venerdì 9 ottobre 2009

La guerra dell'informazione

Un vecchio articolo del 2003 sui fronti della guerra informativa, che forse vale la pena di rileggere

"Gli unici che possono fermare il prossimo carnaio siamo noi, la moltitudine in marcia da Seattle. Per questo devono eliminarci prima." (Sbancor, agosto 2001)

Riprendo un vecchio articolo di Sbancor, e da lì provo a proseguire. La miccia [della guerra infinita] è stata accesa ed il carnaio è cominciato. Ma le moltitudini dei movimenti non si sono fermate, anzi la loro battaglia (tutt’altro che virtuale) contro l’establishment imperiale si è via via potenziata. Al di là delle guerre più o meno esplicite che le milizie imperiali combattono contro gli stati nazionali scelti come vittime, molti sono i fronti di scontro tra le moltitudini e l’impero. E’ opportuno individuare tali fronti, perché solo in questo modo si può controbattere efficacemente l’impero.

Dovrebbe essere ormai noto il fatto che il fronte principale è quello dell’informazione: l’elaborazione di un’informazione indipendente dai media ufficiali, la raccolta di dati, documenti, immagini, la loro propagazione, è fondamentale per il movimento.

Sul fatto che l’informazione sia un fronte di guerra non dovrebbero esserci dubbi: durante la prima fase della guerra in Iraq (la fase della guerra esplicita che Bush dichiarò finita il primo maggio 2003), morirono circa 140 soldati angloamericani su 250.000 (molto meno dell’uno per mille) mentre ci furono 15 giornalisti uccisi su circa un migliaio (circa l’1,5%, un tasso enormemente superiore). Sulle truppe irachene i conti sono più incerti, ma anche considerando 5000 perdite su 750.000 soldati, si ha una mortalità nettamente inferiore a quella dei giornalisti.

La guerra dell’informazione è una guerra reale. Oltre alle uccisioni di giornalisti, ci sono poi molte morti sospette in settori collegati all’informazione, dal recente scienziato inglese Kelly, a Michele Landi, il tecnico informatico italiano suicidato mentre indagava sui proclami delle Brigate Rosse dopo l’omicidio Biagi.

Se il fronte principale è questo, vale la pena di osservare che una parte significativa del fronte è quella relativa all’analisi degli andamenti economici dei vari stati e delle relative valute, dei mercati borsistici ed obbligazionari, delle istituzioni monetarie internazionali. Oltre al citato Sbancor, sono molti quelli che studiano gli andamenti e modelli economici e propongono alternative al pensiero unico neoliberista (e.g. Tobin tax, reddito di cittadinanza). Non va dimenticata Susan George, che già parecchi anni fa dimostrava di aver capito parecchio in "A fate worse than debt".

Ma la guerra dell’informazione deve molto alle manifestazioni di piazza. La piazza si è dimostrata fondamentale per aggregare le persone in base alle loro idee, consentire di vedersi in faccia, stabilire nuovi contatti, verificare la forza collettiva e uscire dal mondo virtuale di internet. La piazza ha creato il grande evento delle manifestazioni per la pace del 15 febbraio 2003, che hanno significativamente modificato gli equilibri in gioco, in particolare in Europa, dove l’opinione pubblica conta ancora qualcosa. La piazza è stata chiaramente individuata dall’establishment come un terreno di scontro e potenti mezzi sono stati messi in campo per frantumare i movimenti. Va ricordato che anche qui i morti sono stati frequenti.

Il fronte più importante è però il meno evidente. Il predominio del pensiero unico è dovuto a tutta una serie di miti che sono stati instillati nella collettività per convincerla che esiste un’unica via (poi, dove porta quest’unica via, non si capisce). Dal mito della frontiera americana, ai film western, alla ricchezza americana, agli uomini che si fanno da soli, al progresso illimitato, ai miti consumistici. ("Consumo, dunque sono" sembra essere lo slogan sottostante, chi non può comprare e consumare non è un umano degno). Molto sottili sono altri miti, come la potente campagna mediatica della SARS, che è stata sia un esperimento di manipolazione collettiva che un primo attacco alla Cina, quello che dovrebbe essere il nemico del futuro. (Ma, nella logica della guerra preventiva, meglio colpire oggi che rispondere ai colpi del nemico domani.)

Sul fronte mitologico bisogna sia smascherare i miti imposti dall’esterno che recuperare e ricreare dei miti che siano utili alla collettività invece che ai poteri forti. Perché senza miti alternativi non si va avanti, si resta prima o poi succubi delle logiche dell’impero ed il movimento perde la sua linfa vitale. Il fronte più importante, dalla parte delle moltitudini, si appoggia alla rivista letteraria Carmilla, col tentativo dichiarato di combattere un vampiro tramite un altro vampiro. Anche John Kleeves, con le sue analisi dei miti Hollywoodiani, rientra in questo fronte.

Ma non finisce qui, il mito del consumo ad ogni costo porta a vendere di tutto alle masse, anche potenti strumenti di comunicazione a basso costo: telefoni cellulari, videocamere portatili e soprattutto internet. L’aspetto di come l’economia crea nuova tecnologia, spesso per scopi militari, che poi però scende di prezzo e diventa oggetto di consumo, non mi sembra sufficientemente studiato. Eppure il potere di opposizione delle moltitudini, che è cresciuto negli ultimi anni, dipende molto dalla disponibilità di tecnologia a basso costo, e questo l’impero lo sa bene. Non per nulla sono sempre più frequenti le leggi per ridurre gli spazi di libertà (e privacy) su internet e questo non avviene solo in stati islamici più o meno dittatoriali, ma in quelle che dovrebbero essere le nazioni più progredite.

Il futuro dipende anche da noi.

PS: voleva essere un documento teorico, invece un amico mi ha detto che appare come una specie di “manuale del giovane no-global”. Va bene anche così .