sabato 29 novembre 2008

Capitalismo, caos e disordine




Il capitalismo pisciò
A volte può essere utile il linguaggio dei ragazzini per spiegare concetti solo apparentemente nuovi.
Una possibile lettura dell’attuale crisi economica è che il capitalismo abbia pisciato in quella che sembrava essere la fase di passaggio dal livello statale a quello globale, cioé ha fatto “psccc...” come una bombetta natalizia che parte per esplodere fragorosamente ed invece si smorza ignominiosamente.

Se il capitalismo ha fallito il salto di scala, la realtà globalizzata resta.
Adesso alcuni autori stimati (per esempio Prem Shankar Jha in Il caos prossimo venturo) preannunciano il caos sistemico, una incontrollabile instabilità che provocherà molti danni. Conviene ritornare sul concetto di caos, su cui avevo già scritto.(1)

La regolarità del caos
Il caos può anche essere visto come un concetto tecnologico: ciò che è troppo complesso per essere calcolato viene denominato caos. Ma il caos non è necessariamente del tutto caotico e mantiene spesso degli aspetti ripetitivi.

Il caos di Rubik
Un cubo di Rubik ordinato può essere trasformato con poche mosse in un cubo che per un profano ha un aspetto caotico: ogni tentativo di riportare ordine localmente appare aumentare l’entropia globale, ogni stato di parziale ordine viene sconvolto quando si tenta di estendere tale ordine, quando si tenta di portarlo ad un livello più elevato.
La sensazione che si prova è deludente e sconcertante.
Chi conosce le regole del cubo sa però che esso non è mai caotico, che le combinazioni possibili, per quanto enormi, sono limitate e che in un numero relativamente ridotto di mosse si può tornare all’ordine. Chiaramente serve un’attenta analisi dello stato iniziale per capire le mosse da prendere.
Anche un profano intuisce comunque che è un problema di metodo più che di caos.

Se si tratta di disordine più che di caos, mi torna in mente Mao Tse Tung: “Grande è il disordine sotto il cielo. La situazione è eccellente”.
Allora nelle situazioni molto disordinate chi sa trovare delle regole può essere molto avvantaggiato sugli altri.

Mi torna anche in mente Georges Simenon, il quale fa dire a Maigret in un momento di difficoltà “I casi della vita sono infiniti, ma le regole in base alle quali si muovono gli uomini sono abbastanza limitate e sono sempre le stesse” (citazione a memoria da “Maigret a New York”).

Il caos di Sacks
Sul caos riguardavo di recente “Risvegli” di Oliver Sacks, il libro in cui il grande neurologo raccontava il risveglio dalla malattia del sonno tramite L-dopa.
Un aspetto interessante di Risvegli è lì dove Sacks studia le teorie dei sistemi caotici per cercare un rimedio all’estrema instabilità delle cure con L-dopa. In lui viene prima l’esigenza pratica e poi la ricerca teorica.
Ma ho la sensazione che gli sarebbe stato più utile un buon manuale sui sistemi dinamici non lineari che troppe chiacchiere sul caos. Avrebbe forse trovato che la reazione alle cure era analoga ad un’isteresi.
La difficoltà occidentale a capire i fenomeni non lineari viene probabilmente dalla tendenza a cercare i componenti più che la Gestalt.
- Alcuni credono che ciò che non ha andamento lineare sia caotico.
- In generale ciò che non è lineare viene capito con difficoltà.

Quando ci si trova di fronte a fenomeni non lineari bisogna prima classificarli. Per fare ciò è necessario individuare la loro Gestalt, la loro tipologia.(2) Poi si può modellizzare e tentare di descrivere matematicamente.
La descrizione delle non linearità può seguire dei cicli ed avere bisogno di uno stato interno, per esempio ciò avviene nei fenomeni di isteresi.
Altro errore comune è il voler linearizzare, il sostituire un andamento lineare a quello reale per comodità di studio: ha senso (in un certo intorno) linearizzare la curva di un transistor, ma non ha senso linearizzare un’isteresi.
Serve considerare il tempo e l’energia, può essere utile un concetto di stato interno.
Insomma servono solitamente piani di analisi aggiuntivi e la soluzione è su un piano diverso da quello lineare /linearizzato.

La realtà si dimostra quasi sempre più ricca (più complessa) di ciò che vorrebbero i nostri principi di economia mentale. Chi non lo sa ricade facilmente nel vizietto dell’investigatore.(3)

E se non servissero grandi teorie?
Tornando a Prem Shankar Jha, egli sembra parlare di grandi teorie necessarie per gestire un mondo globalizzato, mentre a me viene il dubbio che servirebbe solo un po’ di verità in più, del tipo “il mercato spiega poche cose”, “il liberismo era un imbroglio” e così via. Proviamo a ricostruire la verità.

Truman

Note:
(1) Gestire il caos
(2) L'analogia scherzosa iniziale tra il capitalismo e la bombetta inesplosa rientra in questa tecnica di ricercare isomorfismi tra situazioni che sembrerebbero tra loro molto distanti.
(3) Il vizietto dell'investigatore è per me la tendenza ad assegnare immediatamente una spiegazione ai fenomeni osservati, per analogia con innumerevoli casi precedenti, trascurando la verifica dell'ipotesi prima di enunciarla. E' la tecnica con cui viene immediatamente puntato un capro espiatorio, oppure con la quale il medico di fama diagnostica a colpo d'occhio la malattia sbagliata.

giovedì 6 novembre 2008

Back to 1984



Un nostalgico ritorno ad Orwell

Ripensando ad Orwell ed al suo romanzo 1984 mi resta la sensazione che la situazione da lui delineata fosse più libera di quella che viviamo noi oggi. Oggi che il Grande Fratello è un format televisivo di successo il rileggere Orwell mette un po' di tristezza. Quasi come se egli fosse un ottimista inguaribile.

In 1984 c'era ancora qualche residuo di libertà di pensiero. Ma l’anno 1984 se ne è andato da tempo ed in Europa forse non ci sono più uomini ("L'ultimo uomo d'Europa" era il titolo provvisorio).

Oggi il tritatacarne dei mass-media è riuscito a sterilizzare anche la severa lezione di 1984 ed invece di un mondo dove la storia viene riscritta viviamo in un mondo senza storia, viviamo l'eterno presente del paese dei balocchi, il paese dei consumatori bambini.

Restano solo degli zombies assetati di merce e di feticci.

Nel romanzo 1984 di Orwell bisognava sorvegliare le persone, serviva un Grande Fratello che spiasse tutti in continuazione per individuare i comportamenti devianti e punirli. Esso era basato sul vecchio paradigma del controllo tipico dell'epoca staliniana. Si controllavano le azioni delle persone, con enorme sforzo organizzativo.

Nella società attuale non è necessario controllare tutti. Le strade sono vuote. Il mondo sta nella TV ed esiste solo chi riesce ad accedere ad essa.
Chi non ha visibilità mediatica è come se non esistesse. E' invisibile alle masse, estraneo al mondo. Sotto molti aspetti oggi i devianti vengono puniti facendoli sparire, facendoli diventare invisibili a tutti. E può essere una punizione peggiore del carcere.

Ma nessuno vuole stare fuori dal mondo. Allora per controllare le masse basta controllare i mass-media. Adesso nei colpi di stato si conquista per prima la TV.

Il grande vantaggio (per il potere) del consumismo pompato dai media è poi che esso non lascia alcun tempo libero per riflettere.

Eppure Orwell aveva provato a dirlo nel modo più forte possibile che il potere tende a maciullare tutto e che lo spirito critico deve essere sempre vigile. Dopo il fascismo, il nazismo, il comunismo, il nuovo totalitarismo avanza. E spesso riesce pure a celare la sua violenza.

Le persone nei posti di comando questo lo sanno bene, ma anche le masse hanno capito parecchio e tutti si conformano ai valori dominanti. Ognuno è controllore di se stesso.

La situazione attuale è descritta meglio da Huxley.

"Non esiste, ben inteso, alcuna ragione perché i nuovi totalitarismi somiglino ai vecchi. Il governo basato su manganelli e plotoni d'esecuzione, carestie artificiali, imprigionamenti e deportazioni di massa, non è soltanto disumano, ma provatamente inefficiente e questo, in un'era tecnologica avanza, è un peccato contro lo Spirito Santo.
Uno Stato totalitario davvero "efficiente" sarebbe quello in cui l'onnipotente comitato esecutivo dei capi politici e il loro esercito di direttori soprintendessero ad una popolazione di schiavi che ama tanto la propria schiavitù da non doversi neanche essere costretta.
Fare amare agli schiavi la loro schiavitù: ecco qual è il compito ora assegnato negli Stati totalitari ai ministeri della propaganda, ai caporedattori dei giornali e ai maestri di scuola".
Aldous Huxley

http://cavallette.autistici.org/2007/05/468

Non c'è alternativa, dicono alcuni.

Truman