Alcune note a margine del conflitto bellico in Libia
Si discute in Italia dell’opportunità di approvare in Parlamento la missione bellica (volgarmente “guerra”) in Libia e mi torna in mente il vecchio detto del contadino che vuole “Chiudere la stalla dopo che i porci sono fuggiti”. Può anche essere una buona cosa, ma difficilmente i porci rientreranno nella stalla. (1)
Altro fatterello interessante è la scoperta che le truppe speciali britanniche (le SAS) erano in Libia da fine febbraio (2) . Questo, inquadrando i fatti nella giusta sequenza, vuol dire che in Libia le truppe inglesi hanno tentato un golpe contro Gheddafi. Quando il golpe è risultato fallito, hanno chiesto l’intervento di paparino (l’ONU, gli USA, ...) che si è affrettato a bombardare per motivi umanitari tutto il territorio, preferibilmente con proiettili radioattivi all’uranio impoverito (il famoso DU che sarebbe più corretto chiamare “scorie nucleari”). La “protezione dei civili” diffusa dalla grande stampa, as usual, è solo food for chicken (mangime per polli).
Vedo poi esegeti della Costituzione italiana che si affrettano a spiegare come la frase “l’Italia ripudia la guerra” (Art. 11) vada letta alla luce dei paragrafi successivi nel senso che la guerra è normalmente aborrita, ma con una risoluzione ONU si può fare. La metodica è quella dell’esegesi biblica, tramite la quale il chierico dedito a leccare il culo ai potenti riesce a dimostrare qualsiasi cosa. Però le origini della Bibbia si perdono molto indietro nel tempo, mentre le origini della Costituzione italiana sono ben documentate, con tutti i verbali dell’Assemblea Costituente disponibili al pubblico (3). Sfido chiunque a dimostrare sulla base di tali verbali che l’intenzione dei costituenti fosse di consentire la guerra di aggressione in una qualsiasi modalità.
Ad esempio nella prima formulazione l’art. 11 di oggi era art. 8 con il seguente testo:
La Repubblica rinunzia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie alla difesa e alla organizzazione della pace. (4)
Nella versione attuale è diventato:
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Truman
Note:
(1) alcune versioni del detto popolare usano i buoi al posto dei porci, ma in questo caso sono proprio porci.
(2) ad esempio http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article15094
(3) http://archivio.camera.it/patrimonio/archivi_della_transizione_costituzionale_1944_1948/guida:ITCD_00200_00004
(4) Il file di riferimento è CD1700000486.pdf
martedì 22 marzo 2011
lunedì 28 febbraio 2011
Quello che vuole la gente
Discutevo una volta con un politico e gli chiedevo perchè parlasse sempre di denaro e stanziamenti. "Perchè è quello che vuole la gente" mi rispondeva.
I politici ed i giornalisti ripetono sempre questa frase, che però si può facilmente capovolgere. Chi è servo del potere sa che di molti argomenti non si può parlare, del lager di Gaza, delle nostre missioni di guerra in Libano, Afghanistan, Kosovo, delle banche che ci prestano a usura il nostro denaro, della destra e della sinistra che recitano uno scontro e poi su tutte le questioni serie votano all'unanimità.
Chi è servo del potere sa che si può parlare solo di pochi argomenti, i quali formano un pastone immondo, il quale va opportunamente insaporito con ingredienti che stimolano gli istinti primordiali delle persone: il sesso, l'ostilità per lo straniero, la paura della morte, la ricchezza (l'abbondanza),...
Il risultato è come un cibo di bassa qualità, servito ben condito, caldo e con molto sale.
Come gli hamburger di Mc Donald.
A un primo assaggio possono sembrare buoni, però basta farli raffreddare per capire che profumano di carogna.
E i servi del potere insistono a dire che è quello che vuole la gente.
I politici ed i giornalisti ripetono sempre questa frase, che però si può facilmente capovolgere. Chi è servo del potere sa che di molti argomenti non si può parlare, del lager di Gaza, delle nostre missioni di guerra in Libano, Afghanistan, Kosovo, delle banche che ci prestano a usura il nostro denaro, della destra e della sinistra che recitano uno scontro e poi su tutte le questioni serie votano all'unanimità.
Chi è servo del potere sa che si può parlare solo di pochi argomenti, i quali formano un pastone immondo, il quale va opportunamente insaporito con ingredienti che stimolano gli istinti primordiali delle persone: il sesso, l'ostilità per lo straniero, la paura della morte, la ricchezza (l'abbondanza),...
Il risultato è come un cibo di bassa qualità, servito ben condito, caldo e con molto sale.
Come gli hamburger di Mc Donald.
A un primo assaggio possono sembrare buoni, però basta farli raffreddare per capire che profumano di carogna.
E i servi del potere insistono a dire che è quello che vuole la gente.
lunedì 21 febbraio 2011
L'unità d'Italia e i conti con la storia

A 150 anni dall’unità, l’Italia sembra un giocattolo inceppato, che si agita in modo inconcludente. Piuttosto che agitarsi furiosamente come fanno tanti è forse il caso di studiare il passato.
"Chi non conosce il proprio passato è condannato a ripeterlo" dice Santayana e la frase ha due possibili letture: la prima (la più comune) è che chi non conosce la propria storia ripeterà gli stessi errori a parità di condizioni; dopo un primo fascismo ne conoscerà una seconda versione (e magari anche una terza), senza che l'esperienza precedente consenta di resistere all'ascesa progressiva di ducetti, gerarchetti e galoppini.
Ma ancora peggiore è una seconda lettura della frase di Santayana, chi non conosce la propria storia non si rende conto di ciò che ha fatto di buono e lo distrugge senza neanche accorgersene. Allora, se si vuole crescere e diventare adulti, bisogna fare i conti con la propria storia.
Per fare i conti può convenire partire dalla favoletta con cui ci viene propinato il racconto tradizionale dell’unità d’Italia.
La storia provvidenziale (la favola del Risorgimento)
Per gli studiosi di antropologia potrebbe essere interessante analizzare il racconto convenzionale in senso provvidenziale del "Risorgimento". La visione proposta è tesa a dimostrare quanto siano stati necessari gli avvenimenti riportati. Dopo secoli di sofferenze gli italiani erano pronti ad essere riunificati, questo era il loro destino manifesto. Per fare ciò servivano degli eroi: Garibaldi, Vittorio Emanuele, Mazzini, Cavour. Ma gli eroi presuppongono dei cattivi dall'altra parte: gli austriaci, i Borbone. Un po' meno cattivo il Papa, ma certo non poteva avere il suo stato su quella che era destinata a ridiventare capitale d'Italia.
Tutte le fiabe raccontano la stessa storia all’interno di un numero di variabili limitato e la fiaba dell’unità d’Italia non fa eccezione.
Per i dettagli conviene fare riferimento alla "Morfologia della fiaba" di Vladimir Propp[1]. E' opportuno notare che, rispetto alla fiaba standard, qui l'unità nazionale conseguita (la legittima unione tra il popolo e la patria) rimpiazza il matrimonio finale dell'eroe.
Chiaramente la storia provvidenziale che ci viene raccontata è in realtà un artefatto, realizzato per soddisfare degli interessi umani. Ma come si fabbrica un tale artefatto?
Non è poi così difficile costruire un'interpretazione provvidenziale della storia. Prima di tutto vengono gli interessi: si fa quello che conviene fare con qualsiasi tecnica, per esempio è tradizione corrompere gli alti gradi dell'esercito nemico. Grazie alla corruzione ed altri trucchi sporchi si vince. In guerra normalmente vince il peggiore, non il migliore (a parità di forze in campo). Vince il più privo di scrupoli, il disonesto, chi trama nell'ombra. Dopo la vittoria si scrivono libri che dimostrano come ciò che è successo fosse inevitabile, nel destino della nazione, come si stesse preparando da secoli.
Si troveranno sempre con facilità intellettuali e giornalisti pronti a sostenere i vincitori.
Anche il vocabolario verrà riformato. Si introdurranno nuovi termini, come risorgimento, esportazione della democrazia e così via.
In parallelo si provvederà ad emarginare e poi distruggere chi si ostina a mostrare il punto di vista dei vinti, dai giornali fino alle cattedre universitarie. Alla lunga resterà solo il punto dei vista dei vincitori.
Per questo è rarissimo nelle opere storiche trovare dei vincitori cattivi. Per questo gli antichi romani portavano la civiltà.
Il popolo pigro
Un importante corollario della favola standard, popolata da eroi, è il popolo pigro. Adatto il concetto da Wikipedia[2].
Un filone di critica storiografica, elaborando le analisi che fece Antonio Gramsci nei suoi quaderni del carcere, che partì dalle considerazioni del meridionalista Gaetano Salvemini sulla mancata soluzione della questione contadina, legata alla irrisolta questione meridionale, ha sottolineato un’interpretazione che sostiene come nel Risorgimento italiano fosse stata assai limitata la partecipazione delle masse popolari, soprattutto contadine, agli eventi che hanno caratterizzato l'unità nazionale italiana e come il Risorgimento possa essere considerato come una rivoluzione mancata.
Per chi guardi gli avvenimenti in modo disincantato la realtà è diversa e il popolo c’è. Il popolo è quello che neutralizza la spedizione dei Pisacane, il popolo è a Bronte che reclama le terre, il popolo combatte a Pontelandolfo, il popolo partecipa al brigantaggio, riuscendo a contrastare un esercito di 140.000 soldati[3] in assetto da guerra, soldati che riusciranno a vincere solo grazie a tecniche di genocidio. Il popolo è quello costretto ad emigrare a causa della fame creata dai Savoia nel sud. Il popolo continuerà a celebrare i briganti contro gli invasori per decenni. Oltre un secolo dopo la spedizione dei mille c'erano ancora dei cantastorie che onoravano le gesta dei briganti.
Il problema è che nell'interpretazione favolistica del Risorgimento, il popolo è quasi sempre dalla parte sbagliata e viene fatto diventare invisibile dai mass-media (inclusi i libri di storia). Ma se abbandoniamo la favola è facile vedere come il risorgimento sia un'operazione fatta contro il popolo italiano, a cui il popolo si è opposto fortemente, a volte anche ferocemente.
Conviene prestare attenzione al concetto di storia dei vincitori, la storia così come viene raccontata da chi ha vinto. Dalla storia dei vincitori non c'è niente da imparare. Tutto viene giustificato in termini di provvidenza o destino manifesto. Sul lato opposto, dalla storia dei perdenti si possono raccogliere molte utili informazioni. Solo che i perdenti quasi sempre sono stati azzittiti.
Per questo solitamente bisogna cercare al di fuori dei libri di storia per trovare qualche verità, un grande esempio è Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, altro esempio è Noi credevamo di Anna Banti. Per quanto riguarda la saggistica, per lungo tempo le poche cose decenti sul risorgimento sono stati i libri del grande Nicola Zitara[4] e qualcosa di Mack Smith, che non era italiano.
Lo spiegava bene Carl Schmitt (in Ex captivitate salus) come i perdenti siano costretti a scrivere la storia con estremo rigore mentre i vincitori possano permettersi tutti gli abusi.
Sono andato a riguardare la vita di Tucidide, forse il più grande storico mai vissuto, ed era uno sconfitto. Vae victis diceva Brenno ai Romani. Non è cambiato molto da quell'epoca, anche se una mitigazione viene data dalla “storia sociale”, che studia la vita quotidiana delle persone nelle varie epoche.
I Mille
Episodio chiave del Risorgimento è la Spedizione dei Mille nel 1860. Qui conviene approfondire. La spedizione dei mille durò pochi mesi, con un migliaio di soldati iniziali e poche migliaia alla fine convenzionale della spedizione. Alla fine della spedizione buona parte dell’Italia era formalmente unificata sotto i Savoia. Restava in sostanza solo il Lazio e Roma, che avrebbe resistito una decina di anni. L'unità d'Italia era cosa fatta, toccava fare gli italiani (per terminare correttamente la fiaba). Solo che si sviluppò il cosiddetto "brigantaggio", il quale tenne impegnati fino a 140.000 soldati nella cosiddetta repressione, la quale durò almeno un decennio.
Sotto l’aspetto degli interessi economici in gioco, la spedizione dei Mille puntava allo zolfo, che all’epoca valeva come il petrolio di oggi. Si voleva che lo zolfo siciliano rifornisse a buon prezzo le navi inglesi. E così fu.
Per fare ciò i generali borbonici furono comprati, il Regno delle due Sicilie fu depredato, il popolo fu massacrato.
Qui ci sono molte analogie con l'invasione USA dell'Iraq (la Seconda guerra del golfo del 2003), fatta per rubare il petrolio agli iracheni. La guerra recitata durò tre mesi, dopo di che (a maggio 2003) Bush dichiarò la pace (non è colpa mia se suona male). E venne invece la guerra di sterminio contro il popolo iracheno, che dura da anni.
L'unità d'Italia realizzata dai Savoia nel 1860 ed anni successivi fu un capitolo di infamia e rapina, e nel suo complesso si configura come un vero e proprio genocidio.
Il Sud depredato e rapinato, affamato fino all’inedia, deportato nel lager di Fenestrelle[5], sottoposto alla pulizia etnica gestita dai militari piemontesi ed ideologicamente organizzata da Cesare Lombroso, si riduceva in stato miserevole. Solo una mitigazione molto parziale proveniva dall'emigrazione.
Per dirla in altre parole c'erano tre scelte per chi abitava nel sud dopo la conquista dei Savoia:
- cercare di sopravvivere in condizioni che non lo consentivano
- morire combattendo
- emigrare.
Anche se gradualmente ci fu qualche uniformazione amministrativa (va ricordata almeno la legge Casati, che introdusse la scuola pubblica in tutto il regno), l'Italia rimase un paese diviso. Il sud, terra di conquista, perse molto della sua tradizione, ma non acquistò senso dello stato.
In seguito la mitologia fascista ebbe però qualche presa in tutta Italia con i suoi simbolismi, i richiami all’antica Roma imperiale, la sua voglia di apparire.
Ma il fascismo era anche una recita tragica e mal riuscita ed in particolare fu un errore il modo in cui fece entrare l’Italia nella Seconda Guerra mondiale. A un certo punto fu chiaro a quasi tutta la popolazione che la guerra era persa e lo show fascista stava terminando. Ma la caduta del fascismo si portava dietro la sudditanza agli USA.
Con gli accordi di Yalta l’Italia prendeva il ruolo di stato-cuscinetto, ruolo che avrebbe mantenuto per lungo tempo. Gli USA avevano ripreso concetto di stato-cuscinetto dall’Impero Romano. Gli stati cuscinetto stavano ai bordi dell’Impero e difendevano dagli imperi confinanti, godendo di una discreta autonomia rispetto al centro, purché non venisse messa in dubbio la sottomissione all’impero.[6] Diciamo che era una libertà presidiata.
In parallelo alla storia ufficiale si svolgono quindi le strategie per tenere divisi gli italiani.
Tali strategie (il "Divide et impera") nella versione USA si esplicano solitamente nell’organizzazione di guerre civili, esplicite o latenti.
Se guardiamo in prospettiva la storia recente italiana, il "Divide et impera" nel secondo dopoguerra si è basato in Italia sul pericolo comunista, contrapposto a seconda dei casi ad una destra eversiva o ad un Chiesa reazionaria.
Con la caduta della monarchia nel 1948 l'Italia gradualmente si riprese.
La caduta del Fascismo ebbe degli aspetti rivoluzionari: tutta una tipologia di classe politica servile (ruffiani e yes-men) fu messa da parte e rimpiazzata da una classe politica dotata di contenuti morali. La nuova classe dirigente si era temprata nel disastro ed ebbe la statura politica e morale di fare scelte coraggiose, nell’interesse comune della popolazione prima che nell’interesse della classe politica.
Dalla caduta del fascismo nacque la Costituzione repubblicana, che in qualche modo tentava di far tesoro dell'esperienza (e degli errori) del fascismo.
Da qui cominciava uno dei periodi migliori: partiva la ricostruzione del paese, si sviluppavano industrie nel nord e partivano poderose migrazioni interne dal sud verso il nord per alimentare di manodopera a basso costo le industrie del nord.[7]
Avvenne anche un fatto nuovo, la povertà del sud diventava un problema.
Al Nord era molto utile avere mano d'opera a basso prezzo proveniente dal Sud, ma ad un certo punto ci si rese conto che il sud sarebbe stato un paradiso per le industrie del nord se gli abitanti fossero stati dei bravi consumatori. In altre parole, si voleva una nazione di consumatori omogenea.
Disgraziatamente gli abitanti del sud non potevano spendere abbastanza per gli appetiti delle aziende del Nord. Questo era un problema. A questo problema fu trovato il nome di questione meridionale.
L’unità degli italiani
L'Italia era ancora composta di genti molto diverse, ma esse cominciavano a capirsi, grazie agli scambi migratori.
Negli anni '60 arrivò in tutta Italia la RAI (intesa come TV). E qui tutti cominciarono a capire l'italiano della RAI, a vedere Carosello, Lascia o raddoppia, Canzonissima, Sanremo e le partite della nazionale di calcio.
La RAI-TV cambiò la vita quotidiana delle persone e gradualmente assimilò al consumismo tutti gli italiani, fece sognare a tutti gli stessi simboli del cosiddetto benessere, li omologò sugli stessi miti e valori. In una decina di anni l'Italia diventava una nazione e l'unità d'Italia, quella sostanziale, del popolo che condivide sentimenti, emozioni, valori, era cosa fatta. Gli italiani si sentivano “a casa propria” più o meno da tutte le parti.
Gli eroi di questa unità, coloro che avevano fatto l'Italia e anche gli italiani, erano molti. Si chiamavano Claudio Villa, Raffaella Carrà, Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Gianni Morandi, e poi Burgnich, Facchetti, Zoff e tanti altri.[8] [9]
L'operazione della RAI aveva formato un diffuso sentire nazionale. Tutti gli italiani si sentivano fratelli, almeno in occasione dei mondiali di calcio.
Il paese era praticamente unificato, la RAI aveva fatto ciò che a Cavour non era riuscito (né gli interessava in realtà): creare un insieme di consumatori abbastanza omogeneo.
Nel frattempo il lavorio nascosto dell’Impero continuava. Il ’68 aveva sconvolto molti luoghi comuni. In quel periodo si erano creati degli strati sociali portatori di novità, che non da tutti erano visti favorevolmente.
L'economia italiana era cresciuta rapidamente ed il miglioramento del tenore di vita era percettibile. La mortalità infantile si era fortemente ridotta. La popolazione cresceva e all’interno di essa la classe media si era ampliata. L'analfabetismo era praticamente scomparso. Con circa un secolo di ritardo rispetto ai tempi ufficiali, l'Italia cominciava ad essere una nazione, con una lingua diffusamente parlata (o almeno capita) dalla Sicilia fino alle Alpi. La Rai TV era riuscita, oltre che a diffondere una lingua nazionale, a creare una certa attenzione verso i simboli nazionali, almeno in occasione di mondiali di calcio, olimpiadi e fenomeni analoghi.
In quegli anni si stava anche formando una crescita culturale, molto spesso egemonizzata dalla sinistra, con effetti ad essa favorevoli in occasione delle consultazioni elettorali.
La continua crescita del Partito Comunista Italiano sicuramente non era vista di buon occhio negli USA, che valutarono il passaggio a forme d'intervento più incisive, rispetto al precedente finanziamento della sinistra non comunista.[10]
Da qui nascevano gli opposti estremismi e la strategia della tensione.
Iniziava così il kolossal degli anni di piombo, quando interi settori della società si muovevano come gruppi ordinati di marionette pilotate dai burattinai.
Definirei quegli anni come gli anni del golpe, un colpo di stato progressivo con cui fu tolto agli italiani quel poco di sovranità che avevano. In un turbinoso spettacolo di massa, un sanguinoso kolossal recitato nelle strade e nei palazzi, si fece in modo che il potere restasse nelle mani di chi non aveva più titolo a detenere quel potere. Il risultato finale di un golpe al rallentatore durato dieci anni, fu che alla fine degli anni ‘70 chi stava al potere riuscì miracolosamente a mantenerlo.[11]
Non necessariamente un golpe deve essere rivoluzionario, anzi di solito è conservatore. Con tecniche analoghe a quelle di un prestigiatore si può dare la sensazione di un turbine di cambiamenti, mentre in realtà cambia ben poco, anzi il potere vero si rafforza.
Insomma, per la sinistra fu una sconfitta epocale, mentre la DC di Andreotti e Cossiga rimase in piedi.
La fase strategica della tensione “destra contro sinistra” durò per tutti gli anni '70. Negli anni ’80 però questa strategia era logora, non produceva più effetti.
Probabilmente era la fine degli anni '80 quando i padroni dell'Italia si resero conto che la strategia della tensione, il dividere gli italiani in destra e sinistra, sostenendo tutte e due le parti in modo che si combattessero come i capponi di Renzo, cominciava a fare acqua.
Il divide et impera aveva bisogno di nuove strade. Il tentativo di frammentare gli italiani su basi religiose non poteva funzionare, da millenni il papato unificava il popolo sotto la stessa religione.
L'altra strada era lavorare sulle etnie, ma l'Italia, da secoli paese di bastardi, era un tale miscuglio etnico che identificare razze era impossibile. Si poteva però lavorare sulla divisione nord-sud. Il paese era unificato da qualche decennio, l'operazione della RAI aveva formato un sentimento nazionale diffuso. Ma era qualcosa di recente. Si poteva disfare.
Nell’89 cadeva il Muro di Berlino e dalla caduta del comunismo e dalla frammentazione della Jugoslavia un’Italia unita, baluardo contro il comunismo, non era più necessaria. Il pericolo comunista ad est non c’era più. Adesso l’Impero USA si allargava ad est e l’Italia cuscinetto non serviva più.
L'avvio della dissoluzione dello stato italiano andava fatto a nord, dove c'erano già un certo numero di partitini razzisti e localisti che erano convinti di pagare troppe tasse verso il centro. Andavano aiutati.
Quando il più grosso di questi partiti andò in fallimento per una gestione economica alquanto traballante, arrivarono aiuti a pioggia, praticamente incondizionati. Anche se qualcuno fece capire che gli articoli di Libero contro gli USA dovevano smettere. E così fu.
Come ben spiegava Theodore Shackley nel suo "The third option" (La terza opzione), bisognava però avere due parti in conflitto tra di loro per mantenere il potere e fare business sul conflitto. Il contrasto del nord contro "Roma ladrona" non era sufficiente, bisognava prepararne uno più sostanzioso.
A questo scopo bisognava lavorare anche al sud, per spingere l'orgoglio meridionale contro l'arroganza del nord.
Furono acquisite un certo numero di piccole case editrici, le quali cominciarono a pubblicare libri di notevole qualità, ma sempre orientate a vedere il nemico nel nord e mai nelle banche, o nel mercato, o in paesi esteri.
E si arriva così ai giorni nostri.
Pian piano si è formata una "coscienza meridionale". E' costata molti soldi ma comincia a produrre effetti.
Siamo quasi pronti per la frammentazione dell'Italia, sullo stile di quanto già fatto in Jugoslavia. Senza nemmeno scomodare la religione.
***
Ma adesso bisogna fare i conti con la nostra storia, la storia d’Italia. In questi giorni, che dovrebbero celebrare i 150 anni di unità nazionale, si susseguono polemiche sulle origini di tale unità, tra i suoi sostenitori, che ne parlano come di un evento storico realizzato da grandi uomini, e tra i suoi detrattori, che evidenziano la ricchezza delle culture preesistenti all'unità e la pochezza dei cosiddetti "eroi". Nel loro complesso, i discorsi di una parte e dell'altra mi appaiono costituire una trappola, un meccanismo che spinge a scegliere una delle due parti ed a sostenere le sue ragioni, a schierarsi con una fazione invece che a ragionare.
Perché chi si schiera trascura un fatto sostanziale, che circa un secolo dopo le date ufficiali, oltre all'Italia (fittizia) furono fatti gli italiani, sui valori della Costituzione e su quelli del consumismo della RAI (mantenendo sempre sul fondo i valori cattolici, o forse più correttamente la loro variante democristiana). Chi volesse criticare l'Unità d'Italia da qui dovrebbe partire, e non dai vari Garibaldi, Mazzini, Cavour.
Si potrebbe discutere se uno stato nazionale basato su Pippo Baudo e Mike Bongiorno sia qualcosa di tutto sommato apprezzabile o qualcosa da distruggere ad ogni costo. Io sarei per la prima.
Per l'Italia dei Savoia ho più che altro che disprezzo, eppure tocca riconoscere che, anche grazie all’unità politica realizzata dai Savoia, alla fine l’unità della nazione era stata raggiunta.
Però, se insistiamo a discutere tra garibaldini ed antigaribaldini i conti con la nostra storia non li faremo mai e non diventeremo mai un popolo adulto.
Perché, oggi come ieri, qualcuno ha interesse a dividere gli italiani e li vuole frammentare per dominarli, anzi portarli al pascolo come un gregge di pecore. Oggi probabilmente è peggio, perché la finzione dello Stato italiano non serve più all’Impero.
Truman
Note
[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Schema_di_Propp
[2] Dalla voce “Risorgimento”
[3] Qui, come nel seguito, ci
sono analogie tra la spedizione dei Mille e la guerra degli USA contro l’Iraq
iniziata nel 2003. Il numero di soldati nella fase di repressione è molto
vicino.
[4] Fondamentale è di Zitara L'Unità
d'Italia: nascita di una colonia, 1971, Jaca Book
[5] http://it.wikipedia.org/wiki/Forte_di_Fenestrelle
[6] Su questo punto mi
segnalano “La grande Strategia dell'Impero Romano” di Luttwak, che però non ho
letto.
[8] Ricordare Henri Pirenne
per la sua analisi sociologica applicata alla storia (Maometto e Carlo Magno):
invece che papi ed imperatori ci sono classi sociali, commerci, monete, cibi
quotidiani. La data ufficiale dell’inizio del Medioevo o dell’unificazione
d’Italia può essere una convenzione opinabile, ma l’approccio sociale alla
storia fa scuola. I cambiamenti epocali nella vita delle persone sono ciò che
fa la loro storia, non i potenti seduti su un trono.
[9] Sul contrasto stridente
tra la storia ufficiale, la storia dei potenti, e la storia come vita
quotidiana delle persone c’è chiaramente anche “La Storia” di Elsa Morante con
il suo Useppe.
[10] Vedi Frances Stonor Saunders, La Guerra
Fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti, Fazi, Roma,
2004
[11] La chiave di lettura
degli anni di piombo è il sequestro Dozier. Qui si vede che le Brigate Rosse
erano effettivamente un’organizzazione militare capace di azioni clamorose, ma
che tali azioni venivano rapidamente neutralizzate quando non erano funzionali
al potere e le coperture all’interno di servizi segreti ed istituzioni
saltavano.
venerdì 19 novembre 2010
Il presidente kebab
domenica 17 ottobre 2010
Il popolo senza partito

Alcune note sulla manifestazione FIOM-CGIL del 16-10-2010
Ancora una manifestazione sindacale a Roma. Vado a dare un’occhiata, senza aspettarmi grandi cose, per cercare di capire come prosegue il disastro Italia.
La grande macchina organizzativa che fu del PCI si è mossa ed ha portato in piazza ancora una volta una folla imponente. Qualche elemento di novità c’è sicuramente.
I partiti sono praticamente assenti, a meno di considerare partiti le decine di gruppuscoli differenti che si autodefiniscono “comunisti” con le sigle più disparate. Predomina il rosso, anche se a volte appaiono colori diversi.
Ascolto l’Internazionale, suonata da una banda di settuagenari, ma a volte si sente anche “bandiera rossa” o canzoni partigiane. Intravedo una rivista intitolata “Spartacus”, in mezzo a tante altre rivistine, distribuite da tanti gruppuscoli che sentono l’esigenza di emergere, ma anche di fare massa e fermare il degrado.
Facce tristi e stanche, un po’ da naufraghi.
Eppure la manifestazione è una fusione riuscita di molte anime. Ci sono i giovani che non troveranno mai un lavoro decente, ci sono gli anziani cassintegrati, in mobilità o licenziati. Ci sono quantità abbondanti di immigrati che si sforzano di sopravvivere nel nostro paese inospitale. Tutte le regioni sono rappresentate e portano testimonianza del disagio sociale diffuso, della voglia di riscatto da tante umiliazioni. E’ una miscela potenzialmente esplosiva.
Ma invano cercheranno un partito che li rappresenti. Sono un popolo senza partito.
***
Mi guardo intorno e noto poca polizia. I negozi sono aperti. Manifestazione tranquilla, anche perché dotata di un servizio d’ordine efficiente. La notizia nei telegiornali sarà proprio questa “si è svolta senza incidenti la manifestazione della Fiom-Cgil”. Ci ripenso e non mi piace.
Si muove il popolo dei metalmeccanici, inferociti da aggressioni inaudite ai diritti, al vivere civile, alla Costituzione, e non mettono paura a nessuno.
E mi rendo conto che la risposta di Epifani a Maroni, che paventava infiltrazioni di estremisti e sobillatori, è stata totalmente sbagliata. Invece di invitare il ministro ad individuare gli estremisti, bisognava rispondere “Qui ci sono milioni di metalmeccanici che non riescono più a sopravvivere e tu ti preoccupi di pochi infiltrati? Non è di infiltrati esterni che devi avere paura, ma di noi!”
***
Il sindacato virtualizza lo scontro di classe, sostituendo la lotta sindacale al conflitto reale tra classi diverse. La virtualizzazione dei conflitti porta vantaggi ad ambedue le parti in causa, almeno inizialmente. Nel caso si riuscisse a cancellare il conflitto virtuale riemergerebbe il conflitto reale.
Oggi la CGIL ancora trattiene energie disponibili per il conflitto reale, immobilizzandole nella recita sindacale. Essa, più di CISL e UIL, tiene chiuso il vaso di Pandora.
E’ cosciente la Cgil di ciò? Ha intenzione di continuare così?
E, indipendentemente dalle volontà della CGIL, se anch’essa venisse neutralizzata, come già fatto con CISL e UIL, quanto ci vorrà prima che la tensione sociale esploda incontrollabile?
lunedì 13 settembre 2010
Letterature fantastiche
Tutti i giorni i giornali riportano la scoperta del gene responsabile di qualche malattia, ad esempio Sla associata a una variazione genetica sul Corriere della Sera del 12 settembre.
***
L'odierna genetica è una branca della letteratura fantastica asservita alla propaganda per la vendita di servizi medici (analisi di laboratorio, screening, medicinali, vaccini, ...). Chiaramente nel loro complesso tali servizi medici sono dannosi alla salute della popolazione oltre che al suo portafogli.
Non è difficile vedere ad occhio nudo che c'è un rapido cambiamento delle malattie di cui soffriamo, in durate temporali che non sono compatibili con cambiamenti genetici della popolazione. Un esempio lampante potrebbe essere l'esplosione dei casi di allergie ed intolleranze alimentari.
Se le malattie cambiano mentre il contesto genetico resta invariato, allora è l'ambiente che provoca le malattie (o almeno la stragrande maggioranza delle malattie), non il patrimonio genetico. Ma le ricerche epidemiologiche sulla correlazione tra ambiente e malattie sono oggi praticamente proibite.
Per un ricercatore in campo medico il proporre indagini epidemiologiche è un suicidio professionale.
Prosperano invece le "ricerche" che attribuiscono le malattie alle nostre tare genetiche.
Tutti noi nasciamo con un difetto originario, trasmesso a noi dai nostri genitori, e per tutta la vita dovremo faticare per compensare questo difetto, per curare il nostro corpo, per supplire a questa nostra carenza.
Insomma è la riedizione del peccato originale della Chiesa cattolica, riadattato per l'odierna religione medico - commerciale.
Per chi ci crede è un dovere obbedire ai suoi precetti.
Per chi non ci crede è letteratura fantastica.
***
L'odierna genetica è una branca della letteratura fantastica asservita alla propaganda per la vendita di servizi medici (analisi di laboratorio, screening, medicinali, vaccini, ...). Chiaramente nel loro complesso tali servizi medici sono dannosi alla salute della popolazione oltre che al suo portafogli.
Non è difficile vedere ad occhio nudo che c'è un rapido cambiamento delle malattie di cui soffriamo, in durate temporali che non sono compatibili con cambiamenti genetici della popolazione. Un esempio lampante potrebbe essere l'esplosione dei casi di allergie ed intolleranze alimentari.
Se le malattie cambiano mentre il contesto genetico resta invariato, allora è l'ambiente che provoca le malattie (o almeno la stragrande maggioranza delle malattie), non il patrimonio genetico. Ma le ricerche epidemiologiche sulla correlazione tra ambiente e malattie sono oggi praticamente proibite.
Per un ricercatore in campo medico il proporre indagini epidemiologiche è un suicidio professionale.
Prosperano invece le "ricerche" che attribuiscono le malattie alle nostre tare genetiche.
Tutti noi nasciamo con un difetto originario, trasmesso a noi dai nostri genitori, e per tutta la vita dovremo faticare per compensare questo difetto, per curare il nostro corpo, per supplire a questa nostra carenza.
Insomma è la riedizione del peccato originale della Chiesa cattolica, riadattato per l'odierna religione medico - commerciale.
Per chi ci crede è un dovere obbedire ai suoi precetti.
Per chi non ci crede è letteratura fantastica.
giovedì 9 settembre 2010
La voce della piazza

Per la piazza vale grosso modo ciò che dicevano Lovink e Rossiter riguardo ai blog: essa agisce spesso come cassa di risonanza, come amplificatore per i temi imposti da altre fonti (gli "old media", i mass media unidirezionali gestiti dai potenti).
Però qualche considerazione aggiuntiva si può fare.
- La piazza è un mezzo di comunicazione, orientato al locale più che al globale.
- Anche per la piazza potrebbe funzionare il meccanismo per cui il tema di discussione (la cosiddetta agenda nel gergo dei media) è imposto dall'alto, ma la conclusione la trova la piazza, e tale conclusione può essere opposta a quella desiderata dal potere.
- Comunque la piazza tende a privilegiare il locale sul globale, seguendo il motto strategico dei no-global.
C'è stato un capovolgimento, o almeno un forte cambiamento, nel rapporto tra il potere e la piazza, anche in conseguenza del "progresso" tecnologico.
Una volta, (ai tempi del Fascismo di Mussolini) si andava tutti in piazza con la camicia nera, per eseguire i riti del potere (1).
Ma le tecniche basate sul controllo fisico delle persone erano poco efficienti. La tecnica di oggi consente di pilotare gli individui (tramite i mass-media) anche quando sono chiusi in casa, anzi tali tecniche funzionano meglio sugli individui isolati.
Di conseguenza, con l'avvento della TV è diventato conveniente (per il potere) avere individui chiusi in casa a farsi candeggiare il cervello dalla TV, o anche consumatori sperduti in enormi centri commerciali, che vagano alla ricerca del prezzo più conveniente per l'ultimo gadget tecnologico.
Il potere non ama più le piazze, che diventano pericolose per la loro capacità di raccogliere persone oziose (cioè padrone del proprio tempo) che confrontano reciprocamente esperienze ed idee.
Truman
Note:
(1) Oggi i rituali di massa si svolgono in ambienti open air, ma recintati, tipicamente stadi, dove si assiste alla partita o al concerto. (Ad es. Duisburg a fine luglio 2010). Essi sono una nuova forma degli Asylums di Goffman. Il potere sembra avere difficoltà a controllare le masse nei luoghi aperti.
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