossale progetto Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale) sta decollando ed appare come uno dei progetti più rivoluzionari degli ultimi anni, perché tende a riportare il sapere alla portata di tutti, levandolo a chi vorrebbe far commercio del maggior patrimonio dell'umanità.
In questi tempi bui, abituati all'apparente disponibilità del sapere, istupiditi da un eccesso di messaggi che paiono essere informazione, faremmo bene a tornare al concetto di enciclopedia e lavorare per il mantenimento e la diffusione del sapere. Come gli antichi monaci medievali, ma su una scala ben più grande.
E come per gli antichi monaci, l'importante non è preservare la proprietà intellettuale (il copyright) ma il sapere dell'Umanità (ed in definiva l'Umanità stessa).

Molti oggi si domandano cosa fare per cambiare il continuo degrado della società attuale, l'ossessione per il dio denaro, la progressiva distruzione della terra. Più che prendere il fucile, è oggi meglio armarsi della propria cultura e diventare enciclopedisti.

Le migliori rivoluzioni sono quelle silenziose.

Note dell'autore:

1. Questa visione di wikipedia non è assolutamente ufficiale all'interno dei wikipediani e sicuramente contrasta in alcuni punti significativi. Vale la pena di ricordare che i wikipediani fanno solitamente riferimento all'ottimo Douglas Adams della "Guida galattica per autostoppisti" invece che a Diderot e D'Alembert.

2. Tra gli altri progetti colossali oggi in opera su internet, mi piace ricordare anche il web archive (una borgesiana biblioteca di Babele del web) ed il progetto Gutemberg.

lunedì 22 ottobre 2007

Alcune idee programmatiche per la sinistra

3 novembre 2004

E’ un periodo in cui nella sinistra e nel centro sinistra si parla di programmi. Qualche idea circola, ma personalmente sono alquanto deluso.

Ho la sensazione che la preoccupazione principale sia quella di mediare interessi, piuttosto che quella di costruire il futuro. In altre parole, vedo il tentativo di costruire un’alleanza alla Brancaleone più che un progetto politico.

Dato che in realtà di problemi politici nel momento attuale ce ne sono anche troppi, e che sento una certa urgenza di avere un progetto politico che possa realmente incidere sulla realtà, provo a proporre qualche idea su come si potrebbe orientare la sinistra oggi.

Alla base di tutto per me deve stare l’etica, intesa come una scienza applicata, non come un vago aspetto formale (o come una mano di vernice su un riformismo un po’ nauseabondo). “L’etica non è una disciplina priva di interesse pratico”, diceva Savater in “Etica per un figlio” e oggi questa frase mi suona come un ammonimento.

L’etica è già codificata in molte leggi fondamentali, come la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, e anche nella nostra Costituzione.

Occorre tornare a tali leggi e fare in modo che siano effettivamente interiorizzate ed applicate (non sepolte da cavilli e regolamenti di attuazione vari).

Ma etica è anche tornare alla verità, chiamare le cose con il loro nome, vivere senza menzogna.

Dimenticando l’etica o si ritorna alle ideologie, oppure tutte le idee politiche tendono ad apparire equivalenti. ( La dialettica politica ed il pensiero unico)

L’etica è qualcosa che porta ricchezza, quando ci si rende conto che il modello competitivo, spinto all’estremo, porta a una specie di “mors tua, vita mea” in cui non resta alcuna forma di solidarietà.

Bisogna tornare alla teoria dei giochi “a somma non-zero”, dove tutti possono vincere, purché imparino a cooperare. Perché la politica è un gioco a somma non zero. (Un successo travolgente)

Rossana Rossanda ci tiene ad aggiungere l’aggettivo “laica” all’etica. Mi lascia perplesso: più volte sono state le religioni a riportare l’etica in primo piano. Teniamone conto: lo Stato deve essere laico, ma non necessariamente l’etica.

Dopo l’etica deve venire l’immaginario (ma forse dovrebbe venire al primo posto): i sogni, le angosce, le speranze, le passioni, il mito. Bisogna decolonizzare l’immaginario dai miti del consumo, della bellezza, della fama, insomma dai miti basati sul denaro.

E bisogna ritornare al rapporto con gli altri, con la famiglia, la comunità, l’ambiente di lavoro. Non serve un immaginario globalizzato, ma un immaginario tribale. In questo senso è potente l’uso internet, che consente di costruire legami tribali anche dove c’è distanza geografica.

E nel rapporto con gli altri bisogna recuperare la lentezza, i ritmi umani. Ripristinare il rapporto con le persone al posto del rapporto con il denaro.

Ridare valore alla storia, uscendo fuori dalla gabbia di un presente atemporale. (La gabbia del presente)

Poi serve accettare il fatto che in un periodo di cambiamenti la sinistra possa essere conservatrice. (Rivoluzionari e conservatori.)

Oggi i rivoluzionari sono di destra, vogliono cambiare tutto, anche le leggi fondamentali, anche la Costituzione. Teniamocela stretta la Costituzione, perché è una delle nostre più grandi ricchezze. Nata dopo l’avventura fallimentare del Fascismo ed una sanguinosa guerra civile, essa contiene troppi ammonimenti che stiamo trascurando (“L’Italia RIPUDIA la guerra” - come si fa a dirlo più forte di così?)

E bisogna anche tornare alla lunga tradizione della sinistra, recuperare il lavoro come valore, lo studio e l’impegno continuo in cooperazione con gli altri. I grandi risultati che si possono avere lavorando collettivamente su un impegno condiviso.

La sinistra che cura le differenze deve invece ritornare sul vecchio concetto degli stati nazionali, un valore che storicamente era di destra.
La sinistra oggi deve aver cura anche dei sentimenti nazionali, almeno finché serviranno a mantenere le culture, le tradizioni, le lingue, i miti locali. Lo stato nazionale non può soccombere ai poteri economici / commerciali, che gradiscono dei consumatori globalizzati.

La diversità è una ricchezza (almeno per la sinistra), non dimentichiamolo. Un buon esempio di recupero è presente in questi giorni per quanto riguarda i cibi locali preparati nella maniera tradizionale. Cerchiamo di ampliare il campo.

D’altro canto la diluizione degli stati nazionali nell’Europa può essere molto utile per avere una massa d’urto in grado di opporsi ai grandi monopoli commerciali. Ma qui il discorso si complica e servirebbe un discorso a parte.

E bisogna considerare anche il copyright: noi siamo dei nani sulle spalle di giganti, perché ci reggiamo sulla nostra eredità culturale, accumulata nei secoli. I grandi monopolisti stanno cercando di chiudere questo patrimonio culturale in una cassaforte, per fornire delle briciole solo a chi può pagare.
Una vera forza di sinistra non può tollerare che la cultura sia riservata ai ricchi. Le leggi sul diritto d’autore vanno attenuate. La loro validità del tempo va ridotta quanto più possibile. Assurdo tassare il prestito in biblioteca.

Va fatto un cenno sulla politica energetica: noi dipendiamo per la stragrande maggioranza della produzione di energia dall’estero, in particolare dal petrolio. Vanno intraprese iniziative in tutti i campi per ridurre questa dipendenza, anche dove i costi oggi appaiono eccessivi.

Va agevolato quanto più possibile il risparmio energetico e l’autoproduzione, va spinto il solare nelle sue varie forme. Potrebbe essere addirittura il caso di riconsiderare il nucleare.

In una politica di sinistra l’economia dovrebbe dipendere da tutto ciò che sta sopra ed avrebbe significato solo in quanto mette in pratica un progetto politico.

L’unico aspetto economico che, per quanto mi riguarda, vale la pena di citare, è la possibilità di diffondere l’uso della Banca del tempo, cioè lo scambio alla pari di ore lavorative tra persone. Che poi sarebbe in qualche modo un ritorno al baratto, un’antica pratica ingiustamente dimenticata.

Non di un altro modello di sviluppo abbiamo bisogno, ma di un altro modello di vita.

Truman Burbank

venerdì 19 ottobre 2007

Enciclopedie


Alcune riflessioni sulle enciclopedie e sul potere. La vera rivoluzione francese fu l'enciclopedia di Diderot e d'Alembert e la sua erede di oggi è Wikipedia.

Spesso si tende a confondere gli eventi con le cause scatenanti. La rivoluzione francese nacque quando ormai un conflitto tra strati di popolazione si era instaurato senza che il vecchio potere si rendesse conto di quanto fosse grande il suo scollamento dalla realtà: tale rivoluzione è solo un evento catastrofico che segna il passaggio dei poteri. Se una nuova classe sociale prendeva il potere (la borghesia, secondo alcuni) ciò era dovuto ad una precedente presa di possesso nel campo culturale. Questa rivoluzione culturale, che va sotto il nome di Illuminismo, aveva ricevuto un forte stimolo dall'Enciclopedia.




L'Enciclopedia (Encyclopédie) di Diderot e d'Alembert uscì in volumi lentamente, tra il 1751 e il 1772, tra molte critiche e qualche scandalo.

Il nome completo era Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri). Parteciparono, tra gli altri, Helvétius, Montesquieu, Quesnay, Rousseau, Voltaire. Gli ultimi volumi furono pubblicati praticamente di nascosto, perché molti avevano capito che una diffusione delle conoscenze avrebbe ridotto il loro potere. Loro capivano bene come il potere discenda dal sapere, un fatto che oggi troppo spesso tendiamo a dimenticare (rimbambiti dagli spettacoli televisivi, molti cominciano a credere che il potere stia nel denaro).



La cultura diventava di tutti e non più di pochi eletti. E poteva essere incrementata e tramandata.

Inoltre l'enciclopedia tendeva a criticare i fanatismi religiosi e politici e propugnava la razionalità e la libertà di pensiero.
Ancor più importante, la raccolta e la lettura di molti fatti, di per sé apparentemente innocui, consentiva, tramite una serie di rimandi incrociati, un'interpretazione della storia e della realtà che contrastava con quella dei poteri dominanti.

L'enciclopedia dava quindi nozioni che consentivano a persone che in precedenza stavano fuori dai flussi del potere di acquisire allo stesso tempo padronanza di tecniche ed interpretazione storica della realtà.

Oggi, il colossale progetto Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale) sta decollando ed appare come uno dei progetti più rivoluzionari degli ultimi anni, perché tende a riportare il sapere alla portata di tutti, levandolo a chi vorrebbe far commercio del maggior patrimonio dell'umanità.

In questi tempi bui, abituati all'apparente disponibilità del sapere, istupiditi da un eccesso di messaggi che paiono essere informazione, faremmo bene a tornare al concetto di enciclopedia e lavorare per il mantenimento e la diffusione del sapere. Come gli antichi monaci medievali, ma su una scala ben più grande.

E come per gli antichi monaci, l'importante non è preservare la proprietà intellettuale (il copyright) ma il sapere dell'Umanità (ed in definiva l'Umanità stessa).

Molti oggi si domandano cosa fare per cambiare il continuo degrado della società attuale, l'ossessione per il dio denaro, la progressiva distruzione della terra. Più che prendere il fucile, è oggi meglio armarsi della propria cultura e diventare enciclopedisti.

Le migliori rivoluzioni sono quelle silenziose.


Note dell'autore:

1. Questa visione di wikipedia non è assolutamente ufficiale all'interno dei wikipediani e sicuramente contrasta in alcuni punti significativi. Vale la pena di ricordare che i wikipediani fanno solitamente riferimento all'ottimo Douglas Adams della "Guida galattica per autostoppisti" invece che a Diderot e D'Alembert.



2. Tra gli altri progetti colossali oggi in opera su internet, mi piace ricordare anche il web archive (una borgesiana biblioteca di Babele del web) ed il progetto Gutemberg.

IL GOLEM E IL LEVIATANO


5/10/2004
Alcune note comparative sulle politiche dell’Europa e degli USA:
che fine ha fatto il contratto sociale?


di Truman Burbank

Trovo molti dibattiti sulle caratteristiche intrinseche della
politica USA e molte chiacchiere sulla nascente Europa. Solitamente
questi discorsi vengono fatti sulla falsariga di un discorso
convenzionale, variazioni su temi triti e ritriti, senza tentare di
risalire alle origini. E le origini vanno ritrovate nelle due diverse concezioni dello stato.

Non mi risulta ancora puntualizzato il fatto che il sistema politico
USA tende spesso a comportarsi in modo religioso, come un integralismo dove il dollaro (e quindi l’economia) è il dio idolatrato, che guida anche la politica. La forza espansiva dell’impero è sì dovuta ad una tendenza insita nella costituzione materiale degli Stati uniti, ma anche a questo aspetto religioso. Al di là delle apparenze, negli USA non c’è altro dio al fuori del Dollaro e tale dio governa anche lo stato.

Ogni volta che gli USA attaccano militarmente uno stato sovrano, o
si intromettono pesantemente nella sua politica interna, tirano fuori il discorso della libertà. ( A volte la scusa viene usata a
posteriori: “Non abbiamo trovato le armi di distruzione di massa in
Iraq, ma stiamo portando la libertà”).

Ma la libertà non è una parola singolare, le libertà si esprimono al plurale e spesso contrastano una con l’altra, ma soprattutto contrastano nel rapporto tra gli individui, perché la libertà di uno è facilmente vista come un sopruso da parte di chi subisce gli effetti di tale libertà.
(Ma forse non è la libertà delle persone che interessa i governanti).

Questi sulla libertà non sono discorsi nuovi, furono analizzati con cura da Hobbes nel Leviatano (1651) e in seguito da
Rousseau. In particolare Rousseau nel suo “Contratto Sociale” (1762), sosteneva che gli individui avessero bisogno di rinunciare ad una parte delle loro libertà per vivere in società, con vantaggio
di tutti. Un contratto non scritto, ma reale.

In realtà il contratto sociale esisteva in qualche modo
già in Hobbes, ma era solo una necessità per impedire
agli uomini di sbranarsi tra di loro come lupi.

In Rousseau il contratto è invece un accordo etico tra uomini
liberi, che decidono di cedere libertà per vivere meglio.

Ambedue le posizioni sono in qualche modo un’astrazione, ma
esprimono due punti di vista diversi sull’origine dello stato.

Oggi Rousseau sembra dimenticato. I toni primordiali della politica
USA arrivano al massimo a Hobbes ed al suo Leviatano, il mostro biblico che diventa stato.


“Secondo Hobbes, si pone fine alla guerra di tutti contro tutti
solamente assoggettando la volontà dispersa dei molti in
un'unica volontà sovrana ed assoluta. (Lo stato diventa il
Leviatano, il mostro biblico, un Dio mortale appena al di sotto del Dio immortale).”
(da href="http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Hobbes.html">forma-mentis.net)

Chi vuole la libertà assoluta non può avere rispetto di nessuno. A meno che non trovi una forza paragonabile alla sua, in grado di opporsi efficacemente.

Nel frattempo si sta formando l’Europa. Un’Europa di cui ci hanno
raccontato tante cose belle, ma che sostanzialmente è stata
fatta trascurando i cittadini. Un’Europa dove i capitali si muovono in modo estremamente veloce, mentre le popolazioni hanno molti vincoli legali nei loro movimenti. Ancor maggiori sono i vincoli pratici, perché chi non ha denaro non ha possibilità di muoversi
(mi torna in mente la recente idea del ministro Lunardi di tassare le strade statali).

Abbiamo fatto un’Europa dei banchieri e dei grandi gruppi economici,
non di popoli. Le recenti tendenze della Costituzione Europea
proseguono nello stesso senso. Libertà alle aziende e costi ai
privati (ricordare le continue privatizzazioni).

Vale la pena di dare un’occhiata all’articolo href="http://www.nuovimondimedia.it/print.php?sid=416">L’agenda
segreta dell’Europa

"In questo sistema unico di governo mondiale, basato sulle sole
regole della concorrenza commerciale, l’Unione europea (UE) sta avendo un ruolo molto aggressivo, di motore della liberalizzazione dei servizi.

....

E’ anche necessario non lasciarsi fuorviare dal doppio linguaggio della Commissione europea, questa sorta di governo non eletto, né
controllato, che agisce essenzialmente al servizio delle lobbies
affaristiche.

...

Alla fine, a ben vedere, nessuno Stato avrà più il diritto di mettere in opera delle politiche specifiche che tengano
conto delle particolarità, dei bisogni, delle priorità
nazionali, o che esprimano una modalità peculiare di condividere
valori comuni. Scelte economiche o fiscali, priorità sanitarie,
sociali, ambientali o etiche, saranno equiparate a degli
«ostacoli al commercio»."

In definitiva, l’Europa potrebbe diventare un altro mostro, teso solo ad arricchire le lobbies.

Un mostro costruito, senza un progetto politico esplicito e coerente, in base alle spinte (a volte contrastanti) dei gruppi di potere europei e cercando di superare le ostilità degli USA, che hanno tentato (e ancora tentano) più volte di intralciare la costruzione europea. Insomma una specie di Golem.

Ma siamo sicuri che il mostro europeo si comporterà come speravano gli ideatori?

La costruzione europea basata sulla moneta è piena di
assurdità. L’Europa è nata per favorire i grandi
interessi economici contro i popoli, in particolare contro i popoli
extraeuropei, ma anche contro i popoli europei.

E’ una forma di imperialismo economico del tipo più bieco. E la
cosa più preoccupante è che quasi nessuno lo dice. Si
preferisce parlare dei vantaggi della concorrenza e del libero mercato, della superiore efficienza del privato rispetto al pubblico, delle grandiose sorti progressive dell’euro (moneta).

Il rischio che, continuando a raccontare balle sull’Europa, si perdano di vista i motivi dell’unione, sostanzialmente legati ai poteri forti economici, può essere significativo.

In una situazione di falsificazioni costanti si potrebbe un giorno
arrivare ad un flop (un collasso tipo quello dell’URSS) senza
preavviso. Sempre ricordando che gli USA sono ferocemente ostili a ogni impero europeo e lavorano di conseguenza. (Le spinte per l’ingresso della Turchia in Europa sono in questo senso).

Oggi l’Europa è già la prima economia mondiale, per
quanto non supportata da forze armate adeguate a tale potere economico.
Qui sta la sua forza e la sua debolezza. Un rifiuto della guerra come mezzo di conquista potrebbe riportare a dare valore alla cultura, ai popoli ed alla politica contro l’integralismo economico. Un forte potenziamento delle forze armate potrebbe portare ad un impero analogo a quello degli USA (ma gli USA non lo consentiranno, lo scontro è garantito).

In tutti e due i casi l’Europa si propone in qualche modo come
controparte degli USA e tende a riportare il bipolarismo nel mondo.
Perché se c’è un concorrente del Dollaro, è l’Euro.

Vale la pena di notare che, per motivi che mi sono ignoti, l’Europa ha fatto una scelta economica di tipo non Keynesiano, nel momento in cui ha deciso che la solidità della moneta era prioritaria rispetto allo sviluppo economico. In questo si differenzia fortemente, ancora una volta, dall’impero USA (assimilabile in questo senso alla Cina).

La destra attacca questa scelta non Keynesiana, che sicuramente toglie libertà ai singoli stati (non si può più giocare
sul deficit di bilancio), ma potrebbe essere il motivo per cui
l’integrazione europea sta andando avanti. La stabilità della
moneta avvantaggia principalmente i ceti deboli. Qui sicuramente
c’è la lezione della Germania del secondo dopoguerra che, dopo
aver conosciuto tassi d’inflazione mostruosi, decise di puntare sulla solidità della moneta ed ottenne ottimi risultati di lungo
periodo.

Su questi temi bisognerebbe discutere con onestà, per capire
come è nata e come si sta sviluppando l’Europa ed evitare che
altrimenti un Golem europeo creato senza un progetto chiaro cominci a muoversi all’impazzata, distruggendo tutto quello che incontra.

Mai dimenticando che nelle vicinanze c’è già il Leviatano americano, che appare essere ben più cosciente e coerente.

Una nota finale: l’unione, per ora sostanzialmente monetaria,
dell’Europa, mantiene le diversità tra i popoli, la ricchezza
culturale e le tradizioni. Qui l’assenza di progetto mi sembra dia
risultati utili.

Truman Burbank

Il ritorno del pensiero magico

11 ottobre 2004
di Truman Burbank

La presenza del pensiero magico in modo predominante nella vita mentale infantile e la sua persistenza in età adulta è giustificata da tre principali funzioni, parzialmente sovrapponibili (Bonino S., 1994):

FUNZIONI DEL PENSIERO MAGICO

Funzione difensiva, fondata sulla convinzione, che tale pensiero alimenta, di poter controllare la realtà; tale funzione è fondamentale in età evolutiva per affrontare situazioni che provocano angoscia o insicurezza. Essa è anche la ragione per cui in situazioni problematiche alcuni adulti regrediscono, facendo ricorso a questa forma di pensiero pur di non accettare ed affrontare la realtà.

Funzione propiziatoria, fondata sulla convinzione che ci siano forze che regolano gli eventi, che viene assolta in tutte quelle condizioni in cui si agisce in considerazione di tali potenze.

Funzione conoscitiva, per cui il pensiero magico riempie i vuoti delle altre forme di pensiero e rivela ciò che non può essere conosciuto secondo la logica.

Giorni di angoscia, quelli attuali, angoscia di non poter più vedere il futuro.

Le ideologie sono cadute, ma, contrariamente ai proclami di alcuni guru (forse un po’ interessati nelle loro deduzioni), la storia non è finita, anzi avanza furiosa in una direzione non ben individuabile.

Quando il futuro diventa oscuro, il pensiero magico avanza, e la forma che prende è sempre quella più adeguata ai tempi. Se nell’antica Grecia si vedevano mostri e demoni, dei e semidei, e nel Medioevo apparivano madonne, oggi il pensiero magico deve prendere una forma adeguata al nuovo immaginario collettivo.

Non parlo del pensiero magico che si manifesta in casi isolati, parlo del nuovo pensiero magico come si manifesta diffusamente.

Due sono i temi preponderanti nel nuovo immaginario: l’immagine televisiva ed il dio denaro. Non è sorprendente che il nuovo pensiero magico faccia riferimento ad essi, visto che permeano la vita quotidiana con i loro simbolismi.

In passato, per sopravvivere alla durezza del vivere quotidiano, si faceva riferimento ad ideologie di varia provenienza: molti basavano la loro vita sulla solidarietà (di origini cristiane o comuniste), per altri era il duro lavoro continuato e l’impegno costante a fornire risultati, per altri ancora lo studio era uno strumento di elevazione sociale. I cinici si basavano sulla cruda analisi della realtà per controllare il futuro. Nessuno di questi oggi si sente rassicurato.

E il pensiero magico lo ritroviamo nei botteghini del totocalcio, con l’aspirazione di una grande vincita che dia un risoluto colpo in avanti alla propria vita, ma ancor di più lo ritroviamo in quelle trasmissioni TV dove i concorrenti tirano ad indovinare per aprire una scatola o l’altra, sudando mentre i familiari li guardano, con la speranza di risolvere la propria vita nell’atto di aprire una scatola.
E le trasmissioni hanno un successo sorprendente, diventano un modello di vita. Appena qualcuno ha problemi economici gli amici, i familiari, gli dicono “Devi andare in TV, devi partecipare a quella trasmissione, se vinci abbiamo risolto”.

Commento di un amico:
“Trovare la felicità in un oggetto vuoto, ha qualche remota e degradata somiglianza con le medievali ‘quest’ del Graal.
Solo che il possesso dell’ oggetto non fornisce alcuna elevazione o alcun nutrimento spirituale, ma semplicemente beni tangibili.”

giovedì 18 ottobre 2007

Un successo travolgente



06 Settembre 2004

I recenti avvenimenti in Ossezia evidenziano il completo successo di un modello di pensiero neo-liberista che annovera tra i suoi esponenti G. W. Bush negli USA, Putin in Russia e Sharon in Israele.

“Il tenore di vita degli USA non è negoziabile” afferma Bush.


“La sicurezza dei cittadini israeliani è molto più importante di risibili concetti di diritto internazionale” dice più o meno Sharon.


Quanto a Putin, nemmeno parla tanto, si limita a far parlare le armi in Cecenia.

In Italia, i migliori rappresentanti di questo pensiero sono alcuni esponenti della Lega Nord, che invitano a cannonneggiare i barconi dei disperati quando cercano di approdare in Italia o affermano che ai bingo bongo facciamo già il favore di dargli lavoro, ma non devono pretendere di avere pure dei diritti.

Il concetto di fondo è che la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo è carta straccia (“Sono solo fregnacce” si direbbe a Roma) e che i paria della terra non devono pretendere di voler raggiungere il tenore di vita occidentale, nè hanno diritto a un sistema giuridico-legale che li protegga.

Il concetto è stato accettato in pieno: i dannati della terra hanno perfettamente assimilato il fatto che le leggi democratiche valgono per i ricchi occidentali, ma non per gli iracheni, o per i palestinesi, o per i ceceni (e molti altri). Loro sono una razza a parte.
“I reietti della terra non fanno parte dell’Umanità”, o almeno di quello che in “Occidente” viene considerato Umanità: questo è il concetto recepito.

Ma in tale caso i ricchi, i padroni, gli oppressori, sono una razza a parte, anzi un’altra specie.

Allora è consentito che un madre uccida senza scrupolo decine di bambini, tanto sono di un’altra razza.


Quante volte noi uccidiamo dei maiali senza preoccuparci più di tanto? Per loro forse noi siamo peggio dei maiali. Almeno i maiali non ci avevano fatto alcun danno. Noi consumiamo tutte le risorse del globo ed a loro non vogliamo lasciare niente.

Chi ha lungamente pianificato uno scontro di civiltà tra il nord ed il sud del mondo forse non aveva realizzato bene che si sarebbe trattato di uno scontro tra due barbarie, non tra due civiltà.

Dopo la caduta dell’ideologia comunista si è propagato un modello di sviluppo liberista dove chi può (il più forte o il più furbo) prende tutto quello che vuole ed agli altri, se va bene, restano solo le briciole. Questo modello sta funzionando alla perfezione, con lievi effetti collaterali in Ossezia, in Iraq o in Palestina.

Se tali effetti collaterali non piacciono, bisogna invece ritornare all’etica, che è un potente strumento per la politica (“L’etica non è una disciplina priva di interesse pratico” ammoniva Savater in “Etica per un figlio”).

Bisognerebbe tornare a concetti di solidarietà e di uguaglianza, non solo perchè è moralmente giusto, ma perchè potrebbe essere l’unica via di sopravvivenza per il pianeta ed i suoi abitanti.

In quest’ottica sono molto interessanti come modello i giochi a somma non-zero. Mentre buona parte dei giochi sono a somma zero, cioè quello che perde una parte viene vinto dall’altra, i giochi a somma non zero possono consentire a tutti i giocatori di vincere.

I giochi tradizionali sono basati su un modello competitivo, dove ogni parte in gioco cerca di combattere l’altra.


I giochi a somma non-zero sono basati su un modello cooperativo, dove vince chi riesce a collaborare in modo costruttivo con gli altri.

Sono vecchie teorie, che molti vorrebbero dimenticare, ma hanno invece una grande applicabilità pratica.

Che la realtà politica sia un gioco a somma non zero lo hanno dimostrato infine, nel modo peggiore, i guerriglieri ceceni in Ossezia: quando una parte ha perso tutto, può fare in modo che tutti perdano.

Truman Burbank

Gestire il caos

1 settembre 2004
di Truman Burbank

Qualche risposta a Bifo ed ai rikombinanti.

Gli eventi del pianeta appaiono sempre meno governabili, e il miglior modo per definirli sembra la paroletta: caos.

Ma non è necessario controllare il mare in tempesta, è sufficiente condurre la nave in porto sicuro.


Gestire il caos (qualche risposta a Bifo Berardi)
Parto da Il non sapere giudica il sapere dove Bifo, una tra le menti più lucide di Rekombinant, espone parecchie idee interessanti, tra cui l'aumentata complessità della realtà politica.

"Perché la legge governi effettivamente occorre che la mente collettiva conosca ed elabori la complessità del reale con una velocità che le consenta efficacia. Data l'accelerazione degli scambi informativi che le tecnologie digitali hanno indotto, la legge non possiede gli strumenti conoscitivi per elaborare, giudicare, normare gli scambi informativi, i processi di produzione.

La società si muove ad una velocità che la ragione normativa non può raggiungere, e la complessità sociale diviene ingovernabile per la ragione normativa e per l'azione della legge. La complessità, in fondo, può essere definita in termini di velocità: è il rapporto tra velocità del reale e velocità della ragione operante. (…) Il potere non ha più alcuna pretesa di governare, si limita ad esercitare il potere, ad impadronirsi delle risorse, ad eliminare quello che della società non si sottomette."


Fin qui tutto bene, l'aumentata complessità é effettivamente percettibile, come pure la difficoltà di governare questa complessità. Ma Bifo approfondisce il discorso in Il sapiente, il mercante, il guerriero

"All'origine del collasso immaginario c'è l'inconscia percezione di uno scarto incolmabile tra le capacità di elaborazione e di controllo del creatore umano, e la velocità operativa della rete di dispositivi informatici che collegano il mondo rendendone possibile il funzionamento e la continuità. (…)

Gli eventi del pianeta appaiono sempre meno governabili, e il miglior modo per definirli sembra la paroletta: caos. Ma cosa vuol dire caos? Il caos è una forma del mondo troppo complessa per poterla elaborare con le categorie di cui disponiamo. E l'attività umana, la filosofia, la politica, l'arte, può essere intesa come una caosmosi, come un'attività che elabora il caos attraverso l'emergenza di sempre nuovi paradigmi che concettualizzano la realtà, la sensibilizzano, la singolarizzano, la storicizzano."


Provando a riassumere con parole mie, sono due i concetti esposti:

1) l'estrema complessità del reale, unita all'accelerazione dei processi, provoca qualcosa che si potrebbe definire caos;

2) mancano tecniche e teorie adeguate a gestire la complessità caotica.

In realtà Bifo segue le linee di un pensiero analitico occidentale che, partendo da Democrito con il suo atomismo, arriva a Henry Ford con la sua decomposizione del lavoro in gesti elementari, le ormai classiche tecniche di "tempi e metodi" dell'industria meccanica. Marx non è estraneo a questa linea di pensiero, che vede il mondo come un grande meccanismo di cui si vorrebbero controllare tutti gli ingranaggi.

Nella fisica il meccanicismo puro era già finito un secolo fa, a inizio '900. L'idea del mondo come un grande macchinario, dove tutto era determinabile pur di avere gli strumenti adatti, era tipica dell'800 e crollò sotto i colpi delle teorie quantistiche.

Adesso ci accorgiamo che il mondo è troppo complesso per essere governato con tecniche meccanicistiche, forse potevamo intuirlo un secolo prima.

Eppure gestire il caos è possibile, se si abbandona la linea classica di pensiero occidentale, che già sappiamo perdente, visto che non si intravedono vie d'uscita dalla crisi economica - politica - bellica attuale.

Come il capitano guida la sua nave attraverso un mare burrascoso per arrivare infine in porto, a noi non serve capire e padroneggiare tutto. Non ci serve trovare gli ingranaggi nel mare. Serve capire quel che basta a salvare la pelle.

Proviamo a ritornare indietro di un migliaio di anni. Un buon riferimento potrebbe essere la costruzione di cattedrali nel Medioevo, con riferimento, per esempio, a Notre Dame di Parigi.

All'epoca la scienza delle costruzioni non esisteva ancora, non erano ben chiari gli effetti del vento sulle costruzioni, i materiali erano poveri, eppure furono costruite delle opere immortali.

I capomastri non avevano insomma la teoria di base per realizzare le loro opere, eppure ci riuscirono, in base all'esperienza, all'intuito ed alla collaborazione.

Un buon riferimento è "Sperimentazione strutturale nell'architettura gotica" di Robert Mark e William W. Clark - Le Scienze (gennaio 1985).

"La cattedrale di Notre-Dame di Parigi, la cui costruzione ebbe inizio tra il 1150 e il 1155, fu progettata per essere lo spazio più elevato dell'architettura gotica. (…) nel costruire il coro gli artigiani dovevano essersi resi conto di un nuovo problema per il quale l'esperienza acquisita con chiese più basse non era di alcuna utilità: la velocità del vento è molto maggiore ad altezze più elevate.

Oggi si sa che la pressione del vento è proporzionale al quadrato della velocità del vento stesso, e pertanto essa è maggiore sugli edifici alti. (…) fu proprio la preoccupazione per il carico imposto dal vento a indurre i costruttori della navata parigina a introdurre, poco prima del 1180, l'arco rampante. (…)


Le analisi strutturali che abbiamo compiuto su numerosi edifici medioevali hanno rivelato che i loro progettisti imparavano dall'esperienza, servendosi degli edifici reali proprio come oggi gli ingegneri si basano su prototipi dotati di strumenti per accertare il comportamento strutturale di un progetto. (…) l'esperienza acquisita in un cantiere veniva trasmessa ad altri progetti di costruzione (…) Si ha persino l'impressione che i capimastri delle cattedrali di epoche successive, come quelle di Chartres e di Bourges, siano stati a conoscenza dei difetti del sistema originale di contrafforti di Parigi e abbiano modificato di conseguenza i propri progetti. (…)

Un equilibrio così raffinato potrebbe sembrare superiore alle capacità di un costruttore prescientifico."


Per finire:

"Quando il 19 luglio 1940 fu aperta al traffico la campata centrale, lunga 854 metri, del Tacoma Narrows Bridge, un ponte sospeso, essa era la terza campata del mondo in ordine di lunghezza. Inoltre il suo peso per ogni metro di carreggiata era di gran lunga inferiore a quello di qualsiasi altra campata lunga. Il Tacoma Narrows Bridge compendiava la tendenza del primo Novecento verso piani stradali più leggeri, quasi nastriformi, e verso torri slanciate. La larghezza del suo rinforzo, costituito da una travatura con anima piena, era pari soltanto a 1/350 della campata.

Quattro mesi dopo l'inaugurazione del ponte, un vento del mattino che soffiava abbastanza costantemente alla velocità di 65 chilometri all'ora produsse gravi oscillazioni di torsione nella campata, che a mezzogiorno crollò in maniera catastrofica."


Insomma a volte i vecchi costruttori erano meglio di quelli attuali, perché sapevano di non sapere tutto e quindi erano più capaci di reagire agli imprevisti.

Proviamo allora a tornare all'antica Grecia, ai presocratici, all'atomismo e vedere se riprendere una strada che all'epoca era stata abbandonata.

Se Democrito parlava di atomi, Anassagora diceva che tutto scorre e che non ha senso cercare i costituenti ultimi della materia, perché la ricerca potrebbe non aver mai fine. (Anche la fisica moderna comincia a dubitare che in realtà fosse più vicino alla realtà Anassagora piuttosto che Democrito).

Nel paradosso di Zenone, Ulisse non riusciva a superare la tartaruga perché c'erano un numero infinito di passi da compiere. In modo analogo i problemi di oggi sono così complessi che la loro decomposizione in passi elementari costringe a fare così tante azioni elementari che il problema diventa praticamente intrattabile, la soluzione non arriva mai in tempo utile. L'approccio analitico non è più praticabile (1).

Bisogna allora praticare un approccio sintetico, integrale, dove si rinuncia al controllo di tutti i piccoli dettagli e si punta ad individuare e controllare gli aspetti davvero significativi. L'individuazione di questi aspetti è poco codificabile, si rischia di trascurare elementi importanti, ma il problema ridiventa trattabile.

Certamente non tutti riusciranno a farlo, serviranno persone capaci di individuare l'armonia che è presente nei sistemi complessi quando il caos è sotto controllo. Si ha un approccio musicale vicino al Tao (vedi Il Tao della Fisica, di Fritjof Capra).

Queste idee sono ormai arrivate anche all'interno delle aziende. Per gestire in tempo utile sistemi complessi servono nuovi approcci, basati sulle incertezze e non sulle certezze.

"Io preferisco chiamarla creatività gassosa. Pensa all'acqua che bolle, alle particelle che si aggregano e disaggregano generando energia all'interno di un contenitore trasparente. Ecco: noi facciamo così.

È la teoria del caos management secondo Federico Minoli, presidente e amministratore delegato della Ducati: (…) per Minoli il caos è una pratica più che una teoria. Prima facciamo le cose, poi cerchiamo di capire perché funzionano. Adesso abbiamo cominciato a teorizzare il caos. Le cose sono state fatte: l'azienda è tornata leader nel settore delle moto sportive, le azioni sono in rialzo."

(Da Manager a tutto gas - L'Espresso - 28 Agosto 2003)

Viene riconosciuto come cruciale il ruolo del leader, che non è più (soltanto?) un manager esperto del dominio aziendale, ma è qualcuno capace di trainare le persone. Non più yes-men, ma leader naturali, si comincia a dire. Ma forse non hanno afferrato bene il problema.

In sintesi, il caos può in qualche modo essere gestito se si lavora in modo integrale, invece che atomico, se si punta all'obiettivo più che ai passi necessari per raggiungerlo, se si sa di poter sbagliare e si è in grado di adeguarsi agli sviluppi, se lavora in cooperazione più che in competizione e quindi si ricerca l'armonia; il tutto può essere fatto da chi ha leadership e contemporaneamente esperienza.

Le teorie, i mezzi tecnologici, gli strumenti di controllo, sono utili, purchè non si faccia totale affidamento su di essi.

Ritornando a M. Pasquinelli ed alle sue tecnomacchine imperiali , cosa succede se a pilotare le macchine bisogna mettere dei guru, dei visionari, dei pazzi sognatori? Sarà davvero necessario rivoltare le macchine quando esse saranno controllate da tipici rivoluzionari?

Oppure l'impero continuerà a lasciare fuori dai posti di comando le persone capaci di risolvere i problemi più micidiali? (Questa è stata la tendenza fino ad ora).



Truman Burbank


Note: (1) Qui il paradosso di Zenone viene in qualche modo invertito a favore dell'infinita divisibilità (problema risolto dal calcolo integrale di Newton e Leibnitz) e usato contro l'atomismo, che spinge a suddividere il problema in un numero di passi finito, ma praticamente intrattabile.

I bei tempi andati del giornalismo

22/7/2004

Nei bei tempi andati il mestiere del giornalista era semplicemente uccidere la verità. Bastava nascondere i fatti importanti, evidenziare ciò che non era rilevante, introdurre qualche piccola bugia funzionale al potere ed il lavoro era fatto.

Adesso è tutto molto più complesso. Un giornalista è oggi un lavoratore dipendente nella catena di montaggio delle notizie, in cui si esegue una procedura complessa per elaborare un prodotto industriale destinato ad essere consumato da parte delle masse (dico masse ma mi viene in mente un branco di buoi o di pecore).

La prima operazione da fare è sterilizzare la notizia, in modo da levare tutto il nutrimento, un po' come si fa con il latte a lunghissima conservazione, che dopo una lunga bollitura perde tutto il suo sapore e tutte le vitamine.

Poi la notizia va rielaborata in modo da renderla appetibile, vanno trovati elementi che mettano paura (in questo caso la notizia si mette in apertura), o elementi curiosi, o umani, che ci facciano sentire più saggi e più buoni (questo per le notizie di chiusura). Un po' di tette e culi fanno sempre bene.

In ogni caso l'informazione deve essere rielaborata ed additivata in modo da attirare l'attenzione, essere gradevole e non creare alcun fastidio ai poteri forti di vario genere.
Ecco, l'informazione è diventanta intrattenimento, in Inglese infotainment (information + entertainment).

Ma questo è ancora poco. L'informazione deve anche stimolare i consumi, spingere la gente ad uscire di casa, prendere la macchina ed andare nei centri commerciali per comprare robe inutili, tipo l'ultimo gadget tecnologico. Fondamentale è stimolare il mito che tutto ciò che è nuovo è meglio del vecchio. Questa è una fase in cui bisogna narcotizzare l'utente, spingerlo a fare cose irrazionali. Un buon corso di anestesiologia è molto utile per fare buon giornalismo oggi.
Qui ormai all'information + entertainment si è aggiunto l'advertisement (la pubblicità).

A questo punto il pastone per il bestiame sarebbe pronto, ma il bravo giornalista fa ancora di più.

Gli equilibri tra i vari poteri sono dinamici e spesso bisogna fare in modo da accontentare non solo il padrone di oggi, ma anche quelli di domani. Allora la linea (o meglio la sequenza di rielaborazione delle notizie) deve essere organizzata in modo da far contenti anche quelli che politicamente sono all'opposizione e deve gradualmente spostarsi al muoversi degli equilibri.
Ecco perchè alcune trasmissioni televisive dedicate al grande pubblico ridiventano interessanti, non per quello che dicono, ma per come lo dicono. Il grande anchor man, per chi sa leggere i media, diventa un barometro delle tendenze politiche.

Come nella vecchia URSS si poteva capire qualcosa dalla Pravda o dalla Izvestia anche se le notizie erano totalmente false, oggi in occidente chi non crede ai media ufficiali può comunque ricavarne informazioni interessanti, leggendo i segni nascosti.

Truman

Sicurezza informatica e business

3 maggio 2004


Ancora una volta mi ritrovo in arrivo sul computer delle mail visibilmente contenenti qualche virus. Ripenso alle solite raccomandazioni degli “esperti” e mi viene da ridere.
Antivirus appena aggiornato, io non apro messaggi sospetti, comunque i virus arrivano.

Tra i vari messaggi ricevuti, anche qualche comunicazione secondo cui avrei inviato messaggi con virus ad indirizzi sconosciuti. Solo che la data e l’account con cui li avrei inviati non risultano compatibili con le mie connessioni.

Ripenso agli articoli sulle riviste: anche Hacker Journal, che dovrebbe essere una rivista per gente sgamata, raccomanda di non aprire allegati sospetti, di aggiornare periodicamente l’antivirus e così via, poi però da un’altra parte dice più o meno: “non perdete tempo ad inviarci virus, tanto tutta la posta viene ricevuta su una macchina Linux.”. (Della serie, “fate come vi diciamo, non come facciamo noi”).

Leggo il dodecalogo di Paolo Attivissimo, meglio degli altri, ma orientato nello stesso senso. Sembra che ci sia una voglia di colpevolizzare l’utente, che non è abbastanza accorto da evitare i virus, nessuna colpa ai produttori di software. Poi leggo in dettaglio il dodecalogo e finalmente vedo comparire la regola zero: “Se potete, non usate Windows: usate sistemi operativi alternativi come Linux, Mac, BSD, QNX e altri ancora.”

Non posso fare a meno di pensare a come ci sia una logica di business dietro ai virus.

Il business impazza: antivirus, firewall hardware e software, zone militarizzate e non, sistemi di crittografia, backup periodici - mentre la sicurezza dei sistemi informatici diminuisce. Tanto un nuovo virus ci mette due o tre giorni ad infestare tutto il mondo. E mentre una volta bastava aggiornare l’antivirus una volta al mese adesso non basta una volta alla settimana.

Gli antivirus diventano poi sempre più pesanti ed invasivi, il PC rallenta ad ogni aggiornamento, ad un certo punto si pone il problema se levare l’antivirus o cambiare PC per continuare a lavorare. In un caso si ha un grosso rischio, nell’altro una spesa significativa.

Nel frattempo gli esperti continuano a raccomandare di scaricare gli “aggiornamenti” in modo da perdere ancora di più il controllo del proprio PC. (Quando si vede un comportamento anomalo non si capisce se è un aggiornamento mal riuscito o un virus). Per complicare il tutto arrivano via e-mail gli “aggiornamenti” targati MS, che in realtà sono altri virus.

La logica delle protezioni è basata sul business, come quella farmaceutica. Vaccini alle persone sane invece che confinamento o eradicazione delle malattie.

Protezioni su tutti i PC invece che confinamento del contagio.

Eppure la notizia fondamentale che i virus tendono ad attaccare solo macchine con Windows e si propagano quasi sempre tramite Outlook o Outlook Express la trovo molto poco diffusa.

A me sembrerebbe invece importante dire: “Evitate di usare Outlook (express), eviterete di fare qualche figuraccia contagiando i vostri amici”. Oppure: usate software libero, preferibilmente poco diffuso, BSD, o Linux (quest’ultimo meglio che non sia delle distribuzioni più diffuse, per avere migliore sicurezza); anche Beos andrebbe bene.

I virus informatici, come quelli biologici, hanno bisogno di un ambiente favorevole ed hanno bisogno che tale ambiente sia diffuso per potersi propagare. Il consiglio più sensato sarebbe quindi quello di risparmiare ed evitare semplicemente MS Windows. In alternativa evitare almeno le applicazioni Ms più diffuse, quindi oltre ad Outlook, evitare Office con le sue terribili macro in visual basic. Ma questo consiglio lo vedo molto di rado.
Disturba il business.

Si è voluta privilegiare la connettività rispetto alla sicurezza ed ora se ne pagano le conseguenze. Tutte le porte aperte alla comunicazione possono diventare porte d’ingresso per i virus.
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Strano che per quanto se ne parli, in realtà non ci siano casi significativi di infezioni diffuse su macchine basate su software libero, sembra evidente che dove non c’è business, non c’è interesse a sviluppare virus. (Windows XP non mi appare in sè molto più semplice da infettare di un sistema Linux, eppure le statistiche gli sono abbondantemente sfavorevoli).

Molto trascurata l’informazione che i sistemi un po’ obsoleti sono meno soggetti a virus di quelli nuovi. Sono ormai molti i virus che attaccano Windows XP ma non Windows 98. Anche in questo caso conviene risparmiare. Un sistema workstation abbastanza sicuro potrebbe, al limite, essere basato su Windows 3.11 con Eudora per la posta e Netscape per internet.
Ma quale business ci sarebbe a raccomandare computer obsoleti?

Una nota sui server: qui non vengono considerati, essendo meno diffusi e ponendo problematiche di sicurezza diverse. E’ comunque interessante notare che, nonostante i media evidenzino il fatto che anche i server linux / Unix sono attaccabili, non riportino il fatto che tali macchine hanno una continuità operativa molto migliore delle macchine Microsoft.

Truman Burbank

La scienza non si fa con le amnesie

Da una diatriba su Darwin, il darwinismo e sulla proposta di dimenticare Darwin, perché alcune delle sue idee restano non verificate, uscì fuori questo commento, che considero il mio personale omaggio al maestro Paul Feyerabend.

Sembra che ci siano alcuni per i quali Darwin è ormai superato, da dimenticare. Non credo che le amnesie facciano bene alla scienza.

Le teorie scientifiche spesso nascono da un’intuizione originale, nata dalla correlazione tra più fatti (idee) che sembravano del tutto indipendenti tra di loro. Invece dalla correlazione tra le idee nasce qualcosa che è più della somma delle singole parti: la nuova teoria.

Nelle scoperte scientifiche a volte la scoperta originale resterebbe inapplicabile se non ci fosse un faticoso lavoro successivo di messa a punto. Ciò avvenne nel caso della penicillina, scoperta da Fleming, ma per la quale dovremmo ringraziare molti ricercatori successivi.

Nella maggior parte dei casi, però, le teorie scientifiche di successo sono dovute ad un singolo, che si dimostra capace di correlare dati in un modo inusuale, portando nuove visioni e risultati innovativi.

Nel seguito gli altri ricercatori si dimostrano capaci di aggiungere contributi alla teoria principale, con un utile approccio, oppure tentano di fare le pulci alla teoria, per dimostrarne l’inconsistenza, spesso con risultati penosi. E comunque tutti e due portano qualche contributo.

Mi piace ricordare Fred Hoyle, che per lungo tempo ha difeso ad ogni costo la teoria dell’universo stazionario, contro quella dell’universo in espansione, oggi generalmente accettata. Hoyle arrivò al punto da sostenere la creazione di materia dal nulla, pur di sostenere l’universo stazionario.

Nel caso della meccanica classica (Galileo, Newton) si pensava che le leggi del moto trovate fossero universali, cioè si applicassero a tutti i casi. La meccanica classica fu superata dalla meccanica relativistica, ma questo non vuol dire che le leggi classiche siano rimaste senza valore. Anzi continuiamo ad utilizzarle nella vita di tutti i giorni. Semplicemente la relatività (ristretta) ha ridotto il campo di applicazione della meccanica classica. Si sa che le leggi classiche sono applicabili solo quando le velocità in gioco sono ben inferiori a quella della luce.

Allo stesso modo Maxwell formalizzò le leggi dell’elettromagnetismo, prima teorizzate da altri ricercatori (es. Coulomb, Faraday, ...). Ma le equazioni di Maxwell non cancellarono le ricerche precedenti, piuttosto ne spiegarono il significato in un contesto più generale. (Forse vale la pena di ricordare che le equazioni di Maxwell non risentirono della relatività: ce l’avevano già scritta dentro).

Ciò che in pratica avviene nella scienza, è che le teorie scientifiche di successo non vengono cancellate dalle scoperte successive, piuttosto ne viene chiarito il campo di applicabilità. Ciò che prima appariva come un concetto universale resta valido, purché si abbiano delle condizioni ben specificate.

La natura si mostra spesso riluttante a mostrare i suoi segreti e, ogni volta che ci sembra di aver finalmente capito, si scopre che ci sono fenomeni nuovi ed imprevisti, che sembrano confutare ciò che avevamo trovato. Mi sembra che ciò sia in particolare vero per la fisica delle particelle di oggi. (Ma anche la biologia non scherza).

E allora non bisogna mollare. Bisogna sempre mantenere la memoria storica, anche degli errori, perché dagli errori si può imparare, anche a distanza di tempo, ma soprattutto bisogna ricordare le cose giuste.

Perché se da Lamarck e Lombroso si può imparare a non farsi influenzare dall’ambiente sociale, dalle teorie riuscite si possono ricavare direttive per comportarsi nella vita di tutti i giorni.

Se abbiamo un’infezione difficile da combattere ed il medico ci somministra due antibiotici in combinazione possiamo accettare il parere del medico (perché lui è l’esperto e noi gli ignoranti) oppure capire che lui sta semplicemente applicando la teoria dell’evoluzione, addirittura sta applicando in qualche modo una metrica. L’accoppiata dei due (o anche più) antibiotici ha lo scopo di distruggere ceppo batterico prima che esso riesca ad evolversi fino al punto da diventare resistente. Ecco allora che oggi si preferisce usare più antibiotici per tempi brevi, piuttosto che (come si faceva in precedenza) un singolo antibiotico per tempi più lunghi. Chi capisce la scienza capisce ciò che succede intorno a lui ed è in grado di prendere decisioni in autonomia, chi non capisce la scienza si sorprende di tutto ciò che succede e si affida sempre agli “esperti”.

Una caratteristica delle teorie di successo è, sorprendentemente, non tanto il fatto che il campo di applicazione in qualche modo si restringe, ma il fatto che si trovano nuove applicazioni in settori per i quali la teoria non era pensata nemmeno alla lontana. E’ il caso della relatività, che viene citata, anche a sproposito, nel linguaggio di tutti i giorni (“Tutto è relativo”) ma è soprattutto il caso dell’evoluzionismo, che sta trovando applicazioni nei sistemi informatici ed in quelli economici.

In “divertimenti” di guerre tra programmi fatti per conquistare tutto l’ambiente di un computer, erano fondamentali approcci evoluzionistici per costruire programmi capaci di resistere agli attacchi degli altri (questi giochi venivano raccontati tempo fa su “Le Scienze”). Ma anche nei virus dei computer si potrebbe vedere un’evoluzione creata dalla continua guerra tra virus ed antivirus.

Nei sistemi economici sono recenti alcuni approcci di tipo evoluzionistico per tentare di prevedere il loro andamento. Anche qui l’approccio è sperimentale, ma sembra promettente.

E allora, per favore, non giochiamo a cancellare teorie per passione di polemiche, ma ragioniamo con pacatezza su campi di applicazione, ipotesi alternative, dati numerici e campi che restano oscuri. Si, anche campi oscuri, perché la scienza non ha spiegato tutto e dubito che ci possa riuscire ed è lecito dire: “Su questo punto non abbiamo (ancora?) capito come vanno le cose”.

Cronache dal basso medioevo

27 aprile 2004



Nella penisola italica l'argomento del giorno è la Mesopotamia: le orde barbariche venute dall’occidente tengono in ostaggio 14 milioni di anime, ma i chierici si preoccupano solo di tre soldati di ventura italiani presi prigionieri dagli Assiro-Babilonesi. La conquista della Mesopotamia sembra essere molto più difficoltosa del previsto.

Re Silvio 1° si trova in difficoltà, vorrebbe ritirare le sue milizie dalla terra tra i due fiumi, ma il suo rapporto di vassallaggio con l'imperatore Cespuglio 2° non glielo consente. I sudditi sono insoddisfatti e mugugnano.
Alcuni propongono che Silvio abdichi in favore del figlio Piersilvio. Re Silvio afferma di non poter abbandonare una carica di cui è stato investito direttamente da Dio.

Il dibattito tra i chierici si concentra sui nuovi spettacoli circensi, molto apprezzati dal popolo, scene di vita reale invece che rappresentazioni (come ai bei vecchi tempi dei cristiani nel Colosseo). Sorgono molte proteste per non aver potuto assistere all'uccisione di un soldato di ventura italiano da parte delle truppe mesopotamiche.
Il popolo chiede sempre più sangue (almeno così dicono i chierici). Si tenta di rimediare con l'intervista in diretta ad un pluriomicida.

La criminalità impazza, dopo un'ondata di aggressioni a bambini da parte di cani feroci, circolano continue voci di omicidi tra consanguinei. Viene prodotta una nuova grida per consentire agli inquisitori la tortura. Alcuni inquisitori sono insoddisfatti, dicono che il vincolo di poter torturare una sola volta non consente di far confessare i rei, ma gli azzeccagarbugli fanno presente che il metodo standard per far confessare gli anarchici (lanciarli da un balcone) non ha bisogno di ripetizione.

Nel frattempo il popolo viene autorizzato a farsi giustizia da solo quando trova un ladro in casa. I venditori di armi approvano fortemente questa giusta legge e dicono che rappresenta un netto progresso nel difendere la proprietà privata. Oltretutto stimola il commercio.

Nelle Indie si registrano nuovi casi di peste. Gli Europei sono preoccupati che si possa estendere nei loro paesi. I cerusici dicono che si può stare tranquilli, ma bisogna bloccare le immigrazioni dalle Indie e soprattutto fare attenzione agli untori già arrivati. Il popolo comincia a dare la caccia agli untori.
Alcuni cerusici affermano di aver quasi pronto un elisir in grado di bloccare la peste. Il popolo non ci spera molto.

Alcuni commercianti propongono un nuovo tipo di grano, lo chiamano grano turco gm e dicono che sia molto utile per sfamare i servi della gleba, visto che cresce molto bene. Però a qualcuno tornano in mente le stragi provocate dalla segale cornuta. Il popolo è sospettoso.

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Commenti di un amico (giochi circensi):

I giochi gladiatori vennero proibiti da Costantino I all'inizio del IV secolo, ma la proibizione rimase inascoltata fino al tempo di Onorio I (inizio V secolo), quando un monaco cristiano tentò un sit-in nel Colosseo per fermare il combattimento, e fu assalito dai leoni che non lo distinsero dai gladiatori.

Quanto alle corse dei cavalli, si continuarono a tenere al Circo Massimo per altri 150 anni, fin dopo la caduta dell' Impero d'Occidente. I re barbari Odoacre e Teodorico continuarono a finanziare questi divertimenti perché il popolo romano, in fondo, chiedeva solo di divertirsi e di essere lasciato in pace senza le rotture delle guerre e delle carestie.

Secondo Procopio, l'ultima corsa si tenne durante la guerra tra Ostrogoti e Bizantini, quando Roma era quasi completamente spopolata dagli assedi e dalla fame. I pochi abitanti ancora vivi si nascondevano tra i pecorai nelle campagne e non volevano tornare in città.

Allora il Re degli Ostrogoti Totila, per convincerli, organizzò un ultimo spettrale spettacolo nella città deserta, in un Circo Massimo occupato da poche centinaia di persone quando ne poteva contenere 200.000.

Roma era morta ma, come uno zombi, in una grottesca coazione a ripetere, il suo cadavere continuava ad esigere i Circenses , visto che il Panem non serviva più...

Rivoluzionari di destra e conservatori di sinistra

1 aprile 2004


Leggo, praticamente in contemporanea, due articoli che mi appaiono affrontare i due corni dello stesso problema.
Il primo è un articolo apparso su Rekombinant un paio di mesi fa, che mi era inizialmente sfuggito: Franco “Bifo” Berardi, Il totalitarismo tecno-manageriale da Burnham a Bush, l’altro è un articolo di Franco Carlini sul Manifesto di oggi.
Bifo parla dei rivoluzionari di destra, mentre Carlini illustra il valore di una sinistra conservatrice.
Insomma, vale la pena di rivedere alcune nostre idee consolidate, potrebbero essere ormai completamente fuori luogo.
L’articolo di Bifo ( http://www.rekombinant.org/article.php?sid=2241) illustra l’opera La rivoluzione manageriale di Burnham (può essere visto come un precursore di G. Orwell) scritta nel 1941, come una delle possibili fonti del pensiero dei neo-cons americani odierni. Cito.
“La premessa fondamentale del processo descritto da Burnham sta nella disgiunzione tra proprietà dei mezzi di produzione e controllo effettivo della macchina produttiva.”

“Burnham viene salutato come un eroe della tradizione liberista, ma il suo liberismo ha caratteri autoritari.”

“Nella genesi dell’ideologia neoconservatrice si deve riconoscere l’impronta decisiva dell’internazionalismo aggressivo trotzkista e dell’assoluto nichilismo nazista. In questo senso si tratta di un conservatorismo ben poco conservatore, perché esso si applica anzitutto ad una rivoluzione sociale reazionaria e antisociale. L’unico tratto di conservatorismo di questa ideologia e della politica neo-cons è l’odio forsennato per l’egualitarismo e la solidarietà sociale.”

L’articolo di Carlini, “Il Pil, un feticcio da abolire” sul Manifesto del 1° Aprile espone come, correndo dietro al feticcio del Prodotto Interno Lordo per misurare la salute (il progresso?) di una nazione stiamo precipitando all’indietro.

L’articolo appare una risposta al Corriere della Sera, ma è interessante vedere come Carlini sostenga il valore di conservare nella sinistra.

“Sarà il caso infatti di cominciare a rivendicare con una determinazione, anche a sinistra, l’idea che ‘conservare’ le buone conquiste della civiltà umana è un programma serio e importante, così come lo è proteggere l’ambiente dai disastri e le opere d’arte dalle svendite affaristiche, o la memoria di una nazione dai revisionismi interessati e storicamente truffaldini. Non solo non c’è nulla da vergognarsi nel tutelare la Costituzione del ‘48, i salari e l’istruzione pubblica, ma questo essere ‘Conservatori di sinistra’ (così il titolo del Corriere della Sera di ieri) sarebbe già da solo un buon programma di governo da proporre con orgoglio.”

“Il tragico equivoco di una crescita economica comunque buona, come che sia, maliziosamente scambiata per progresso, continua pernicioso a inquinare menti e politiche.”


Insomma destra e sinistra oggi giocano nuovi ruoli e bisogna tenerne conto.
Resta il problema di preparare un’alternativa politica di sinistra che sia realistica e tenga conto dei problemi esposti. Potrebbe non essere banale.


Truman Burbank