lunedì 22 ottobre 2007

Alcune idee programmatiche per la sinistra

3 novembre 2004

E’ un periodo in cui nella sinistra e nel centro sinistra si parla di programmi. Qualche idea circola, ma personalmente sono alquanto deluso.

Ho la sensazione che la preoccupazione principale sia quella di mediare interessi, piuttosto che quella di costruire il futuro. In altre parole, vedo il tentativo di costruire un’alleanza alla Brancaleone più che un progetto politico.

Dato che in realtà di problemi politici nel momento attuale ce ne sono anche troppi, e che sento una certa urgenza di avere un progetto politico che possa realmente incidere sulla realtà, provo a proporre qualche idea su come si potrebbe orientare la sinistra oggi.

Alla base di tutto per me deve stare l’etica, intesa come una scienza applicata, non come un vago aspetto formale (o come una mano di vernice su un riformismo un po’ nauseabondo). “L’etica non è una disciplina priva di interesse pratico”, diceva Savater in “Etica per un figlio” e oggi questa frase mi suona come un ammonimento.

L’etica è già codificata in molte leggi fondamentali, come la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, e anche nella nostra Costituzione.

Occorre tornare a tali leggi e fare in modo che siano effettivamente interiorizzate ed applicate (non sepolte da cavilli e regolamenti di attuazione vari).

Ma etica è anche tornare alla verità, chiamare le cose con il loro nome, vivere senza menzogna.

Dimenticando l’etica o si ritorna alle ideologie, oppure tutte le idee politiche tendono ad apparire equivalenti. ( La dialettica politica ed il pensiero unico)

L’etica è qualcosa che porta ricchezza, quando ci si rende conto che il modello competitivo, spinto all’estremo, porta a una specie di “mors tua, vita mea” in cui non resta alcuna forma di solidarietà.

Bisogna tornare alla teoria dei giochi “a somma non-zero”, dove tutti possono vincere, purché imparino a cooperare. Perché la politica è un gioco a somma non zero. (Un successo travolgente)

Rossana Rossanda ci tiene ad aggiungere l’aggettivo “laica” all’etica. Mi lascia perplesso: più volte sono state le religioni a riportare l’etica in primo piano. Teniamone conto: lo Stato deve essere laico, ma non necessariamente l’etica.

Dopo l’etica deve venire l’immaginario (ma forse dovrebbe venire al primo posto): i sogni, le angosce, le speranze, le passioni, il mito. Bisogna decolonizzare l’immaginario dai miti del consumo, della bellezza, della fama, insomma dai miti basati sul denaro.

E bisogna ritornare al rapporto con gli altri, con la famiglia, la comunità, l’ambiente di lavoro. Non serve un immaginario globalizzato, ma un immaginario tribale. In questo senso è potente l’uso internet, che consente di costruire legami tribali anche dove c’è distanza geografica.

E nel rapporto con gli altri bisogna recuperare la lentezza, i ritmi umani. Ripristinare il rapporto con le persone al posto del rapporto con il denaro.

Ridare valore alla storia, uscendo fuori dalla gabbia di un presente atemporale. (La gabbia del presente)

Poi serve accettare il fatto che in un periodo di cambiamenti la sinistra possa essere conservatrice. (Rivoluzionari e conservatori.)

Oggi i rivoluzionari sono di destra, vogliono cambiare tutto, anche le leggi fondamentali, anche la Costituzione. Teniamocela stretta la Costituzione, perché è una delle nostre più grandi ricchezze. Nata dopo l’avventura fallimentare del Fascismo ed una sanguinosa guerra civile, essa contiene troppi ammonimenti che stiamo trascurando (“L’Italia RIPUDIA la guerra” - come si fa a dirlo più forte di così?)

E bisogna anche tornare alla lunga tradizione della sinistra, recuperare il lavoro come valore, lo studio e l’impegno continuo in cooperazione con gli altri. I grandi risultati che si possono avere lavorando collettivamente su un impegno condiviso.

La sinistra che cura le differenze deve invece ritornare sul vecchio concetto degli stati nazionali, un valore che storicamente era di destra.
La sinistra oggi deve aver cura anche dei sentimenti nazionali, almeno finché serviranno a mantenere le culture, le tradizioni, le lingue, i miti locali. Lo stato nazionale non può soccombere ai poteri economici / commerciali, che gradiscono dei consumatori globalizzati.

La diversità è una ricchezza (almeno per la sinistra), non dimentichiamolo. Un buon esempio di recupero è presente in questi giorni per quanto riguarda i cibi locali preparati nella maniera tradizionale. Cerchiamo di ampliare il campo.

D’altro canto la diluizione degli stati nazionali nell’Europa può essere molto utile per avere una massa d’urto in grado di opporsi ai grandi monopoli commerciali. Ma qui il discorso si complica e servirebbe un discorso a parte.

E bisogna considerare anche il copyright: noi siamo dei nani sulle spalle di giganti, perché ci reggiamo sulla nostra eredità culturale, accumulata nei secoli. I grandi monopolisti stanno cercando di chiudere questo patrimonio culturale in una cassaforte, per fornire delle briciole solo a chi può pagare.
Una vera forza di sinistra non può tollerare che la cultura sia riservata ai ricchi. Le leggi sul diritto d’autore vanno attenuate. La loro validità del tempo va ridotta quanto più possibile. Assurdo tassare il prestito in biblioteca.

Va fatto un cenno sulla politica energetica: noi dipendiamo per la stragrande maggioranza della produzione di energia dall’estero, in particolare dal petrolio. Vanno intraprese iniziative in tutti i campi per ridurre questa dipendenza, anche dove i costi oggi appaiono eccessivi.

Va agevolato quanto più possibile il risparmio energetico e l’autoproduzione, va spinto il solare nelle sue varie forme. Potrebbe essere addirittura il caso di riconsiderare il nucleare.

In una politica di sinistra l’economia dovrebbe dipendere da tutto ciò che sta sopra ed avrebbe significato solo in quanto mette in pratica un progetto politico.

L’unico aspetto economico che, per quanto mi riguarda, vale la pena di citare, è la possibilità di diffondere l’uso della Banca del tempo, cioè lo scambio alla pari di ore lavorative tra persone. Che poi sarebbe in qualche modo un ritorno al baratto, un’antica pratica ingiustamente dimenticata.

Non di un altro modello di sviluppo abbiamo bisogno, ma di un altro modello di vita.

Truman Burbank

venerdì 19 ottobre 2007

Enciclopedie


Alcune riflessioni sulle enciclopedie e sul potere. La vera rivoluzione francese fu l'enciclopedia di Diderot e d'Alembert e la sua erede di oggi è Wikipedia.

Spesso si tende a confondere gli eventi con le cause scatenanti. La rivoluzione francese nacque quando ormai un conflitto tra strati di popolazione si era instaurato senza che il vecchio potere si rendesse conto di quanto fosse grande il suo scollamento dalla realtà: tale rivoluzione è solo un evento catastrofico che segna il passaggio dei poteri. Se una nuova classe sociale prendeva il potere (la borghesia, secondo alcuni) ciò era dovuto ad una precedente presa di possesso nel campo culturale. Questa rivoluzione culturale, che va sotto il nome di Illuminismo, aveva ricevuto un forte stimolo dall'Enciclopedia.




L'Enciclopedia (Encyclopédie) di Diderot e d'Alembert uscì in volumi lentamente, tra il 1751 e il 1772, tra molte critiche e qualche scandalo.

Il nome completo era Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri). Parteciparono, tra gli altri, Helvétius, Montesquieu, Quesnay, Rousseau, Voltaire. Gli ultimi volumi furono pubblicati praticamente di nascosto, perché molti avevano capito che una diffusione delle conoscenze avrebbe ridotto il loro potere. Loro capivano bene come il potere discenda dal sapere, un fatto che oggi troppo spesso tendiamo a dimenticare (rimbambiti dagli spettacoli televisivi, molti cominciano a credere che il potere stia nel denaro).



La cultura diventava di tutti e non più di pochi eletti. E poteva essere incrementata e tramandata.

Inoltre l'enciclopedia tendeva a criticare i fanatismi religiosi e politici e propugnava la razionalità e la libertà di pensiero.
Ancor più importante, la raccolta e la lettura di molti fatti, di per sé apparentemente innocui, consentiva, tramite una serie di rimandi incrociati, un'interpretazione della storia e della realtà che contrastava con quella dei poteri dominanti.

L'enciclopedia dava quindi nozioni che consentivano a persone che in precedenza stavano fuori dai flussi del potere di acquisire allo stesso tempo padronanza di tecniche ed interpretazione storica della realtà.

Oggi, il colossale progetto Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale) sta decollando ed appare come uno dei progetti più rivoluzionari degli ultimi anni, perché tende a riportare il sapere alla portata di tutti, levandolo a chi vorrebbe far commercio del maggior patrimonio dell'umanità.

In questi tempi bui, abituati all'apparente disponibilità del sapere, istupiditi da un eccesso di messaggi che paiono essere informazione, faremmo bene a tornare al concetto di enciclopedia e lavorare per il mantenimento e la diffusione del sapere. Come gli antichi monaci medievali, ma su una scala ben più grande.

E come per gli antichi monaci, l'importante non è preservare la proprietà intellettuale (il copyright) ma il sapere dell'Umanità (ed in definiva l'Umanità stessa).

Molti oggi si domandano cosa fare per cambiare il continuo degrado della società attuale, l'ossessione per il dio denaro, la progressiva distruzione della terra. Più che prendere il fucile, è oggi meglio armarsi della propria cultura e diventare enciclopedisti.

Le migliori rivoluzioni sono quelle silenziose.


Note dell'autore:

1. Questa visione di wikipedia non è assolutamente ufficiale all'interno dei wikipediani e sicuramente contrasta in alcuni punti significativi. Vale la pena di ricordare che i wikipediani fanno solitamente riferimento all'ottimo Douglas Adams della "Guida galattica per autostoppisti" invece che a Diderot e D'Alembert.



2. Tra gli altri progetti colossali oggi in opera su internet, mi piace ricordare anche il web archive (una borgesiana biblioteca di Babele del web) ed il progetto Gutemberg.

IL GOLEM E IL LEVIATANO


5/10/2004
Alcune note comparative sulle politiche dell’Europa e degli USA:
che fine ha fatto il contratto sociale?


di Truman Burbank

Trovo molti dibattiti sulle caratteristiche intrinseche della
politica USA e molte chiacchiere sulla nascente Europa. Solitamente
questi discorsi vengono fatti sulla falsariga di un discorso
convenzionale, variazioni su temi triti e ritriti, senza tentare di
risalire alle origini. E le origini vanno ritrovate nelle due diverse concezioni dello stato.

Non mi risulta ancora puntualizzato il fatto che il sistema politico
USA tende spesso a comportarsi in modo religioso, come un integralismo dove il dollaro (e quindi l’economia) è il dio idolatrato, che guida anche la politica. La forza espansiva dell’impero è sì dovuta ad una tendenza insita nella costituzione materiale degli Stati uniti, ma anche a questo aspetto religioso. Al di là delle apparenze, negli USA non c’è altro dio al fuori del Dollaro e tale dio governa anche lo stato.

Ogni volta che gli USA attaccano militarmente uno stato sovrano, o
si intromettono pesantemente nella sua politica interna, tirano fuori il discorso della libertà. ( A volte la scusa viene usata a
posteriori: “Non abbiamo trovato le armi di distruzione di massa in
Iraq, ma stiamo portando la libertà”).

Ma la libertà non è una parola singolare, le libertà si esprimono al plurale e spesso contrastano una con l’altra, ma soprattutto contrastano nel rapporto tra gli individui, perché la libertà di uno è facilmente vista come un sopruso da parte di chi subisce gli effetti di tale libertà.
(Ma forse non è la libertà delle persone che interessa i governanti).

Questi sulla libertà non sono discorsi nuovi, furono analizzati con cura da Hobbes nel Leviatano (1651) e in seguito da
Rousseau. In particolare Rousseau nel suo “Contratto Sociale” (1762), sosteneva che gli individui avessero bisogno di rinunciare ad una parte delle loro libertà per vivere in società, con vantaggio
di tutti. Un contratto non scritto, ma reale.

In realtà il contratto sociale esisteva in qualche modo
già in Hobbes, ma era solo una necessità per impedire
agli uomini di sbranarsi tra di loro come lupi.

In Rousseau il contratto è invece un accordo etico tra uomini
liberi, che decidono di cedere libertà per vivere meglio.

Ambedue le posizioni sono in qualche modo un’astrazione, ma
esprimono due punti di vista diversi sull’origine dello stato.

Oggi Rousseau sembra dimenticato. I toni primordiali della politica
USA arrivano al massimo a Hobbes ed al suo Leviatano, il mostro biblico che diventa stato.


“Secondo Hobbes, si pone fine alla guerra di tutti contro tutti
solamente assoggettando la volontà dispersa dei molti in
un'unica volontà sovrana ed assoluta. (Lo stato diventa il
Leviatano, il mostro biblico, un Dio mortale appena al di sotto del Dio immortale).”
(da href="http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Hobbes.html">forma-mentis.net)

Chi vuole la libertà assoluta non può avere rispetto di nessuno. A meno che non trovi una forza paragonabile alla sua, in grado di opporsi efficacemente.

Nel frattempo si sta formando l’Europa. Un’Europa di cui ci hanno
raccontato tante cose belle, ma che sostanzialmente è stata
fatta trascurando i cittadini. Un’Europa dove i capitali si muovono in modo estremamente veloce, mentre le popolazioni hanno molti vincoli legali nei loro movimenti. Ancor maggiori sono i vincoli pratici, perché chi non ha denaro non ha possibilità di muoversi
(mi torna in mente la recente idea del ministro Lunardi di tassare le strade statali).

Abbiamo fatto un’Europa dei banchieri e dei grandi gruppi economici,
non di popoli. Le recenti tendenze della Costituzione Europea
proseguono nello stesso senso. Libertà alle aziende e costi ai
privati (ricordare le continue privatizzazioni).

Vale la pena di dare un’occhiata all’articolo href="http://www.nuovimondimedia.it/print.php?sid=416">L’agenda
segreta dell’Europa

"In questo sistema unico di governo mondiale, basato sulle sole
regole della concorrenza commerciale, l’Unione europea (UE) sta avendo un ruolo molto aggressivo, di motore della liberalizzazione dei servizi.

....

E’ anche necessario non lasciarsi fuorviare dal doppio linguaggio della Commissione europea, questa sorta di governo non eletto, né
controllato, che agisce essenzialmente al servizio delle lobbies
affaristiche.

...

Alla fine, a ben vedere, nessuno Stato avrà più il diritto di mettere in opera delle politiche specifiche che tengano
conto delle particolarità, dei bisogni, delle priorità
nazionali, o che esprimano una modalità peculiare di condividere
valori comuni. Scelte economiche o fiscali, priorità sanitarie,
sociali, ambientali o etiche, saranno equiparate a degli
«ostacoli al commercio»."

In definitiva, l’Europa potrebbe diventare un altro mostro, teso solo ad arricchire le lobbies.

Un mostro costruito, senza un progetto politico esplicito e coerente, in base alle spinte (a volte contrastanti) dei gruppi di potere europei e cercando di superare le ostilità degli USA, che hanno tentato (e ancora tentano) più volte di intralciare la costruzione europea. Insomma una specie di Golem.

Ma siamo sicuri che il mostro europeo si comporterà come speravano gli ideatori?

La costruzione europea basata sulla moneta è piena di
assurdità. L’Europa è nata per favorire i grandi
interessi economici contro i popoli, in particolare contro i popoli
extraeuropei, ma anche contro i popoli europei.

E’ una forma di imperialismo economico del tipo più bieco. E la
cosa più preoccupante è che quasi nessuno lo dice. Si
preferisce parlare dei vantaggi della concorrenza e del libero mercato, della superiore efficienza del privato rispetto al pubblico, delle grandiose sorti progressive dell’euro (moneta).

Il rischio che, continuando a raccontare balle sull’Europa, si perdano di vista i motivi dell’unione, sostanzialmente legati ai poteri forti economici, può essere significativo.

In una situazione di falsificazioni costanti si potrebbe un giorno
arrivare ad un flop (un collasso tipo quello dell’URSS) senza
preavviso. Sempre ricordando che gli USA sono ferocemente ostili a ogni impero europeo e lavorano di conseguenza. (Le spinte per l’ingresso della Turchia in Europa sono in questo senso).

Oggi l’Europa è già la prima economia mondiale, per
quanto non supportata da forze armate adeguate a tale potere economico.
Qui sta la sua forza e la sua debolezza. Un rifiuto della guerra come mezzo di conquista potrebbe riportare a dare valore alla cultura, ai popoli ed alla politica contro l’integralismo economico. Un forte potenziamento delle forze armate potrebbe portare ad un impero analogo a quello degli USA (ma gli USA non lo consentiranno, lo scontro è garantito).

In tutti e due i casi l’Europa si propone in qualche modo come
controparte degli USA e tende a riportare il bipolarismo nel mondo.
Perché se c’è un concorrente del Dollaro, è l’Euro.

Vale la pena di notare che, per motivi che mi sono ignoti, l’Europa ha fatto una scelta economica di tipo non Keynesiano, nel momento in cui ha deciso che la solidità della moneta era prioritaria rispetto allo sviluppo economico. In questo si differenzia fortemente, ancora una volta, dall’impero USA (assimilabile in questo senso alla Cina).

La destra attacca questa scelta non Keynesiana, che sicuramente toglie libertà ai singoli stati (non si può più giocare
sul deficit di bilancio), ma potrebbe essere il motivo per cui
l’integrazione europea sta andando avanti. La stabilità della
moneta avvantaggia principalmente i ceti deboli. Qui sicuramente
c’è la lezione della Germania del secondo dopoguerra che, dopo
aver conosciuto tassi d’inflazione mostruosi, decise di puntare sulla solidità della moneta ed ottenne ottimi risultati di lungo
periodo.

Su questi temi bisognerebbe discutere con onestà, per capire
come è nata e come si sta sviluppando l’Europa ed evitare che
altrimenti un Golem europeo creato senza un progetto chiaro cominci a muoversi all’impazzata, distruggendo tutto quello che incontra.

Mai dimenticando che nelle vicinanze c’è già il Leviatano americano, che appare essere ben più cosciente e coerente.

Una nota finale: l’unione, per ora sostanzialmente monetaria,
dell’Europa, mantiene le diversità tra i popoli, la ricchezza
culturale e le tradizioni. Qui l’assenza di progetto mi sembra dia
risultati utili.

Truman Burbank

Il ritorno del pensiero magico

11 ottobre 2004
di Truman Burbank

La presenza del pensiero magico in modo predominante nella vita mentale infantile e la sua persistenza in età adulta è giustificata da tre principali funzioni, parzialmente sovrapponibili (Bonino S., 1994):

FUNZIONI DEL PENSIERO MAGICO

Funzione difensiva, fondata sulla convinzione, che tale pensiero alimenta, di poter controllare la realtà; tale funzione è fondamentale in età evolutiva per affrontare situazioni che provocano angoscia o insicurezza. Essa è anche la ragione per cui in situazioni problematiche alcuni adulti regrediscono, facendo ricorso a questa forma di pensiero pur di non accettare ed affrontare la realtà.

Funzione propiziatoria, fondata sulla convinzione che ci siano forze che regolano gli eventi, che viene assolta in tutte quelle condizioni in cui si agisce in considerazione di tali potenze.

Funzione conoscitiva, per cui il pensiero magico riempie i vuoti delle altre forme di pensiero e rivela ciò che non può essere conosciuto secondo la logica.

Giorni di angoscia, quelli attuali, angoscia di non poter più vedere il futuro.

Le ideologie sono cadute, ma, contrariamente ai proclami di alcuni guru (forse un po’ interessati nelle loro deduzioni), la storia non è finita, anzi avanza furiosa in una direzione non ben individuabile.

Quando il futuro diventa oscuro, il pensiero magico avanza, e la forma che prende è sempre quella più adeguata ai tempi. Se nell’antica Grecia si vedevano mostri e demoni, dei e semidei, e nel Medioevo apparivano madonne, oggi il pensiero magico deve prendere una forma adeguata al nuovo immaginario collettivo.

Non parlo del pensiero magico che si manifesta in casi isolati, parlo del nuovo pensiero magico come si manifesta diffusamente.

Due sono i temi preponderanti nel nuovo immaginario: l’immagine televisiva ed il dio denaro. Non è sorprendente che il nuovo pensiero magico faccia riferimento ad essi, visto che permeano la vita quotidiana con i loro simbolismi.

In passato, per sopravvivere alla durezza del vivere quotidiano, si faceva riferimento ad ideologie di varia provenienza: molti basavano la loro vita sulla solidarietà (di origini cristiane o comuniste), per altri era il duro lavoro continuato e l’impegno costante a fornire risultati, per altri ancora lo studio era uno strumento di elevazione sociale. I cinici si basavano sulla cruda analisi della realtà per controllare il futuro. Nessuno di questi oggi si sente rassicurato.

E il pensiero magico lo ritroviamo nei botteghini del totocalcio, con l’aspirazione di una grande vincita che dia un risoluto colpo in avanti alla propria vita, ma ancor di più lo ritroviamo in quelle trasmissioni TV dove i concorrenti tirano ad indovinare per aprire una scatola o l’altra, sudando mentre i familiari li guardano, con la speranza di risolvere la propria vita nell’atto di aprire una scatola.
E le trasmissioni hanno un successo sorprendente, diventano un modello di vita. Appena qualcuno ha problemi economici gli amici, i familiari, gli dicono “Devi andare in TV, devi partecipare a quella trasmissione, se vinci abbiamo risolto”.

Commento di un amico:
“Trovare la felicità in un oggetto vuoto, ha qualche remota e degradata somiglianza con le medievali ‘quest’ del Graal.
Solo che il possesso dell’ oggetto non fornisce alcuna elevazione o alcun nutrimento spirituale, ma semplicemente beni tangibili.”

giovedì 18 ottobre 2007

Un successo travolgente



06 Settembre 2004

I recenti avvenimenti in Ossezia evidenziano il completo successo di un modello di pensiero neo-liberista che annovera tra i suoi esponenti G. W. Bush negli USA, Putin in Russia e Sharon in Israele.

“Il tenore di vita degli USA non è negoziabile” afferma Bush.


“La sicurezza dei cittadini israeliani è molto più importante di risibili concetti di diritto internazionale” dice più o meno Sharon.


Quanto a Putin, nemmeno parla tanto, si limita a far parlare le armi in Cecenia.

In Italia, i migliori rappresentanti di questo pensiero sono alcuni esponenti della Lega Nord, che invitano a cannonneggiare i barconi dei disperati quando cercano di approdare in Italia o affermano che ai bingo bongo facciamo già il favore di dargli lavoro, ma non devono pretendere di avere pure dei diritti.

Il concetto di fondo è che la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo è carta straccia (“Sono solo fregnacce” si direbbe a Roma) e che i paria della terra non devono pretendere di voler raggiungere il tenore di vita occidentale, nè hanno diritto a un sistema giuridico-legale che li protegga.

Il concetto è stato accettato in pieno: i dannati della terra hanno perfettamente assimilato il fatto che le leggi democratiche valgono per i ricchi occidentali, ma non per gli iracheni, o per i palestinesi, o per i ceceni (e molti altri). Loro sono una razza a parte.
“I reietti della terra non fanno parte dell’Umanità”, o almeno di quello che in “Occidente” viene considerato Umanità: questo è il concetto recepito.

Ma in tale caso i ricchi, i padroni, gli oppressori, sono una razza a parte, anzi un’altra specie.

Allora è consentito che un madre uccida senza scrupolo decine di bambini, tanto sono di un’altra razza.


Quante volte noi uccidiamo dei maiali senza preoccuparci più di tanto? Per loro forse noi siamo peggio dei maiali. Almeno i maiali non ci avevano fatto alcun danno. Noi consumiamo tutte le risorse del globo ed a loro non vogliamo lasciare niente.

Chi ha lungamente pianificato uno scontro di civiltà tra il nord ed il sud del mondo forse non aveva realizzato bene che si sarebbe trattato di uno scontro tra due barbarie, non tra due civiltà.

Dopo la caduta dell’ideologia comunista si è propagato un modello di sviluppo liberista dove chi può (il più forte o il più furbo) prende tutto quello che vuole ed agli altri, se va bene, restano solo le briciole. Questo modello sta funzionando alla perfezione, con lievi effetti collaterali in Ossezia, in Iraq o in Palestina.

Se tali effetti collaterali non piacciono, bisogna invece ritornare all’etica, che è un potente strumento per la politica (“L’etica non è una disciplina priva di interesse pratico” ammoniva Savater in “Etica per un figlio”).

Bisognerebbe tornare a concetti di solidarietà e di uguaglianza, non solo perchè è moralmente giusto, ma perchè potrebbe essere l’unica via di sopravvivenza per il pianeta ed i suoi abitanti.

In quest’ottica sono molto interessanti come modello i giochi a somma non-zero. Mentre buona parte dei giochi sono a somma zero, cioè quello che perde una parte viene vinto dall’altra, i giochi a somma non zero possono consentire a tutti i giocatori di vincere.

I giochi tradizionali sono basati su un modello competitivo, dove ogni parte in gioco cerca di combattere l’altra.


I giochi a somma non-zero sono basati su un modello cooperativo, dove vince chi riesce a collaborare in modo costruttivo con gli altri.

Sono vecchie teorie, che molti vorrebbero dimenticare, ma hanno invece una grande applicabilità pratica.

Che la realtà politica sia un gioco a somma non zero lo hanno dimostrato infine, nel modo peggiore, i guerriglieri ceceni in Ossezia: quando una parte ha perso tutto, può fare in modo che tutti perdano.

Truman Burbank

Gestire il caos

1 settembre 2004
di Truman Burbank

Qualche risposta a Bifo ed ai rikombinanti.

Gli eventi del pianeta appaiono sempre meno governabili, e il miglior modo per definirli sembra la paroletta: caos.

Ma non è necessario controllare il mare in tempesta, è sufficiente condurre la nave in porto sicuro.


Gestire il caos (qualche risposta a Bifo Berardi)
Parto da Il non sapere giudica il sapere dove Bifo, una tra le menti più lucide di Rekombinant, espone parecchie idee interessanti, tra cui l'aumentata complessità della realtà politica.

"Perché la legge governi effettivamente occorre che la mente collettiva conosca ed elabori la complessità del reale con una velocità che le consenta efficacia. Data l'accelerazione degli scambi informativi che le tecnologie digitali hanno indotto, la legge non possiede gli strumenti conoscitivi per elaborare, giudicare, normare gli scambi informativi, i processi di produzione.

La società si muove ad una velocità che la ragione normativa non può raggiungere, e la complessità sociale diviene ingovernabile per la ragione normativa e per l'azione della legge. La complessità, in fondo, può essere definita in termini di velocità: è il rapporto tra velocità del reale e velocità della ragione operante. (…) Il potere non ha più alcuna pretesa di governare, si limita ad esercitare il potere, ad impadronirsi delle risorse, ad eliminare quello che della società non si sottomette."


Fin qui tutto bene, l'aumentata complessità é effettivamente percettibile, come pure la difficoltà di governare questa complessità. Ma Bifo approfondisce il discorso in Il sapiente, il mercante, il guerriero

"All'origine del collasso immaginario c'è l'inconscia percezione di uno scarto incolmabile tra le capacità di elaborazione e di controllo del creatore umano, e la velocità operativa della rete di dispositivi informatici che collegano il mondo rendendone possibile il funzionamento e la continuità. (…)

Gli eventi del pianeta appaiono sempre meno governabili, e il miglior modo per definirli sembra la paroletta: caos. Ma cosa vuol dire caos? Il caos è una forma del mondo troppo complessa per poterla elaborare con le categorie di cui disponiamo. E l'attività umana, la filosofia, la politica, l'arte, può essere intesa come una caosmosi, come un'attività che elabora il caos attraverso l'emergenza di sempre nuovi paradigmi che concettualizzano la realtà, la sensibilizzano, la singolarizzano, la storicizzano."


Provando a riassumere con parole mie, sono due i concetti esposti:

1) l'estrema complessità del reale, unita all'accelerazione dei processi, provoca qualcosa che si potrebbe definire caos;

2) mancano tecniche e teorie adeguate a gestire la complessità caotica.

In realtà Bifo segue le linee di un pensiero analitico occidentale che, partendo da Democrito con il suo atomismo, arriva a Henry Ford con la sua decomposizione del lavoro in gesti elementari, le ormai classiche tecniche di "tempi e metodi" dell'industria meccanica. Marx non è estraneo a questa linea di pensiero, che vede il mondo come un grande meccanismo di cui si vorrebbero controllare tutti gli ingranaggi.

Nella fisica il meccanicismo puro era già finito un secolo fa, a inizio '900. L'idea del mondo come un grande macchinario, dove tutto era determinabile pur di avere gli strumenti adatti, era tipica dell'800 e crollò sotto i colpi delle teorie quantistiche.

Adesso ci accorgiamo che il mondo è troppo complesso per essere governato con tecniche meccanicistiche, forse potevamo intuirlo un secolo prima.

Eppure gestire il caos è possibile, se si abbandona la linea classica di pensiero occidentale, che già sappiamo perdente, visto che non si intravedono vie d'uscita dalla crisi economica - politica - bellica attuale.

Come il capitano guida la sua nave attraverso un mare burrascoso per arrivare infine in porto, a noi non serve capire e padroneggiare tutto. Non ci serve trovare gli ingranaggi nel mare. Serve capire quel che basta a salvare la pelle.

Proviamo a ritornare indietro di un migliaio di anni. Un buon riferimento potrebbe essere la costruzione di cattedrali nel Medioevo, con riferimento, per esempio, a Notre Dame di Parigi.

All'epoca la scienza delle costruzioni non esisteva ancora, non erano ben chiari gli effetti del vento sulle costruzioni, i materiali erano poveri, eppure furono costruite delle opere immortali.

I capomastri non avevano insomma la teoria di base per realizzare le loro opere, eppure ci riuscirono, in base all'esperienza, all'intuito ed alla collaborazione.

Un buon riferimento è "Sperimentazione strutturale nell'architettura gotica" di Robert Mark e William W. Clark - Le Scienze (gennaio 1985).

"La cattedrale di Notre-Dame di Parigi, la cui costruzione ebbe inizio tra il 1150 e il 1155, fu progettata per essere lo spazio più elevato dell'architettura gotica. (…) nel costruire il coro gli artigiani dovevano essersi resi conto di un nuovo problema per il quale l'esperienza acquisita con chiese più basse non era di alcuna utilità: la velocità del vento è molto maggiore ad altezze più elevate.

Oggi si sa che la pressione del vento è proporzionale al quadrato della velocità del vento stesso, e pertanto essa è maggiore sugli edifici alti. (…) fu proprio la preoccupazione per il carico imposto dal vento a indurre i costruttori della navata parigina a introdurre, poco prima del 1180, l'arco rampante. (…)


Le analisi strutturali che abbiamo compiuto su numerosi edifici medioevali hanno rivelato che i loro progettisti imparavano dall'esperienza, servendosi degli edifici reali proprio come oggi gli ingegneri si basano su prototipi dotati di strumenti per accertare il comportamento strutturale di un progetto. (…) l'esperienza acquisita in un cantiere veniva trasmessa ad altri progetti di costruzione (…) Si ha persino l'impressione che i capimastri delle cattedrali di epoche successive, come quelle di Chartres e di Bourges, siano stati a conoscenza dei difetti del sistema originale di contrafforti di Parigi e abbiano modificato di conseguenza i propri progetti. (…)

Un equilibrio così raffinato potrebbe sembrare superiore alle capacità di un costruttore prescientifico."


Per finire:

"Quando il 19 luglio 1940 fu aperta al traffico la campata centrale, lunga 854 metri, del Tacoma Narrows Bridge, un ponte sospeso, essa era la terza campata del mondo in ordine di lunghezza. Inoltre il suo peso per ogni metro di carreggiata era di gran lunga inferiore a quello di qualsiasi altra campata lunga. Il Tacoma Narrows Bridge compendiava la tendenza del primo Novecento verso piani stradali più leggeri, quasi nastriformi, e verso torri slanciate. La larghezza del suo rinforzo, costituito da una travatura con anima piena, era pari soltanto a 1/350 della campata.

Quattro mesi dopo l'inaugurazione del ponte, un vento del mattino che soffiava abbastanza costantemente alla velocità di 65 chilometri all'ora produsse gravi oscillazioni di torsione nella campata, che a mezzogiorno crollò in maniera catastrofica."


Insomma a volte i vecchi costruttori erano meglio di quelli attuali, perché sapevano di non sapere tutto e quindi erano più capaci di reagire agli imprevisti.

Proviamo allora a tornare all'antica Grecia, ai presocratici, all'atomismo e vedere se riprendere una strada che all'epoca era stata abbandonata.

Se Democrito parlava di atomi, Anassagora diceva che tutto scorre e che non ha senso cercare i costituenti ultimi della materia, perché la ricerca potrebbe non aver mai fine. (Anche la fisica moderna comincia a dubitare che in realtà fosse più vicino alla realtà Anassagora piuttosto che Democrito).

Nel paradosso di Zenone, Ulisse non riusciva a superare la tartaruga perché c'erano un numero infinito di passi da compiere. In modo analogo i problemi di oggi sono così complessi che la loro decomposizione in passi elementari costringe a fare così tante azioni elementari che il problema diventa praticamente intrattabile, la soluzione non arriva mai in tempo utile. L'approccio analitico non è più praticabile (1).

Bisogna allora praticare un approccio sintetico, integrale, dove si rinuncia al controllo di tutti i piccoli dettagli e si punta ad individuare e controllare gli aspetti davvero significativi. L'individuazione di questi aspetti è poco codificabile, si rischia di trascurare elementi importanti, ma il problema ridiventa trattabile.

Certamente non tutti riusciranno a farlo, serviranno persone capaci di individuare l'armonia che è presente nei sistemi complessi quando il caos è sotto controllo. Si ha un approccio musicale vicino al Tao (vedi Il Tao della Fisica, di Fritjof Capra).

Queste idee sono ormai arrivate anche all'interno delle aziende. Per gestire in tempo utile sistemi complessi servono nuovi approcci, basati sulle incertezze e non sulle certezze.

"Io preferisco chiamarla creatività gassosa. Pensa all'acqua che bolle, alle particelle che si aggregano e disaggregano generando energia all'interno di un contenitore trasparente. Ecco: noi facciamo così.

È la teoria del caos management secondo Federico Minoli, presidente e amministratore delegato della Ducati: (…) per Minoli il caos è una pratica più che una teoria. Prima facciamo le cose, poi cerchiamo di capire perché funzionano. Adesso abbiamo cominciato a teorizzare il caos. Le cose sono state fatte: l'azienda è tornata leader nel settore delle moto sportive, le azioni sono in rialzo."

(Da Manager a tutto gas - L'Espresso - 28 Agosto 2003)

Viene riconosciuto come cruciale il ruolo del leader, che non è più (soltanto?) un manager esperto del dominio aziendale, ma è qualcuno capace di trainare le persone. Non più yes-men, ma leader naturali, si comincia a dire. Ma forse non hanno afferrato bene il problema.

In sintesi, il caos può in qualche modo essere gestito se si lavora in modo integrale, invece che atomico, se si punta all'obiettivo più che ai passi necessari per raggiungerlo, se si sa di poter sbagliare e si è in grado di adeguarsi agli sviluppi, se lavora in cooperazione più che in competizione e quindi si ricerca l'armonia; il tutto può essere fatto da chi ha leadership e contemporaneamente esperienza.

Le teorie, i mezzi tecnologici, gli strumenti di controllo, sono utili, purchè non si faccia totale affidamento su di essi.

Ritornando a M. Pasquinelli ed alle sue tecnomacchine imperiali , cosa succede se a pilotare le macchine bisogna mettere dei guru, dei visionari, dei pazzi sognatori? Sarà davvero necessario rivoltare le macchine quando esse saranno controllate da tipici rivoluzionari?

Oppure l'impero continuerà a lasciare fuori dai posti di comando le persone capaci di risolvere i problemi più micidiali? (Questa è stata la tendenza fino ad ora).



Truman Burbank


Note: (1) Qui il paradosso di Zenone viene in qualche modo invertito a favore dell'infinita divisibilità (problema risolto dal calcolo integrale di Newton e Leibnitz) e usato contro l'atomismo, che spinge a suddividere il problema in un numero di passi finito, ma praticamente intrattabile.

I bei tempi andati del giornalismo

22/7/2004

Nei bei tempi andati il mestiere del giornalista era semplicemente uccidere la verità. Bastava nascondere i fatti importanti, evidenziare ciò che non era rilevante, introdurre qualche piccola bugia funzionale al potere ed il lavoro era fatto.

Adesso è tutto molto più complesso. Un giornalista è oggi un lavoratore dipendente nella catena di montaggio delle notizie, in cui si esegue una procedura complessa per elaborare un prodotto industriale destinato ad essere consumato da parte delle masse (dico masse ma mi viene in mente un branco di buoi o di pecore).

La prima operazione da fare è sterilizzare la notizia, in modo da levare tutto il nutrimento, un po' come si fa con il latte a lunghissima conservazione, che dopo una lunga bollitura perde tutto il suo sapore e tutte le vitamine.

Poi la notizia va rielaborata in modo da renderla appetibile, vanno trovati elementi che mettano paura (in questo caso la notizia si mette in apertura), o elementi curiosi, o umani, che ci facciano sentire più saggi e più buoni (questo per le notizie di chiusura). Un po' di tette e culi fanno sempre bene.

In ogni caso l'informazione deve essere rielaborata ed additivata in modo da attirare l'attenzione, essere gradevole e non creare alcun fastidio ai poteri forti di vario genere.
Ecco, l'informazione è diventanta intrattenimento, in Inglese infotainment (information + entertainment).

Ma questo è ancora poco. L'informazione deve anche stimolare i consumi, spingere la gente ad uscire di casa, prendere la macchina ed andare nei centri commerciali per comprare robe inutili, tipo l'ultimo gadget tecnologico. Fondamentale è stimolare il mito che tutto ciò che è nuovo è meglio del vecchio. Questa è una fase in cui bisogna narcotizzare l'utente, spingerlo a fare cose irrazionali. Un buon corso di anestesiologia è molto utile per fare buon giornalismo oggi.
Qui ormai all'information + entertainment si è aggiunto l'advertisement (la pubblicità).

A questo punto il pastone per il bestiame sarebbe pronto, ma il bravo giornalista fa ancora di più.

Gli equilibri tra i vari poteri sono dinamici e spesso bisogna fare in modo da accontentare non solo il padrone di oggi, ma anche quelli di domani. Allora la linea (o meglio la sequenza di rielaborazione delle notizie) deve essere organizzata in modo da far contenti anche quelli che politicamente sono all'opposizione e deve gradualmente spostarsi al muoversi degli equilibri.
Ecco perchè alcune trasmissioni televisive dedicate al grande pubblico ridiventano interessanti, non per quello che dicono, ma per come lo dicono. Il grande anchor man, per chi sa leggere i media, diventa un barometro delle tendenze politiche.

Come nella vecchia URSS si poteva capire qualcosa dalla Pravda o dalla Izvestia anche se le notizie erano totalmente false, oggi in occidente chi non crede ai media ufficiali può comunque ricavarne informazioni interessanti, leggendo i segni nascosti.

Truman